giovedì 30 agosto 2012

LE MISSIONI MILITARI ALLEATE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE


LE MISSIONI MILITARI ALLEATE NELLA RESISTENZA

Le Missioni Militari Alleate furono lo strumento creato dagli Anglo-Americani  durante la seconda guerra mondiale per consentire i collegamenti ed i soccorsi fra  comandi alleati e  formazioni  clandestine che operavano contro i nazifascisti all’interno di nazioni sotto controllo tedesco .   
In Italia, secondo una “Relazione Messe” considerata incompleta perché calcola  solo le missioni inglesi ed  italo-inglesi, ne operarono 96, di cui una cinquantina nella sola regione veneta.
Esse furono organizzate, in collaborazione con il “SIM” (Servizio Informazioni Militari del Comando dell’esercito italiano al seguito del re a Brindisi) , dagli inglesi dello “Special Operation Executive – SOE”; dagli  americani dell’”Office of Strategic  Service- OSS”;  poche direttamente dal SIM,  solo alcune dai francesi.
Erano per lo più miste,  composte da 4 o 5 uomini, italiani ed alleati, civili e militari muniti di potenti radiotrasmittenti  che si facevano paracadutare sulle formazioni partigiane o, altre volte, nel Veneto, le  raggiungevano dopo essere sbarcate presso Chioggia da imbarcazioni o da idrovolanti  ammarrati su “campi idro” avventurosamente organizzati.
Evidente il coraggio di chi, specie se straniero,  provenendo  da territorio italiano già liberato,  accettava di raggiungere altre località italiane ancora occupate dai nazifascisti lanciandosi  nottetempo su territori sconosciuti sommariamente segnalati,  con il rischio di fallire l’obbiettivo e, come accaduto, essere catturati dal nemico,  condividendo poi  i gravissimi rischi della guerra partigiana in condizioni di  netta inferiorità contro un nemico agguerrito e spietato.
I compiti  affidati alle Missioni erano quelli di tenere via radio i collegamenti con gli  alleati  e con il comando dell’esercito italiano a Brindisi per fornire  ogni genere di informazioni sulla cui base essi furono in grado di fondare i loro piani operativi,  e di organizzare i rifornimenti aerei alle formazioni partigiane operanti nell’Italia occupata dai nazifascisti.
Oltre a ciò, condurre  azioni di “commando” contro  i nazifascisti  per sabotare  impianti militari, linee di collegamento ferroviario,  ponti e strade; fornire assistenza a nuove “missioni” in arrivo, a  piloti alleati abbattuti  informando poi sulla loro sorte,  e ad ex prigionieri alleati nei campi di concentramento italiani che si trovarono liberi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, come, ad esempio,  i 2300 che furono mantenuti, nonostante le scarsissime risorse,  a cura della  “Margot-Hollis”.
Fra quelle che operarono nel Veneto vanno ricordate, oltre ad essa,  le inglesi  “Missione Brietsche” ( capitano che operò sul Grappa in maniera deludente),   “Missione Tilmann”(maggiore, destinato ad operare sul Cansiglio che non potè raggiungere perché vi era in corso un  violento rastrellamento  -  noto scalatore  scomparso,  dopo la fine della guerra, sull ‘HiImalaya ),   “Missione Freccia” (capomissione John Wilkinson), e la  “MRS” (Marini Rocco Service) del SIM composta da 5 italiani: Ten. Renato Marini, copomissione,  radiotelegrafisti  i fratelli  Angelo ed Elio Rocca, Mario Troncon e Giuseppe Repetti  (o Peretti) .                                                                                                                                                                                                                      

Giovanni Zannini



LA RESISTENZA VENETA  CONTRO I BOMBARDAMENTI  INDISCRIMINATI ED IN DIFESA DELLE OPERE D’ARTE

La “Missione Margot-Hollis” (più precisamente  denominata “Hollis”: “Margot” è il nome di battaglia del radiotelegrafista  Dario Lelli)  diretta dall’Ing.Pietro Ferraro (“Antonio”)di Venezia  è  considerata dal Comando Alleato “una delle più importanti del nord-Italia“ grazie  all’attività del gruppo C.I.S. – Collegamenti, Informazione, Sicurezza -  da essa dipendente.
Soggette alla caccia  dei radiogoniometri  tedeschi  che non  davano tregua,  le sue tre  radiotrasmittenti  furono  costrette  a continui spostamenti  nel territorio del Veneto orientale , e per  un certo periodo  una di esse trasmise da Padova dall’abitazione  dell’Ing.Marino Bertolini in via S.Tomaso n.2 fino a che, scoperta,  fu circondata  dagli uomini del famigerato maggiore Carità ed i suoi operatori  si salvarono  fortunosamente  mentre la radiotrasmittente veniva posta in salvo  nascosta in una carrozzina con sopra il figlioletto, spinta dalla moglie del Bertolini.
Fra i collaboratori padovani vanno  inoltre ricordati il dott. Luigi Amati residente in città in via Savonarola che organizzò il funzionamento tecnico  delle radio nel Bellunese e nelle zone  di Padova, Treviso e Venezia provvedendo  alle riparazioni, al reperimento   ed al trasporto dei materiali necessari, e Tranquillo Ugolani di Camposampiero che descrisse esattamente   i depositi di munizioni  tedeschi di Rossano e Noale   poi  distrutti  a seguito delle informazioni da lui fornite.
L’attività svolta da questa Missione è documentata,  presso l’archivio  dell’Istituto  Veneto per la storia della Resistenza, dalla raccolta delle “Carte Ferraro” contenente un gran  numero di copie di messaggi radio  spediti  e ricevuti: e fra essi  spiccano alcuni, come i seguenti,   diretti  agli alleati con il ripetuto  invito ad evitare bombardamenti  indiscriminati su centri abitati:”…… Padova notte 12 vasti danni città – danni stazione centrale non usata traffico – traffico ridotto est solo parco ferrovia Campodimarte aut deposito locomotive….”;  “……Riesaminare opportunità bombardamenti soprattutto notturni et uso incendiarie su popolose et artistiche città Veneto – sinora nessun danno a tedeschi…..”.
Poi  un pressante appello  inviato direttamente a Nenni con il quale il Ferraro, di idee socialiste, teneva un filo diretto :” Per Nenni - Preghiamo partito et governo nazionale comunicare comando alleato  (che) ultimi bombardamenti a massa imprecisi et con incendiarie su principali città Veneto causato danni enormi popolazione  - distrutto insigni monumenti – notte 18 Vicenza distrutta Basilica Palladio  et molti altri – notti precedenti Padova Basilica Sant’Antonio  et Cappella Scrovegni massima opera Giotto danneggiati et salvi per caso – nessun obbiettivo militare est in zone bombardate –  ……….assicurateci  farete presente comando alleato con memorie dettagliate  patrimonio arte civiltà storia…….   – assicuriamo tedeschi  usano piccole stazioni et strade et ponti periferici – loro depositi dispersi  campagna – …….. pregate alleati tenere presente tragica situazione popolazione dopo un anno e mezzo di vera lotta contro i tedeschi e non aggravarla senza accertate decisive ragioni militari – attendiamo vostra risposta precisa non generica su risultati vostro intervento….”.
Sempre a questo proposito la Missione Italiana “M.R.S. – Marini- Rocco-Service”  invia un  altro pressante messaggio ai comandi alleati:” Bombardamenti  città causano notevoli perdite fra popolazione  favorendo adesioni  propaganda fascista  alt inoltre deflusso sfollati verso campagna  ostacola assistenza prigionieri inglesi  ivi nascosti et attività comitati  alt Evitare tali risultati negativi  consiglio attacchi at indispensabili obbiettivi in città da bassa quota mancando ovunque difesa contraerea alt “. E poi, ancora, un disperato appello:” Risulta che elementi  irresponsabili chiesto bombardamento zona ospedaliera Padova non dare seguito richieste  tale genere se non effettuate da questo comitato tramite questa radio alt”.    
Concetto ribadito dal Ferraro  nella relazione a Nenni in cui affermava che le informazioni “spesso errate e date con scarso senso di responsabilità”  in base alle quali i bombardamenti venivano effettuati, “possono essere meglio fornite da noi”, aggiungendo altresì che i bombardamenti aerei con i quali si volevano colpire gli obbiettivi militari  “possono essere molto meglio sostituiti spesso da nostra opera di sabotaggio”.                                            
Oltre a ciò,  negli ultimi giorni della guerra, con i tedeschi in fuga, la Missione “Margot-Hollis” segnala:  ”Riferimento opere arte trafugate Firenze   - per comando alleato  Italia et sud Germania – urge avvertire tutte vostre truppe et  comandi – molte moltissime ed importantissime opere arte Toscana sono at S.Leonardo  in Passiria nord Merano in edificio vecchia pretura – primo evitate ogni azione aerea – secondo provvedete custodia immediata – terzo fate tutto il possibile perché qualche vostro reparto possa arrivare subito in queste località – quarto se trattative resa  chiedete garanzia su questa situazione – tutto mondo arte cultura  sarà grato vostro  intervento”.
E poi ancora:” Biblioteca Hertziana di Roma et forse  Istituto storia arte germanico  di Firenze importantissimi  per cultura italiana et per archivio fotografico opere arte italiana trovasi in una miniera di sale at Halle sud Salisburgo  - est necessario presidiare la miniera”. 
Emerge dunque  dall’attività  della “Margot-Hollis”  la spiccata figura del suo capo, l’Ing. Pietro Ferraro (“Antonio”) -  intellettuale veneziano, affermato manager   gettatosi   coraggiosamente in un’impresa di alto valore patriottico ed estremamente rischiosa per tornare poi, esaurito il suo compito,   alla vita civile e professionale  - che, pur nel pieno di una lotta dura e spietata,  dimostrò il suo vivo interesse per l’arte che della guerra  fu spesso, assieme agli uomini, vittima.           Giovanni  Zannini
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QUEI “LANCI”  TANTO ATTESI
I messaggi inviati dalle Missioni Militari agli alleati ed al Quartier Generale italiano al seguito del re a Brindisi testimoniano  la durezza della lotta  dei partigiani italiani  dopo l’8 settembre 1943, e ne danno una testimonianza  viva e drammatica .
Armi:  questa la pressante richiesta, per poter porre in grado uomini coraggiosi  che spesso ne erano privi,  di  combattere  il nemico nazifascista.
Eccone, fra tanti, uno, drammatico  della Missione “M.R.S. – Marini Rocco Service”:”Zona Pasubio Asiago et Belluno perdurano accaniti combattimenti  alt  Tutti  gruppi implorano dico implorano rifornimenti  scopo continuare a combattere alt inflitte at nemico rilevanti perdite alt Tedeschi  vogliono preparare loro linea resistenza su dette zone alt….. sarebbe utilissimo intervento aereo bassa quota aut lancio truppe paracadutisti  alt Preghiamo  ancora invio immediato rifornimenti et piano tedesco sarà sventato alt”. La “Margot-Hollis”, da parte sua,  richiede “armi pesanti, viveri concentrati,  “Sten” (nota:famoso mitra inglese), scarpe, mortai,  munizioni fucile italiano 91” e ancora “…8 pistole 45,  3 pistole 32, munizioni…..silenziatori pistole”e segnala che “forze dislocate mon tagna  abbisognano tutte  mortai mitragliatrici pesanti qualche cannone anticarro leggero…” e così via.    
Ma  i lanci sono scarsi: perché?  “….situazione militare europea  ha reso difficile per noi disporre di aerei…”; “ ….dovuto all’azione di altri teatri europei  est molto difficile poter disporre aerei  per rifornimenti in Italia comunque faremo il massimo” rispondono i comandi alleati che devono aiutare anche i partigiani nei Balcani e in Polonia distraendo a fatica uomini e mezzi  dai fronti principali della guerra.
L’arrivo dei rifornimenti di armi, munizioni, esplosivi, viveri, indumenti, denaro  viene preannunciato alle formazioni partigiane da oscuri messaggi in codice dei comandi alleati ed italiani diffusi dalla BBC di Londra tipo “fiammifero acceso”, “il duce saluta Rina”, “i lupi vigilano attentamente”, “non ti lascerò”, mentre chi scrive ricorda  con emozione “il muretto del ponte”  annunciante un lancio sul Grappa alla Brigata “Italia Libera di Campocroce”.
Gli aiuti sono generalmente paracadutati, ma altre volte recapitati direttamente da piccoli  aerei  che atterrano con grave rischio dei piloti, di notte, su campi di fortuna  segnalati con fuochi disposti in maniera convenzionale, stando bene attenti che non vi siano nazifascisti nei dintorni.
Ma non sempre gli appuntamenti vanno a buon fine: qualche volta,  arrivati sul luogo stabilito fra mille pericoli,  i soccorritori non vedono i segnali convenuti  ed allora, dopo aver girato a lungo sull’obbiettivo, non resta loro che rientrare alla base piuttosto contrariati.
“Per l’amor di Dio” raccomandano perciò dai comandi alleati “assicurate ricezione aut sospendete detti campi alt Siamo circondati da piloti arrabbiatissimi  et gli abbiamo promesso un miglioramento alt”.

Insomma, per gli amanti dei film e dei romanzi d’avventura, i messaggi  scambiati durante la seconda guerra mondiale fra i partigiani italiani da una parte ed  i comandi alleati ed italiani dall’altra, possono costituire una lettura stimolante. Con la differenza che mentre i film ed i romanzi  sono  frutto di fantasia, quei messaggi   rappresentano  una dura realtà ed  i  morti sono, purtroppo, veri.   Giovanni  Zannini
        

mercoledì 29 agosto 2012

Dario Leli: un marinaio nella Resistenza.PER L'ITALIA IN MARE E IN TERRA



Dario Leli:  un marinaio nella Resistenza
PER L’ITALIA IN MARE E IN TERRA.

Era dura la guerra in quel lontano 1944, e le sue sorti non erano certo favorevoli all’Italia, colpita dall’aviazione alleata in ogni punto del suo territorio.
Ed era anche arrivata a nord, al confine fra la Sardegna italiana e la  Corsica francese, nell’arcipelago delle isole della Maddalena sede dell’Arsenale,  importante obbiettivo strategico per  chi voleva distruggere il naviglio italiano  ed eliminare i suoi coraggiosi equipaggi.
Sabato 10 aprile 1943  si scatena l’infernale bombardamento aereo americano che devasta la base distruggendo la Caserma Faravelli  ove sono acquartierati gli equipaggi.
Dei due incrociatori pesanti alla fonda, il “Trieste” è affondato ed il  “Gorizia” gravemente danneggiato.
I sommergibili in rada  “Mocenigo”, “Aradam”, “Topazio” e “Sirena” non sono colpiti (salvo, leggermente, il primo), ma i loro equipaggi, scesi a terra ove non esistono rifugi, subiscono importanti perdite: 1 morto e due  feriti  del “Mocenico”, 3 morti e 10 feriti del  “Sirena”, 1 disperso e 1 ferito del “Topazio”, 2 i feriti dell’”Aradam”.
Le macerie coprono i corpi delle vittime  e da esse  si levano  i lamenti dei feriti.
Dario Leli, un robusto giovanotto ventenne imbarcato come radiotelegrafista sul  “Sirena”, miracolosamente illeso, si prodiga per prestare soccorso ai feriti e fra questi intravvede   il suo Comandante, il Tenente di Vascello Luciano Garofani che, gravemente ferito alla  gamba destra, è semincosciente ed in   preda ad una grave emorragia.
Nella confusione generale, lo conforta e tenta di  arrestare il sangue che esce a fiotti dalla ferita, ma ben presto si accorge che  non potrà far nulla per salvarlo, e che occorre trasportarlo all’ospedale militare distante mezzo  chilometro. Ma come? Se lo carica sulle spalle ma si rende conto che non ce l’avrebbe fatta con quel peso addosso a raggiungere la meta ed allora, disperato, vista in mezzo alle macerie  una carriola, vi carica sopra il corpo inerte ed inizia la corsa disperata.  La fatica è immane, ma i lamenti del ferito che ad ogni sobbalzo del rudimentale mezzo di trasporto escono dalla sua bocca  gli dicono che deve farcela ad ogni costo, e l’ospedale è raggiunto. Ma non è finita, anche lì la confusione è massima, e, nonostante le sue proteste per l’evidente pericolo di vita in cui versa il ferito,  gli ordinano di mettersi in coda.  Allora, fuor di sé, ricorre ad un’azione che in altri momenti  mai avrebbe osato fare: si apparta e approfittando del caos, toglie di dosso al suo Comandante la divisa, la indossa, e con l’autorità delle stellette da ufficiale pretende ed ottiene che l’uomo che egli afferma essere un suo marinaio,  dissanguato e sfinito  dal  trasporto che lo ha straziato, venga immediatamente portato in sala operatoria.
La sua vita sarà  salva ed il dramma vissuto assieme (che meritò a Dario Leli due medaglie di bronzo) crea fra di essi un legame indissolubile che si scioglie solo quando il 12 novembre 1978 l’ex Comandante Luciano Garofani dà l’estremo saluto al  suo ex marinaio Dario Leli che, colpito da grave malattia, lascia questa terra. 

L’astuzia di “Margot”

Ma dopo il fatale 8 settembre 1943, Dario Leli non si era arreso alla sconfitta, aveva deciso di  dare un contributo alla lotta di liberazione dell’Italia, ed aveva continuato la sua guerra non più in mare, ma nella pianura padana ove tedeschi e  fascisti  gli diedero una caccia spietata alla quale riuscì sempre a sfuggire, con il coraggio e l’intelligenza  appresi alla scuola del suo amato “Sirena”.
Raggiunto il sud-Italia , nel territorio  già liberato dagli alleati e sotto la sovranità del re Vittorio Emanuele, accoglie l’invito di Ferruccio Parri, che lo conosceva e ne apprezzava il coraggio e l’intelligenza, ad arruolarsi in una delle ”Missioni Militari” che venivano paracadutate in alta Italia per tenere i collegamenti fra gli anglo americani avanzanti da sud ed i partigiani che nell’Italia settentrionale combattevano contro i nazifascisti che la occupavano, fornendo ai comandi alleati preziose informazioni sul movimento delle truppe nemiche, la loro consistenza, il loro armamento, e quant’altro di importanza strategica.
Si trattava  per lo più  di formazioni miste di italiani ed anglo americani – ma non mancarono, come si vedrà, quelle composte da soli italiani,  militari ma anche civili - normalmente composte  da un comandante, un vice-comandante, un interprete, un radiotelegrafista ed un armiere.
Ecco i nomi di alcuni capi missione inglesi: magg.John P.Wilkinson "Freccia" che operò sull'Altopiano di Asiago morendo poi in combattimento a Tonezza;  cap. Paul Newton Brietsche che operò sul Grappa anche se, per la verità,  fu molto criticato per aver ordinato l'impossibile difesa sulla cima della montagna durante il rastrellamento del 20/26 settembre 1944;  cap. Harold W. Tilman (radio "Simia")  lanciato sull'Altopiano di Asiago con destinazione Cansiglio - noto scalatore, terminata la guerra conquistò molte vette e finì disperso sulle montagne dell' Himalaia.
Essi avevano il compito di istruire i partigiani  italiani  sull'uso delle armi alleate che venivano loro  paracadutate, di inquadrare militarmente uomini coraggiosi ma poco inclini all'ordine ed alla disciplina, di studiare azioni di “commando” per sabotare impianti militari, linee di collegamento ferroviario, ponti e strade,  di accogliere nuove “Missioni”,  porre in  salvo piloti di aerei alleati abbattuti ed ex prigionieri  alleati  che, dopo lo sfascio dell’esercito italiano, l’8 settembre 1943 si erano trovati improvvisamente liberi ma privi di ogni assistenza e soggetti alla caccia feroce dei nazifascisti.
Dario viene sottoposto ad accurata, dura preparazione: lunghe ore di volo in addestramento ed  in zona di guerra,  lanci col paracadute. Alla  fine,  nel luglio 1944, quello decisivo  - che gli fa meritare la medaglia d’argento - nel buio della notte, verso l’ignoto, senza alcun ricevimento organizzato a terra, nel Veneto pullulante di nemici: l’obbiettivo non è centrato,  tocca terra a 50 chilometri di distanza  ma riesce a raggiungere a Mestre la Missione cui è destinato.
Si tratta della  “Hollis”, una delle poche composte esclusivamente da italiani,  dipendente dal O.S.S. (l’americano “Office Of Strategic Service”), con a capo l’ing. Pietro Ferraro di Venezia (“Antonio”), un industriale che non esitò a mettere in pericolo la sua vita ed i suoi interessi  per la liberazione dell’Italia. Al suo arrivo Dario Leli (questo il suo vero cognome erroneamente indicato "Lelli" nella documentazione militare che lo riguarda) assume il nome di battaglia di “Margot” ed a conferma dell’importanza attribuita alla sua collaborazione la Missione  -  la cui attività non interessò solo il Veneto, ma si estese anche ad altre zone e   fu fonte di preziose informazioni per i comandi alleati che la definirono “una delle più importanti del nord Italia” -  verrà denominata “Hollis-Margot”.
Eloquente l’attestato 18 maggio 1945 rilasciato dall’O.S.S : ” Si dichiara che Dario Leli è stato un dipendente del Governo degli Stati Uniti dal 24 gennaio 1944 ad oggi. I suoi servizi  a favore del Quartier generale furono molto preziosi per la causa degli Alleati e si intende qui esprimere l’apprezzamento della sua opera a favore degli Stati Uniti”. 
Fra i componenti di questa Missione va ricordato il giovane padovano dr.Luigi Amati residente in città in via  Risorgimento 10 e poi in via Savonarola, la cui preziosa opera viene così descritta nella scheda in cui l'ing. Ferraro "Antonio" ha, dopo la Liberazione, documentato il contributo dato dai suoi collaboratori: "...Ha rinunciato a quasi tutto il suo lavoro di inventore e tecnico nel campo delle materie plastiche, del cinema a colori e del magnesio metallico, settori in cui possiede numerosi brevetti, per garantirmi il funzionamento della radio...I primi contatti a distanza furono fatti dal Dario Lelli  dopo che il dr.Amati gli diede precise istruzioni...Organizzò il funzionamento tecnico  delle diverse radio nel bellunese e nelle varie sedi delle zone di Padova, Treviso, Venezia. Provvide a tutte le riparazioni , al trasporto dei vari materiali , si procurò i pezzi di ricambio,  fece tutte le prove necessarie per il buon funzionamento,  incurante del grave pericolo derivante  da questa sua continua e intensa attività...Senza di lui avrei trasmesso la metà delle notizie...".
Dura la vita dei  componenti la Missione,   continuamente costretti a cambiare i luoghi da cui l'esperto Sottocapo  r.t. della Marina italiana spedisce i suoi messaggi: repubblichini e tedeschi gli  danno  una caccia spietata, ma  Dario è imprendibile e sfugge a ben 7 rastrellamenti nel bellunese e nella zona di Preganziol.
A Padova l’apparecchio dell’intrepido “Margot”, ospitato dall’ing.Marino Bertolini che mette coraggiosamente a disposizione il suo appartamento in città, in via S.Tomaso Beket n.2, viene radiogoniometrato e gli uomini del famigerato maggiore delle S.S. italiane Mario Carità, capo della banda omonima che così triste ricordo ha lasciato nella città del Santo,   vi irrompono. I partigiani si salvano da una uscita secondaria, ed i repubblichini trovano in casa solo una giovane signora (la moglie dell’ing.Bertolini) con il figlioletto, che, terrorizzata, chiede ed ottiene il permesso di uscire, permesso che le viene concesso di buon grado perché, pensano gli altri,  è meglio aver libertà di movimento senza donne, bambini, ed i loro strilli, fra i piedi.
Ed è così che la donna  passa sotto il naso dei fascisti spingendo la carrozzina con sopra il bimbo adagiato sul materassino sotto il quale “Margot”, prima di tagliare la corda, d’accordo con  la coraggiosa signora,  aveva nascosto la sua piccola  radiotrasmittente che fu così salva e continuò  a svolgere la sua preziosa attività.
Ecco perché l’attestato  dell’O.S.S. evidenzia “il coraggio e l’intelligenza” di Dario Leli riconoscendo che “la sua prima preoccupazione era di salvare gli apparati e garantire la continuità del servizio”.
Ora i figli  Gemma,  Claudio e Giacomo  Leli custodiscono gelosamente questo prezioso reperto (foto  a fianco) assieme ad altri documenti e foto del loro padre Dario, Sottocapo r.t. della Marina imbarcato sul sommergibile “Sirena”,  il  mitico “Margot” della Resistenza Italiana.

                                                                                                                               Giovanni  Zannini