5/26 giugno 1940: brutti tempi per i francesi. I
tedeschi sfondata la “linea Weygand” entrano in Parigi (14 giugno) e
contemporaneamente, aperta una breccia nella “linea Maginot”, chiudono in una
grande sacca ciò che resta dell’esercito francese. La Francia agonizza.
Il 10 giugno 1940 Mussolini annuncia al mondo,
tronfio, l’entrata in guerra dell’Italia contro Francia ed Inghilterra: è la
pugnalata nella schiena che i francesi non dimenticano e che, all’occorrenza,
non mancano di rimproverarci.
La Francia, moribonda, dinanzi al vile affronto, ha
un sussulto, un ultimo guizzo: e scatta la vendetta.
L’esercito francese, è vero, è sconfitto, ma la
marina francese è ancora viva e intatta, e il 14 giugno la III squadra navale
francese agli ordini dell’ammiraglio Emile-Andrè-Henri Duplat lascia la munita
base di Tolone e prende il mare: rotta su Genova.
Le navi francesi ad un certo punto si separano: il
“gruppo Vado” (incrociatori “Algerie” e “Foch” con i cacciatorpediniere “Vauban”,
“Lion”, “Aigle”, “Tartu, “Chevalier Paul” e “Cassard”) puntano su Vado Ligure,
mentre il “gruppo Genova” (incrociatori “Dupleix”, “Colbert” con i
cacciatorpediniere “Vautour” e “Albatros”) dirige su Genova.
Intanto, all’alba del 14 giugno, una vedetta della
torpediniera italiana “Calatafimi” (varata 17-3-1923; stazza: 1000 tonnellate; armamento:
cannoni da 76/30 mm Armstrong 1914) che,
agli ordini del Tenente di Vascello Brignole sta navigando nelle acque
antistanti la costa ligure tra Genova e Savona di scorta al posamine “Gasperi”,
avvista alcune unità nemiche, quelle del “Gruppo Genova”. Dopo di averne tempestivamente
informato Supermarina ed aver ordinato al ”Gasperi” di rientrare immediatamente
alla base, si dispone, senza indugio, pur non conoscendo l’esatta consistenza
del nemico, all’attacco: posti di combattimento, cannoni in punteria e tubi di
lancio brandeggiati verso le navi nemiche.
Il comandante approfittando della foschia che rende difficile il suo
avvistamento, punta ad avvicinarsi il più possibile al nemico che, intanto, dalla distanza di 6/7000 metri ha
aperto il fuoco su Genova.
Ma il
“Calatafimi”, che a sua volta spara
sugli avversari con il suo pezzo di prora, viene per ciò avvistato e fatto segno di una
rabbiosa reazione nemica che fortunatamente non gli reca danno cosicchè può
proseguire il suo ardimentoso avvicinamento. Giunto ai tremila metri, Brignole lancia due siluri
che però, a causa dei continui zig-zag impressi alla sua nave per sfuggire al
tiro micidiale degli artiglieri avversari, non raggiungono il bersaglio. Si
avvicina ancora e lancia altri due siluri uno dei quali si disperde mentre
l’altro per un difetto del sistema di lancio
non fuoriesce e resta appeso mezzo fuori e mezzo dentro il tubo di
lancio.
Una cannonata che colpisce, danneggiandolo
gravemente, l’”Albatros” avversario, e che non si capisce bene se sparata da bordo o dalla difesa costiera (in
realtà, si accerterà poi, il colpo era
stato sparato da un cannone da 152 mm
della difesa costiera, Batteria Mameli -
zona Pegli) accende l’entusiasmo
dell’equipaggio che vorrebbe addirittura
gettarsi all’inseguimento dei francesi che si stanno nel frattempo allontanando
se il comandante, saggiamente, non avesse deciso di rientrare alla base con la
nave intatta scampata a quella pericolosa avventura: ma con il cannone di poppa
ancora in azione per cercare fino all’ultimo di colpire il nemico “in ritirata”
.
Sull’episodio della “Calatafimi” è sorta a suo
tempo una leggenda patriottica tendente
ad attribuirle il merito di avere da sola difeso Genova dall’attacco nemico e
di averlo messo in fuga.
Obbiettivamente, occorre dire che ad un certo punto
le navi nemiche si allontanarono per rientrare alla propria base, ma è dubbio
se ciò sia avvenuto considerando il nemico compiuta la missione,
ovvero perché intimorito dall’azione
spregiudicata della “Calatafimi” ritenuta far parte di una formazione navale
italiana ben più forte e numerosa in fase di contrattacco.
Sta però di fatto che gli uomini di una antiquata
navicella della nostra marina non esitarono ad affrontare un nemico ben più
numeroso ed agguerrito con un coraggio
ed un impeto veramente garibaldini - degni in tutto del suo nome rievocante un
glorioso episodio della guerra risorgimentale - che meritarono al suo comandante la medaglia d’oro al valor
militare.
Resta da dire che se il bombardamento navale
francese su Genova del 14 giugno 1940 produsse danni materiali modesti, ben più
gravi ne provocò sul morale dei genovesi
e per il trauma della terribile esperienza subita e per il fatto di sentirsi
esposti senza difese dato che era mancato sia il tempestivo avvistamento delle
navi nemiche in avvicinamento che l’uscita delle nostra per affrontarle.
Solo qualche modesta soddisfazione, dati i
drammatici momenti che stavano vivendo, l’ebbero i francesi che poterono in
quel modo vendicarsi della pugnalata
loro vilmente inferta.
Giovanni Zannini