Abbiamo già rilevato con una certa sorpresa, il contenuto dell'art.XII del Memorandum
segreto
presentato nel marzo
1915 dall'Italia all’Inghilterra contenente
le condizioni alle quali l'Italia stessa
subordinava la sua entrata in guerra a fianco delle potenze dell’Intesa
(Inghilterra, Francia, Russia), che così recitava: ”… L’Inghilterra e l’Italia
si obbligano alla reciproca garanzia dell’indipendenza dell’Yemen…”.
Pari sorpresa suscita il successivo art.XV dello stesso Memorandum del seguente tenore:
” Inghilterra, Francia e Russia s’impegnano ad appoggiare l’Italia nell’opporsi
ad ogni eventuale proposta di ammissione di un
rappresentante della Santa Sede
nei negoziati per la pace al termine
della presente guerra”.
Riteniamo anzitutto strano che in un documento destinato a
programmare una guerra alla quale fino ad allora era rimasta estranea, l’Italia
pensasse già ai negoziati di pace che si sarebbero verificati alla fine del
conflitto.
Perché, allora, tanta prudenza e preveggenza? Cosa c’era
sotto?
L’on.Meda del Partito Popolare nel “I
cattolici italiani nella guerra” del 1928 scriveva apertamente di “mal
dissimulate prevenzioni antivaticane di Sonnino (ministro degli Esteri
dell’epoca al quale si attribuisce la stesura del “Memorandum” italiano – nda), mentre nelle infuocate giornate del maggio
1915, “i politicanti vaticanisti” scrive
Antonio Salandra nel suo “L’intervento “
del 1930, “sbraitavano contro Sonnino ebreo e protestante…”.
Niente vero, ribatte
Salandra: Sonnino, figlio di un commerciante di origine ebraica e di madre
inglese che allevò i figli nel culto anglicano, non era affatto anticlericale,
a meno che non si volesse considerare
tale chi, come del resto anche lui stesso, si proclamava liberale.
Infatti, il vero
motivo dell’ostracismo di Sonnino e di
Salandra alla partecipazione della Santa Sede ai futuri trattati di pace era soprattutto
ispirato da preoccupazioni di carattere costituzionale e cioè dal timore che in
quella sede si attribuisse alla Santa
Sede quella qualifica di Stato cui essa
aspirava ma che non aveva.
La “Legge delle Guarentige” del 1871, scrive Salandra, aveva stabilito che al Pontefice fosse
attribuita la qualità di Sovrano, ma aveva contemporaneamente stabilito “che
fosse rigorosamente esclusa l’esistenza di uno Stato Pontificio…”.
Quindi il rappresentante del Sovrano Pontefice, che non
aveva uno Stato (cosa ben singolare! –
nda), non avrebbe potuto sedere a fianco
dei rappresentanti di altri Sovrani che,
invece, lo Stato ce l’avevano eccome: e l’Italia temeva che questo stato di
cose potesse, in occasione della conferenza
di pace, essere modificato.
Però, oltre a questa preoccupazione di diritto
costituzionale, Salandra non nascondeva il
timore che in una futura Conferenza della Pace cui partecipasse anche
la Santa Sede qualche potenza , simpatizzante
per il papato, volesse porre il problema, già da qualcuno accennato (come ad
esempio i cattolici tedeschi e, in una occasione, l’ambasciatore di Spagna a
Londra), della soluzione dei rapporti
fra Stato Italiano e Santa Sede, o che,
addirittura, fosse lo stesso eventuale rappresentante della Santa Sede, a
suscitarlo.
Furono dunque questi, conclude Salandra, “i motivi, esenti
da ogni passione anti-cattolica o anti-religiosa, che ci indussero ad inserire
nell’art.XV dell’accordo di Londra una clausola esprimente la chiara e
ferma nostra volontà, già
preventivamente fatta nota agli Imperi
Centrali del pari che alle potenze dell’Intesa”.
E Gabriele De Rosa scrivendo di Benedetto XV sulla “Enciclopedia
dei Papi – Treccani”
conferma l’assoluta resistenza di Salandra sul punto anche
quando l’abile Card. Gasparri propose di così modificare l’art. XV:
“Nessun non belligerante sarà ammesso all’eventuale conferenza di pace
se non con il consenso dei sottoscrittori (dell’Accordo di Londra – nda)”.
Solo il governo inglese si dichiarò favorevole alla modifica
proposta da Gasparri osservando che essa non ne alterava la sostanza e che anzi
essa “avrebbe potuto presentare qualche vantaggio non solo per l’alleanza in
generale ma anche per l’Italia”.
Invece il governo francese e quello americano, scrive De
Rosa, non presero in alcuna considerazione la proposta della Santa Sede.
Anzi, il ministro Sonnino confermò che il governo italiano
non poteva in alcun modo consentire che si ponesse in discussione “qualsiasi
revisione o sostituzione delle disposizioni sancite dalla Convenzione di Londra
del 1915” che “dovevano restare intatte…così per l’art.XV come per tutto il
resto”.
Chiara la minaccia che ove, invece, ciò fosse accaduto, i
termini della Convenzione stessa sarebbero stati rimessi in discussione.
In conclusione ci si chiede il perché della strenua resistenza del governo italiano
dell’epoca a difesa dell’art.XV dell’Accordo di Londra.
Con il senno di poi ci si chiede se non sarebbe stato invece utile
all’Italia, e addirittura auspicabile,
che un consesso internazionale già intento a risolvere importanti problemi,
affrontasse e risolvesse anche quello
annoso dei rapporti fra Stato e Chiesa insorti all’indomani dell’unità
d’Italia.
Padova 6-3-2016
Giovanni
Zannini