Francesco Bertolini (1836-1909)
storico, professore di storia all'Università di Bologna, nel suo
imponente volume (ben 827 pagine) “Risorgimento Italiano” (Ed.
F.lli Treves – Milano - 1899) che copre il periodo che va
dall'inizio delle “Restaurazioni” (1815) fino alla liberazione di
Roma (1870), scrive di un tentativo di accordo avvenuto nel 1864 fra
Vittorio Emanuele II e Mazzini per la liberazione di Venezia e del
Veneto.
Notizia innegabilmente sorprendente e
poco nota, che l'autore trae dal libro “Politica segreta italiana”
con il quale nel 1880 l'editore Roux di Torino rese noti documenti
dai quali emergeva che “il Re d'Italia non isdegnasse valersi della
popolarità e dell'influenza di Giuseppe Mazzini per ottenere la
liberazione della Venezia; e il Mazzini, pur di addivenire al
realizzamento del suo pensiero sommo, la unificazione della patria
italiana, non isdegnasse, dal canto suo di accettare la cooperazione
di un Re”.
Le trattative, secondo il Roux non
avvennero direttamente fra il re e Mazzini, avvenimento clamoroso che
sarebbe stato difficile tenere segreto, ma per interposta persona:
“un ingegnere Muller, agente mazziniano, e un avvocato G.Pastore,
persona di fiducia del Re”.
Esse miravano a concertare un moto
insurrezionale provocato da Mazzini nel Veneto che avrebbe
giustificato un intervento del Regno d'Italia in soccorso degli
insorti.
Ed a conferma della notizia, il Roux
pubblica una nota autografa 3 marzo 1864 del re al Muller, che
fa riferimento alle trattative in corso allorchè afferma che
“...sono disposto a concertare come si chiede, ma assumendo io e
il mio Governo, quando si avrà ombra di possibilità,
il glorioso mandato dell'opera finale
della patria nostra.... ma guai a tutti noi se non sappiamo ben farlo
abbandonandoci ad impetuose, intempestive frenesie....”.
Ossia d'accordo a “concertare” con
Mazzini, ma deciderò io, e alla larga da sue eventuali mattane.
Ed alla teoria del tentato complotto
Vittorio Emanuele/Mazzini per la liberazione del Veneto, Francesco
Bertolini aggiunge un'ulteriore prova.
Egli riferisce infatti che Enrico
Tavallini, biografo di Giovanni Lanza, afferma che dalle sue poche
carte emerge che “Vittorio Emanuele si compiacesse di fare il
cospiratore” e che, “caduto il Ministero Minghetti e succedutogli
quello La Marmora, Lanza trovò già avviata una corrispondenza
con alcuni emigrati stranieri da cui risultava di intimi accordi e di
sussidi dati per l'organizzazione di parecchi comitati
(evidentemente di ispirazione Mazziniana – n.d.r.) che si andavano
provvedendo d'armi e preparavano una insurrezione la quale ad un
ordine del governo italiano doveva scoppiare in alcuni stati e nel
Veneto. Lanza continuò quell'opera e la favorì di consigli e di
danaro contenendola nei limiti di ordinata preparazione.... Ma dopo
il ritiro del Lanza pare che i successori di lui (Natoli e Chiaves)
non abbiano più coltivato alacremente quel disegno; e La Marmora,
com'ebbe stretto alleanza con la Prussia, disdegnò tutti gli altri
elementi di forza (moti di popolo e insurrezioni mazziniane –
n.d.r.) che non fossero quelli dell'esercito”.
Quanto alle “concertazioni” tra
Vittorio Emanuele e Mazzini - conclude Francesco Bertolini - , dopo
essere state condotte per oltre un anno, senza alcun risultato,
furono bruscamente spezzate per il fatto della “Convenzione di
settembre”.
Evidentemente Mazzini, sdegnato, non
volle avere più nulla a che fare con Vittorio Emanuele reo di aver
sottoscritto il 15 settembre 1864 con Napoleone III una Convenzione
con la quale da una parte la Francia s'impegnava a ritirare le sue
truppe a protezione dello Stato Pontificio, ma dall'altra l'Italia si assumeva la responsabilità di difenderlo da ogni attacco da qualsivoglia parte provenisse e prometteva di trasferire la propria capitale da Torino a Firenze, con
ciò dimostrando il proprio disinteresse a fare di Roma la capitale d'Italia, il sogno che Mazzini aveva coltivato per tutta la vita.
Padova 10-3-2019 Giovanni Zannini
Padova 10-3-2019 Giovanni Zannini