"L'Illustrazione Italiana" N.10 del 11-3-1877 con il titolo "Lettere inedite di Carl'Alberto", dà conto della corrispondenza del principe resa pubblica da tal commendatore Domenico Berti (che il giornale ringrazia per il servizio reso agli studi storici) dalla quali emergono informazioni e notizie poco note e interessanti .
Carlo Alberto accetta la raccomandazione del padre di Camillo Cavour
Il 9 marzo 1823 il principe Carlo Alberto scrive al marchese Michele di Cavour, padre del piccolo Camillo, tredicenne, assicurandolo che appena potrà "fare qualche nomina nel personale della mia corte,... l'acquisto di quel giovanetto così interessante e che dà sì grandi speranze di sè avrà per me un doppio prezzo, soprattutto se posso credere di potervi mai mostrare, almeno nella persona di vostro figlio, la riconoscenza che vi devo e l'amicizia che ho per voi".
Ma quale favore aveva chiesto al principe, per il suo Camillo, il marchese di Cavour? Il posto di paggio nella corte principesca, e precisamente il primo, fermo restando che il secondo posto era destinato al figlio del conte Sonnaz che pure si era fatto avanti per ottenere al figlio la prestigiosa nomina.
E, a conferma, otto giorni dopo il principe aveva scritto al suo fidatissimo conte d'Auxers, che appoggiava la richiesta del marchese di Cavour, che ""...la prima (nomina - ndr) sarà certo quella di quel caro Camillo, così interessante per sè stesso e a cui sono già così sinceramente affezionato. Ricevetti ultimamente una lettera di Sonnaz in cui mi chiedeva per suo figlio il secondo posto di paggio; aggiungendo "quello dopo il piccolo Cavour" "".
Un dramma alla corte del principe
E, a conferma, otto giorni dopo il principe aveva scritto al suo fidatissimo conte d'Auxers, che appoggiava la richiesta del marchese di Cavour, che ""...la prima (nomina - ndr) sarà certo quella di quel caro Camillo, così interessante per sè stesso e a cui sono già così sinceramente affezionato. Ricevetti ultimamente una lettera di Sonnaz in cui mi chiedeva per suo figlio il secondo posto di paggio; aggiungendo "quello dopo il piccolo Cavour" "".
Un dramma alla corte del principe
Il 6 ottobre 1822 il principe di Carignano riferisce, in una lettera diretta al conte Luigi d'Auxers, il fatto verificatosi tre settimane prima nella sua residenza di Firenze ove - dopo che il re Carlo Felice aveva sconfessato la politica del principe nel periodo in cui era stato suo reggente - aveva trasferito, praticamente in esilio, la sua corte.
Era dunque accaduto che tre settimane prima, una domenica, fra le 11 e mezzanotte, la nutrice madama Teresa Giannotti-Rasca che stava vigilando sul sonno del figlio del principe, Vittorio (il futuro Vittorio Emanuele 2°), essendosi chinata con un lume in mano per cercare qualcosa attorno al letto del bambino, aveva dato fuoco alla zanzariera ed in breve le fiamme erano divampate. La donna, "non pensando che a salvare il bambino, e dimenticando sè stessa, prese Vittorio e lo portò in mezzo la camera gettandogli addosso tutta l'acqua che potè trovare: e solo dopo che il fuoco che avvolgeva il bambino era stato spento, si precipitò nella stanze vicine, con gli abiti in fiamme, a chiedere aiuto. Il bambino se la cavò "con una mano assai offesa e tutto il lato sinistro del corpo che fu intaccato,...e un po' di febbre": ma, sottolinea il padre, "egli soffre con gran coraggio".
Male andò invece alla povera donna che ustionata orribilmente in tutto il corpo morì tra inennarrabili sofferenze. Il principe si esprime con parole di viva riconoscenza per la donna che gli ha salvato il figlio, e scrive che "avrò almeno la consolazione di benedire il santo suo nome in mezzo alle tribolazioni; chè Vittorio, per una vera grazia del Signore, è quasi interamente guarito , esce di già a comincia a servirsi abbastanza bene della mano".
Un unico desiderio: guadagnarsi il Paradiso
Le lettere che Carlo Alberto scrive al fidato amico conte d'Auxeres da Firenze sono una conferma dei pensieri che turbinano nella sua mente, dei suoi dubbi, delle considerazioni sul passato e delle previsioni per il futuro che gli valsero il noto appellativo di "Italo Amleto". Persino, la tentazione, respinta, del suicidio che pare emergere dalla sua 19 settembre 1822 allorchè scrive che "mi vengono tante tristi idee che la mia testa si confonde".
Ma su questa corrispondenza aleggia un profondo senso religioso che gli fa sopportare, senza lamentarsi, le sofferenze passate, e la rassegnazione per il futuro: "la volontà di Dio" scrive " si compia in tutto e per tutto".
E, confessa il 5 ottobre 1822, "non ho altri desideri che quello di guadagnarmi un giorno il Paradiso e di confermarmi quaggiù la stima d'un piccol numero d'amici come voi...".
Epperò, prosegue, "qualunque cosa possa capitarmi, saprò prendere il mio partito colla fermezza d'un uomo che non agisce se non con viste superiori e che conosce il mondo per un tirocinio che credo abbastanza severo...".
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"Non è vero" conclude l'ignoto articolista dell' Illustrazione Italiana di tanti anni fa " che da queste lettere si lumeggi un po' meglio e in modo particolare la misteriosa figura del grande esule d'Oporto?".
E noi concordiamo con lui.
Giovanni Zannini