ENRICO TOTI MONCO, SALTIMBANCO, EROE
Il centenario della Prima Guerra Mondiale ha riportato
d'attualità oltre ad avvenimenti storici
anche i nomi di quanti la vissero: generali illustri, ma anche umili
combattenti, e gli eroi.
Fra i più noti, Enrico Toti, il bersagliere privo d’una gamba che all'assalto, prima di morire,
scaglia la stampella contro il nemico.
In genere, quest'uomo viene ricordato per il gesto estremo
che lo rese famoso, ma raramente sono rievocati gli interessanti anni della sua
vita che lo precedettero: il libro di Lucio Fabi (“Enrico Toti – Una storia fra
mito e realtà” - Ed. Persico – 2005 dal quale provengono le informazioni che
seguono) consente invece di conoscerli e
di approfondire fatti ed episodi sicuramente poco noti che verranno qui
rievocati tralasciando di occuparci della leggenda che circonda
il gesto di Enrico Toti
L'eroe nato a Roma il 20 agosto 1882, a 15 anni si arruola
nella Marina Militare ove permane otto
anni denotando però un carattere da “pelle storta” (modo popolare
dell'epoca per indicare l'uomo
coraggioso ma portato all'avventura
e insofferente alla disciplina) fino a
che si congeda nel 1904 per essere
d'aiuto alla famiglia in un momento di
difficoltà.
Sulle orme del padre, ferroviere, viene assunto, nel 1905 dalle
Ferrovie dello Stato fino a che il 2
marzo 1908 è vittima di un incidente sul lavoro che gli provoca
l'amputazione della gamba sinistra
poco sotto il bacino.
Dopo l’incidente reagisce alla sventura e crea una piccola
azienda artigianale per la lavorazione
del legno, con 3 o 4 dipendenti, che
produce giocattoli, soprammobili e
ninnoli di vario genere, che gli
assicura, sommata alla pensione, una vita finanziariamente tranquilla.
Ma, già dotato di una notevole prestanza fisica, non si
deprime e non risparmia sacrifici per fortificare il proprio corpo onde dimostrare
che la disgrazia non lo ha vinto, ma, anzi, l’ ha rafforzato, e, ribelle, si
getta allora in imprese che suscitano interesse e ammirazione sia in Italia che
all’estero.
Fu soprattutto la bicicletta, con la quale intraprende, fra
la sorpresa generale, il giro del mondo (che in realtà si riduce ad un “tour”
in Europa ed in Africa, che è pur sempre
incredibile, straordinaria impresa) a dimostrare
che la sua forza fisica è sopravvissuta alla sventura.
Il “giro” inizia il 30 settembre 1911 da Roma, ove risiede, ed in poco
meno di dieci mesi, come risulta dalla sue memorie, percorre in bicicletta ed in treno quasi
18.000 chilometri. Attraversa la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Germania, la
Danimarca, la Svezia e la Norvegia, tocca i ghiacci della Lapponia e da lì la Russia, la Finlandia, la Polonia: tutto
attestato dai visti di poliziotti, ferrovieri,
uffici postali e di altre autorità delle località attraversate, sul suo
diario.
Giunto a Vienna, però, forse ritenendolo un pericoloso
esempio per i nazionalismi che già insidiavano l’impero absburgico, la polizia
gli ingiunge di togliere la fascia tricolore che porta a tracolla (e
ciò sarà all’origine dell’odio poi da lui sempre manifestato per l’Austria). Rifiuta,
interrompe il viaggio e torna a Roma il
12 giugno 1912 per un meritato riposo fino a che, spinto dal suo irrefrenabile
spirito di avventura, nel gennaio 1913 sbarca
in Africa ove si rimette in sella per raggiungere l’ Egitto e la Nubia, arrivando, scrive, “fin
sotto l’equatore nel Sudan, poco lungi dal Congo”: ma, a questo punto, le autorità inglesi che diffidano di quello
strano personaggio, lo fermano e lo rispediscono in Italia ponendo fine alla
sua avventura.
In tutti questi viaggi, per sopperire alle spese relative,
Toti, da solo, come un moderno “artista di strada” o affiancandosi a carovane
di girovaghi, si esibisce in spettacoli
in cui manifesta la sua inventiva ed intraprendenza eseguendo esercizi fisici (“atletismi”)
e manovre con la bicicletta che, già impegnativi
per atleti normodotati, suscitano maggior ammirazione in considerazione della sua infermità.
Al Cairo, ad esempio, ha molto
successo un suo spettacolo nel quale (dice la locandina) “l’uomo che fa il giro
del mondo in bicicletta con una gamba sola esegue un numero eccezionale di pittura a rovescio e di atletismo”. A
Stoccolma, per campare, dà lezioni
d’italiano, lavora come caricaturista nei teatri di varietà, e, altrove, vende proprie fotografie, autografate, che,
accanto all’inseparabile bicicletta, evidenziano la sua prestanza fisica nonostante
la mutilazione, e le medaglie (conquistate in
molte gare, fra cui l’attraversamento del Tevere a nuoto) che ornano la
sua abituale “maglia da ciclista”.
Rientrato dal viaggio in Africa, per
mantenersi ed anche per contribuire alle necessità della famiglia riprende con un certo successo, tanto da
fargli meditare di aprire un laboratorio, l’attività lavorativa interrotta per
il suo infrenabile desiderio di avventura.
Del resto la fantasia non gli
mancava di sicuro: aveva, tra l’altro, inventato un triciclo al quale aveva
applicato, sul manubrio, un’elica che faceva girare con una manovella azionata a mano, per
agevolarne la corsa; inoltre era riuscito a brevettare una benda speciale per
cavalli che, opportunamente manovrata,
copriva i loro occhi allorchè si imbizzarrivano.
Ma, ormai, la guerra incombe, ed
il 24 maggio 1915 infiamma vieppiù l’animo patriottico di Enrico Toti.
Tralasciamo di occuparci della
parte del libro di Lucio Fabi che esamina criticamente, talora con accenni
polemici, tutta la letteratura fiorita attorno al gesto dell’eroe Enrico Toti.
Ci limitiamo a riferire che essa
è altrettanto interessante, e che l’autore affaccia ivi qualche dubbio sulle
reali modalità del famoso gesto, mentre avanza l’ipotesi che esse siano state
esaltate, in guerra, dalle autorità militari per incitare i combattenti ad
emularlo, e, nel dopoguerra, dalla propaganda fascista per contribuire a
suscitare nei giovani la mentalità guerriera in vista dell’immane tragedia che
li attendeva.
Giovanni Zannini