Si dice che la storia si ripete, ed è vero, perché anche la prima
guerra mondiale conobbe la tragedia di molti
soldati di etnia italiana dispersi in Russia.
Infatti il "Corriere della sera" del 14 Marzo 1927 titola proprio "Gli italiani dispersi in Russia" e tale titolo potrebbe tranquillamente apparire anche su qualsiasi giornale dei giorni nostri a proposito dei militari italiani dispersi in Russia, ma nella II Guerra Mondiale, e ci si chiede per qual motivo questa situazione si sia potuta verificare.
Occorre dunque chiarire che nel primo conflitto mondiale l'Austria aveva arruolato nel suo esercito soldati di etnia italiana poi definiti "irredenti", ossia nativi di quelle terre che, all'epoca ancora sotto dominazione austriaca, furono poi "redente", ossia assegnate all'Italia dopo la sconfitta dell'Austria.
Essi , nativi del Trentino Alto Adige, della Venezia Giulia e della
Dalmazia, subito dopo l’entrata in guerra dell’Austria contro la Serbia, furono
arruolati, in un numero che varia da 25.000
a 60.000 nell’esercito austriaco e
mandati, prudentemente, a combattere sul
lontano fronte russo, anziché in quello domestico, nel dubbio, fondato, che le aspirazioni autonomistiche di molti di loro, insofferenti
dell’occupazione austriaca, influenzassero
negativamente la loro combattività.
Infatti, coinvolti nelle drammatiche
battaglie fra russi e austriaci che insanguinarono il fronte orientale fin
dall’inizio della guerra nel 1914, molti italiani “irredenti”, privi di ogni motivazione per
combattere a favore dell’Austria, preferirono arrendersi e furono
fatti prigionieri dai russi.
Ma allorchè nel 1915 l’Italia
entrò in guerra a fianco della Triplice Alleanza (inglesi, francesi e russi),
gli italiani “irredenti” che rinnegarono il giuramento fatto all’Imperatore
d’Austria divennero automaticamente alleati della Russia, e per
questo furono liberati dai campi di prigionia: ma lasciati completamente in
balia di loro stessi.
Stupisce il fatto che, anziché utilizzare questi uomini facendoli
ancora combattere ma, questa volta, non
più a favore dell’Austria, ma contro di essa, i comandi militari alleati,
sempre avidi di “manodopera” combattente,
abbiano invece deciso di rinunciare al loro apporto.
Ma tale “manodopera” era
inutilizzabile militarmente dal momento che, se fatti prigionieri, gli
“irredenti” sarebbero stati immediatamente passati per le armi dagli austriaci
come disertori (vedi Cesare Battisti e
Nazario Sauro) e questo timore avrebbe bloccato del tutto le loro
capacità combattive: donde la decisione di smobilitarli e farli rientrare in
Italia.
Per questo una Commissione
militare italiana giunta sul posto si dedicò anzitutto a rastrellare per quanto
possibile quegli uomini sparsi nell’immenso territorio russo
ed a concentrarli in un campo di
raccolta a Kirsànov (nella regione del Don) ed in altri due minori, in attesa del
rimpatrio.
Ma il suo compito si rivelò ben presto assai arduo perché la via più
breve per raggiungere l’Italia attraverso, la Bulgaria e la Grecia, era ostruita dalla Bulgaria entrata in guerra
a fianco degli austro-ungarici per cui fu giocoforza scoprire vie nuove che ancor oggi, per la loro audacia, destano
stupore.
Una prima soluzione fu quella di raggiungere in treno il porto di
Arcangelo, nel nord della Russia, sul Mar Bianco, rimasta
l’unica via di comunicazione marittima della Russia con l’Europa, e di imbarcare
una parte degli “irredenti”, decimati dal
freddo, dalla fame e dalle malattie su piroscafi che, dopo aver fatto il
periplo del nord della penisola
scandinava raggiunsero l’Inghilterra e da qui, attraverso la Francia, l’Italia.
Ma allorchè i ghiacci impedirono la navigazione, gli organizzatori
furono costretti a studiare per gli
uomini rimasti, un’altra via di fuga ancor
più lunga e perigliosa, che da Kirsànov, mediante la ferrovia Transiberiana,
raggiungeva il porto di Vladivostok, toccava il continente americano dopo aver
superato l’Oceano Pacifico, attraversava gli Stati Uniti da est a ovest
e, superato con un ultimo balzo,
l’Oceano Atlantico, raggiungeva l’Europa e poi l’Italia.
Facendo quasi l’intero giro del mondo, in
condizioni di vita precarie ed al limite della sopravvivenza.
Giunti a Vladivostok, ove erano stati allestiti campi di raccolta in attesa dell’imbarco per
l’America, il viaggio degli “irredenti” ebbe un’ulteriore svolta imprevista
perché la situazione politica interna della Russia ove nel marzo 1917 era
scoppiata la rivoluzione consigliò i responsabili della complessa (e
allucinante) operazione di spostare quegli
uomini in un luogo più sicuro. Allora il viaggio massacrante prosegue per
ferrovia da Vladivostok, attraverso la
Manciuria, fino al luogo “sicuro”: Tientsin, la “Concessione” ( una piccola
colonia) ottenuta dall’Italia, come da altri stati europei, nel 1900 dalla Cina
alla fine della “Guerra dei Boxer”.
Quivi giunti, un gruppo di ex prigionieri partiti
da Tientsin riuscì, percorrendo il previsto, incredibile itinerario, a raggiungere, finalmente, l’Italia.
Ma per quelli rimasti a Tientsin, si aprì un
ulteriore capitolo della loro interminabile avventura perché coinvolti nella guerra (dopo la rivoluzione una
sanguinosa guerra civile oppose i russi comunisti ai “Russi Bianchi”,
contro-rivoluzionari, rimasti fedeli al
defunto Zar) che l’Italia, con gli alleati inglesi e francesi, aveva
deciso di appoggiare paventando che il prevalere
dei rivoluzionari avrebbe favorito
l’espandersi del comunismo nell’ Europa occidentale.
Per questo fu costituito il C.S.I.E.O. (Corpo di Spedizione
italiano in Estremo Oriente) con base a Tientsin, del quale la “Legione Redenta
in Siberia” composta dagli “irredenti”,
fondata dal Maggiore dei Carabinieri Reali Cosma Manera, fu il primo nucleo poi rafforzato dall’arrivo
dall’Italia di un contingente di soldati fra cui gli Alpini.
Al corpo di spedizione italiano fu affidato nell’estate
del 1919 il compito di mantenere attiva la ferrovia Tientsin-Vladivostok in Manciuria per
approvvigionare i “Russi Bianchi” fino a che, constatata l’impossibilità di
contrastare ulteriormente i comunisti, il Corpo di Spedizione Italiano fu
rimpatriato alla fine del 1919: ultima,
a lasciare la Cina nel 1920, la “Legione Redenta” che al suo arrivo
(finalmente!) in Italia fu accolta con
onore dalle autorità italiane.
Ma non tutti lasciarono la Russia: taluni si erano formata una nuova famiglia e questi vincoli
crearono in loro una completa apatia morale.
La stessa che colpì, con incredibile analogia, alla
fine della seconda guerra mondiale (ricordate il film di De Sica “I girasoli”
interpretato da Mastroianni e della Loren?) altri soldati italiani cui la
violenza della guerra, le inaudite sofferenze, la lontananza e, perchè no, il
fascino slavo della donna russa, avevano attenuato, e poi completamente
distrutto, ogni legame con la terra natia.
Padova 10/2/2015 Giovanni Zannini
.