Che l’”Olocausto” vi sia stato e che rappresenti uno degli episodi più obbrobriosi dell’intera storia mondiale non si discute: unico dubbio - che però non ne inficia la gravità perché anche un solo uomo ucciso per motivi razziali costituisce un vulnus mortale all’umana società - il numero delle vittime che oscilla fra i 4 ed i 6 milioni.
Ciò premesso, si ritiene utile descrivere il drammatico iter, non sempre ben chiarito, che ve lo ha condotto.
Una Germania ”judenfrei”
Va anzitutto contestato che fin dall’origine il nazismo avesse programmato di risolvere il problema ebraico mediante l’eliminazione fisica di tutti gli ebrei.
La fondamentale opera di Hitler “Mein Kampf” prevedeva l’allontanamento dalla Germania di tutti gli ebrei considerati pericolosa razza inferiore responsabile della sconfitta tedesca nella I guerra mondiale e del caos che ne era succeduto, per purificare il sacro suolo della patria dalla loro presenza.
Contemporaneamente, in attesa che tale operazione di “sgombero” (la Germania “judenfrei”, liberata dagli ebrei) si concludesse, con le leggi di Norimberga del settembre 1935 veniva instaurato un sistema di “apartheid” - niente di nuovo, si pensi a quella sudafricana o alla segregazione razziale negli stati USA del sud abolite solo poche diecine di anni fa – in forza del quale gli ebrei venivano degradati a “soggetti” e privati di molti diritti (spettanti esclusivamente ai puri tedeschi della mitica razza ariana) allo scopo di impaurirli e indurli ad emigrare volontariamente verso altri lidi.
In questa fase vi furono gravi violenze nei loro confronti compiute da privati ed associazioni composte da frange di estremisti (nei cui confronti le autorità statali, pur considerandoli fuorilegge, chiudevano spesso un occhio ed anche due) che, caricati dall’ odio hitleriano, lo portarono alle estreme conseguenze.
Fra gli episodi più gravi si ricorda la cosiddetta “notte dei cristalli” (9/10-11/1938) durante la quale squadracce naziste colpirono gli ebrei ed i loro beni prendendo a pretesto il deprecabile assassinio (che secondo i nazisti giustificò le violenze derivatene) di Ernst von Rath, consigliere dell’ambasciata tedesca a Parigi, per mano di Herschel Gruespan, un giovane ebreo fuoruscito.
La fase politica dell’emigrazione volontaria, pur favorita dai nazisti, non diede però risultati soddisfacenti.
E’ infatti innegabile che molti paesi nei quali gli ebrei, braccati, avrebbero desiderato emigrare, non andarono al di là di alte proteste scandalizzate, negando loro, nella realtà, i loro i visti d’ingresso oltre le quote stabilite, aumentando in qualche caso i costi per il loro rilascio.
Da qui, i salaci commenti da parte tedesca per una solidarietà di facciata che consentì solo ad un modesto numero di ebrei tedeschi di emigrare all’estero.
Una patria forzata
Per accelerare la pulizia etnica i nazisti pensano allora, dopo l’inizio della 2° guerra mondiale (1/9/1939) e dopo i primi successi ottenuti, ad una seconda fase in cui l’ “Istituto per lo studio dei problemi ebraici” fondato a Francoforte nel marzo 1941 progetta il trasferimento forzato degli ebrei in alcuni territori conquistati destinati a divenire la loro nuova patria.
Ed ecco allora il progetto dell’”Operazione Madagascar” ( a disposizione dei tedeschi quale ex colonia della Francia sconfitta del giugno 1940) in base alla quale secondo i vincitori si sarebbero potuti trasferire via mare nell’isola dell’Oceano Indiano ben 4.000.000 di ebrei.
Oltre a ciò, il successo iniziale anche sul fronte orientale russo aveva aperto la possibilità di trasferire gli ebrei nei vasti territori conquistati, nella Boemia-Moravia, nella regione di Lublino presso la frontiera con l’URSS, e nella Siberia occidentale.
Ma l’esito negativo della guerra sui vari fronti dopo i fulminei successi iniziali e la conseguente prospettiva di avere a disposizione, dopo la prevista vittoria, abbondanza di territori nei quali confinare gli ebrei, determinò il fallimento di questi progetti ed impose ai tedeschi un deciso cambiamento di rotta.
“Wansee” s’avvicina.
Il “Protocollo del Wansee”: “endlosung”
Il 20 gennaio 1942 si riunì a Berlino in una villa al n.56/58 della Am Grossen Wansee, sulle rive del lago di Wansee, ridente quartiere omonimo a sud ovest della capitale, una conferenza alla quale parteciparono, sotto la supervisione di Heidrich, i seguenti 14 alti funzionari nazisti metà dei quali appartenenti alle famigerate SS:
Reinhard Heidrich, SS-Obergruppenfuhrer, Capo Ufficio Centrale per la sicurezza del Reich (RSHA); dott. Alfred Mayer; dott. Georg Leibbrandt; Erich Neumann; dott. Roland Freisler; dott.Josef Buhler; Martin Luther; dott. Gerhard Klopfer-SS; Friedrich Wilhelm Kritzinger; Otto Ofmann-SS; Heinrich Mueller-SS; Adolf Eichmann, SS-Obersturmbannfhurer all’Ufficio Centrale per la sicurezza del Reich (RSHA); dott. Karl Eberhartdt Schongart-SS; dott.Rudolf Lange-SS.
E’ dunque ad essi che va attribuita la responsabilità della tragica “soluzione finale” (in tedesco “endlosung”), che non andrebbe imputata ad un preciso ordine di Hitler (che però lo ratificò), sibbene ad un ordine che Heidrich ha ricevuto da un “Maresciallo del Reich” del quale non si fa il nome.
Di sicuro Hitler non era presente alla riunione come chiaramente risulta dal “protocollo” redatto con teutonica precisione, fortunosamente recuperato dai pubblici ministeri americani in sede istruttoria del processo di Norimberga.
Da esso risulta: A): “Heidrich ha comunicato di essere stato incaricato dal Maresciallo del Reich d’iniziare i preparativi per risolvere definitivamente la questione ebraica in Europa”; e, B): “il desiderio espresso dal Maresciallo del Reich di ricevere un rapporto relativo alle implicazioni organizzative per l’attuazione della soluzione finale”.
Inoltre, che “nel gennaio 1939, per ordine del Maresciallo del Reich è stato istituito un Ufficio Centrale del Reich per l’emigrazione degli ebrei i cui compiti principali erano: a) adottare ogni provvedimento teso ad intensificare l’emigrazione degli ebrei; b) orientare i flussi di emigrazione; c) velocizzare le procedure per facilitare l’emigrazione di ogni singolo individuo”; ma che poi “in considerazione dei pericoli rappresentati dall’emigrazione in tempo di guerra, il capo della polizia tedesca ha vietato l’emigrazione degli ebrei”.
Ma chi era mai questo fantomatico “Maresciallo del Reich?”
Era lui, Hermann Goering, il solo che potesse fregiarsi di tale titolo che ne faceva il numero 2 del nazismo.
Nel libro (“Goering” – ed.Mondadori) dello storico inglese David Irving si afferma che egli riconobbe di essere stato il firmatario della “soluzione finale”, anche se si giustificò affermando che gli avevano fatto firmare quel documento senza lasciargli capire di cosa si trattasse.
Era lui, Hermann Goering, il solo che potesse fregiarsi di tale titolo che ne faceva il numero 2 del nazismo.
Nel libro (“Goering” – ed.Mondadori) dello storico inglese David Irving si afferma che egli riconobbe di essere stato il firmatario della “soluzione finale”, anche se si giustificò affermando che gli avevano fatto firmare quel documento senza lasciargli capire di cosa si trattasse.
Ma in un’altra parte dello stesso “protocollo” si legge altresì che “viene oggi adottata una soluzione alternativa all’emigrazione e cioè l’evacuazione verso est che ha ottenuto la preventiva autorizzazione del Fuhrer”.
Parrebbe dunque di capire che il “Maresciallo del Reich”-Goering avesse a sua volta ricevuto l’incarico da Hitler che sarebbe dunque, in tal caso, il primo e vero ispiratore dell’”Olocausto”.
Sta di fatto che il “Protocollo del Wansee” del 20 gennaio 1942 segna il suo tragico inizio.
In sostanza, pensano i nazisti, dal momento che l’emigrazione volontaria non ha dato buoni risultati e che, a seguito del negativo andamento della guerra, sono sfumati i territori nei quali speravamo di trasferirli, non resta che eliminarli con il lavoro forzato e l’insufficiente alimentazione dopo aver sfruttato fino all’ultimo ogni loro capacità lavorativa.
Il “protocollo” prevedeva infatti che “gli ebrei dovranno essere avviati al lavoro nell’est europeo. Tutti coloro che risultino abili al lavoro, suddivisi per sesso, saranno inviati in gruppi in quei territori per impiegarli nella costruzione di strade. Gran parte di essi morirà per cause naturali e quelli che sopravviveranno, e cioè i più resistenti, dovranno essere gestiti adeguatamente poiché rappresentano il frutto di una selezione naturale. Qualora essi venissero rilasciati potrebbero costituire il germoglio di una futura rinascita ebraica (vedi l’esperienza storica)”.
Oscuro il significato di queste due ultime frasi: si vuol forse dire che i pochi sopravvissuti, dotati di eccezionali doti di resistenza fisica, purificati e forgiati dalle terribili prove sopportate, avrebbero potuto dare origine ad una nuova razza tedesco-ebraica degna, a quel punto, di essere ammessa nella comunità germanica?
Da quell’infame documento risulta che sarebbero stati esentati dall’”evacuazione” gli ebrei di età superiore ai 65 anni che dovevano essere trasferiti nel ghetto per anziani di Theresienstadt assieme “ai veterani di guerra con gravi ferite e gli ebrei decorati con croce di ferro di prima classe. Attraverso questa soluzione verranno cancellati in un colpo solo i molti benefici di carattere sociale di cui godono queste persone”.
Ma, ci si chiede, non erano eroi? No, perché ebrei.
Altro motivo per essere esentati dalla deportazione era quello di farsi sterilizzare, mentre era previsto un elenco burocraticamente analitico di casi nei quali l’infetto sangue ebreo “purificato” da abbondanti immissioni di puro sangue ariano non costituiva più un pericolo per la nazione; oltre a ciò,” …..gli ebrei che lavorano nelle industrie considerate vitali per lo sforzo bellico non potranno essere evacuati qualora non siano disponibili adeguate sostituzioni”.
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Non si ritiene di trattare oltre l’argomento dei “lager” sul quale è già stato detto e scritto quasi tutto perché, come precisato in premessa, non interessava qui descrivere gli orrori dell’”Olocausto”, sibbene evidenziare il tragico percorso che ha portato a quel tragico traguardo.
Giovanni Zannini