IL 21 giugno 1916 l’arciduca Eugenio d’Asburgo comandante della 11° e 13° Armata austriaca inviò ai suoi
soldati impegnati nella Strafexpedition (l’offensiva punitiva contro l’Italia
accusata di tradimento nei confronti dell’Austria) un proclama nel quale si
affermava tra l’altro:”…Proprio quando vi accingevate… alla battaglia
che doveva aver ragione dell’ultima linea nemica sui monti ed aprirvi completamente la via per la pianura, con la
morte nel cuore dovetti ordinarvi di fermarvi … Considerazioni di livello
superiore hanno richiesto da voi questo sacrificio in modo che i confini della nostra grande Patria
potessero meglio essere difesi in un
altro teatro di guerra…“.
Ma quali erano le “considerazioni
di livello superiore” che avevano fermato la corsa dei soldati austriaci
(sorpresi ed increduli degli
ordini ricevuti) verso la pianura padana che si apriva, dalle ultime balze
dell’altopiano, ai loro occhi avidi di vittoria e di prede?
Per rispondere a tale interrogativo occorre,
esaminando il panorama della 1° guerra mondiale nel 1916, spostarsi dal fronte sud
che dalla Svizzera giungeva al mare, ove si fronteggiavano italiani ed
austriaci, a quello orientale che si estendeva
dal Baltico alla Romania ove gli austriaci si dovevano difendere dai russi.
E’ qui, infatti,
che si verificarono quegli avvenimenti che determinarono indirettamente il
fallimento della Strafexpedition e la fine di un’avanzata austriaca, che pareva
inarrestabile.
Sul fronte russo, dopo i primi successi ottenuti, era prevalsa negli austriaci la sensazione che l’esercito russo non costituisse più un grave
pericolo a causa delle gravi perdite ad esso arrecate, e ciò li portava ad
escludere la possibilità che essi prendessero
iniziative offensive.
Questa erronea supposizione indusse il Quartier
Generale austriaco a trasferire nella primavera del 1916 da quello russo al
fronte sud, nel Trentino e sull’Altopiano di Asiago, le sue
migliori divisioni (quelle miste - in sigla K.u.K. – composte da soldati
austriaci ed ungheresi, ben diverse da quelle composte da soldati slavi cechi e ucraini politicamente poco affidabili perché la Russia, tramite il
panslavismo, aveva un pericoloso potere di attrazione nei loro confronti), e gran parte dell’artiglieria per rinforzare quella Strafexpedition che avrebbe dovuto dare una dure
lezione agli italiani e punirli per il loro tradimento.
Ma tale situazione fece scattare l’alleanza stipulata fra Italia, Francia, Inghilterra e
Russia in base alla quale sarebbe stato portato aiuto all’alleato il cui
territorio fosse stato invaso dal comune nemico: e da parte sua la Russia onorò tale impegno
dando inizio nella tarda primavera del 1916 ad un’offensiva in Bucovina avente lo scopo di alleggerire la pressione austriaca nel fronte
sud contro l’alleato italiano, e che pose in pericolo i confini stessi
dell’Austria.
L’offensiva russa ottenne un inaspettato successo iniziale
contro l’esercito austriaco
imprudentemente debilitato dal trasferimento delle sue migliori truppe (soprattutto austriaci e magiari) e di gran parte dell’artiglieria, sul fronte italiano. Truppe
e artiglieria precipitosamente ritirate dal fronte italiano e ritrasferite in
tutta fretta sul fronte orientale (si pensi ai problemi organizzativi derivanti
dai ripetuti spostament di grandi masse
di militari) per fronteggiare l’imminente pericolo russo, con evidente sollievo
sul fronte italiano con il fermo di
una Strafexpedition che pareva
inarrestabile.
Ebbe così inizio, sul fronte orientale, la “Battaglia di Luck” (località della
Bucovina) che dal giugno all’ottobre del
1916 costituì una delle più grandi su tutti i fronti della 1° guerra
mondiale, con una spaventosa perdita di vite umane: pur fra dati discordanti,
si parla di un milione e duecentomila fra morti e feriti nell’esercito russo e di
due milioni nell’esercito degli imperi centrali.
L’attacco russo aveva avuto un completo successo iniziale
con l’apertura di una breccia ampia 85 chilometri e profonda 48 che nella sua avanzata poneva in pericolo la stessa patria
austriaca. Ma, alla fine, l’offensiva esaurì il suo slancio e per la tardiva resistenza
avversaria che, come visto sopra, aveva
in fretta e furia fatto rientrare le sue truppe migliori dal fronte italiano, e
per la mancata collaborazione delle altre
armate russe che restarono
pressoché inattive.
A seguito di ciò il successo iniziale si tramutò in
una battaglia di esaurimento nella quale i russi subirono perdite enormi che influirono sul morale delle truppe turbate
anche dalle voci inquietanti che
provenivano dal fronte interno e che alla fine portarono alla drammatica resa
della Russia nel 1917.
E’ dunque doveroso manifestare riconoscenza alla
Russia di allora per il sacrificio di così tanti suoi soldati morti
nella “Battaglia di Luck” che provocò l’arresto di quella Strafexpedition in procinto di dilagare nella
pianura padana e, forse, di compromettere l’esito finale dell’immane conflitto. Giovanni Zannini