L’opera scritta a due mani da P.Pozzato e R.Dal
Molin “DALL’INTERROTTO ALL’ORTIGARA – La Maginot austriaca sull’Altopiano dei 7
Comuni”(stampato presso Cierre
Grafica - Caselle di Sommacampagna (VR) – Ed. Marzo 2012) contiene il diffuso,
dettagliato rapporto dei fatti d’arme avvenuti nel 1916 sull’Altopiano di
Asiago redatte dal Magg.Gen.Rudolf Mulller che comandò la 12° brigata di
fanteria K.u.K. (mista, composta da soldati austriaci, Kaiserlich, imperiali, e
ungheresi, Koneglich, regi) sull’Altopiano di Asiago.
In esso viene rievocata la brusca frenata della sin
ad allora vittoriosa Strafexpedition che aveva portato gli austriaci fin sul bordo estremo dell’altopiano di
Asiago pronti a dilagare nella sottostante pianura padana, resa necessaria nella
tarda primavera del 1916 dalla necessità di trasferire sul fronte orientale russo (ove infuriava la
sanguinosa “Battaglia di Luck” che poneva in pericolo gli stessi confini della madrepatria austriaca) le
migliori divisioni “K.u.K” che avevano
fin ad allora partecipato alla travolgente
avanzata che dovette, per tal motivo, essere arrestata.
La nuova situazione impose al Comando austriaco di conservare
il terreno strappato agli italiani durante la travolgente avanzata e quindi di spostare il proprio fronte dal limite
estremo dell’altopiano prospiciente la pianura, poco difendibile, e di arroccarsi, arretrando per circa 4/6
chilometri, su di una linea di resistenza più corta che andava dal Monte
Interrotto al Monte Ortigara. Fu quindi necessario costruire una linea di resistenza
a oltranza munita di fortificazioni campali che gli autori del libro non
esitano a paragonare alla francese Linea Maginot della 2° guerra mondiale. In
realtà, essa non fu mai infranta
nonostante i ripetuti, accaniti, sanguinosi, furibondi contrattacchi degli
italiani che, in ossequio ad ordini che
oggi si possono ben definire criminali, furono massacrati a migliaia dinanzi alle
invalicabili trincee austriache.
Una linea che si dimostrò robusta ed inattaccabile,
ricca di ricoveri, caverne e trincee ben allestite ma che essendo prima ed anche unica perché priva
di altre linee arretrate, doveva essere difesa ad ogni costo e con qualsiasi
mezzo, ivi comprese le forche che erano state erette all’inizio della Val
Galmarara, monito per chi avesse cessato la resistenza e scelta la via della
fuga dinanzi al nemico.
E’ certamente merito degli autori di aver
pubblicato il rapporto Muller scritto
poco dopo la fine del conflitto allorchè i ricordi erano ancora ben vivi nella sua
mente, che consente di conoscere da un nemico sostanzialmente obbiettivo e che
non esita talora a riconoscere cavallerescamente il valore del soldato
italiano, atti ed avvenimenti poco e forse per nulla noti in Italia.
Ci limitiamo qui a riportarne alcuni.
Apprendiamo così che durante la terribile,
imponente nevicata dell’inverno
1916/1917 che scaricò sui monti dell’Altopiano di Asiago fino ad 8 metri di neve,
gli austriaci, anziché spalarla dalle trincee, operazione lunga ed improba,
preferirono ricavare nelle trincee stesse una serie di tunnel nei quali ad
intervalli di 20 passi venivano aperti pozzi verso l’alto per far passare luce
ed aria ed installare posti di osservazione.
Sfruttando tale modalità gli austriaci, durante lo
stesso inverno, “per ravvivare la guerra di posizione e dare al nemico tutti i
grattacapi possibili” mossero alcuni
originali attacchi contro le difese italiane creando piccoli gruppi di incursori–assaltatori
composti di 7/8 uomini armati, ad
imitazione dei nostri “arditi”, di sole bombe a mano, pugnali e rivoltelle.
Furono scavate per essi, durante la notte, nella
neve alta 8 metri, delle gallerie ad altezza d’uomo che arrivavano a ridosso
delle trincee italiane ed a quel punto gli assalitori emergevano dai pozzi di
uscita dai tunnel aggredendo di sorpresa i nostri soldati in trincea seminando
morte e distruzione.
In uno di questi tentativi si verificò un fatto
singolare che pur nella sua drammaticità assume aspetti umoristici.
Per infliggere più gravi danni al nemico con un
maggior numero di assaltatori, fu in un
caso studiato un piano di attacco che prevedeva, per poter raggiungere le
trincee italiane distanti 500 passi, lo
scavo di tre gallerie correnti a
distanza di 50 passi l’una dall’altra.
I due uomini addetti allo scavo della galleria di
centro udirono ad un certo punto con sorpresa e preoccupazione il rumore di
altre pale che scavavano nella neve e ritennero trattarsi di italiani che,
informati delle loro intenzioni, stavano scavando una contro-galleria. Ecco il
racconto del Col. von Ventour comandante del 17° Reggimento di fanteria che
aveva autorizzato l’impresa :”…i due decisero di starsene tranquilli, con il
pugnale in mano ed attendere fino a che non fosse comparso l’italiano per
saltargli subito al collo finchè si udì chiaramente il rumore vicinissimo delle
pale e dopo pochissimo tempo fece la sua comparsa una pala sulla quale, con
rapida decisione, uno degli uomini si gettò afferrandola saldamente per
trattenere l’italiano e poi gettarsi su di lui, allorchè dall’altra parte
risuonò un inequivocabile ”Preklet hudic!” (maledetto demonio) e quando cadde
il muro di neve che ancora li separava due soldati austriaci dello stesso 17°
reggimento di fanteria si trovarono uno di fronte all’altro”.
Cos’era
successo?
I due uomini
addetti allo scavo di una delle gallerie a fianco di quella centrale, avevano
“sbagliato strada” e, invece di tirare
diritto, avevano deviato verso quella centrale fino ad impattarla, con le
conseguenze sopra descritte. Superato l’incidente, l’azione proseguì e,
purtroppo per gli italiani, ebbe, secondo il comandante austriaco, esito positivo mentre gli incursori austriaci
ebbero a lamentare la perdita di un caporale.
“In questi mesi” scrive Muller, soddisfatto, “le
nostre pattuglie d’incursori ottennero
splendidi successi sull’intero fronte italiano”.
Ma altri particolari sconvolgenti emergono dal suo
rapporto.
Dopo uno dei loro disperati, inutili attacchi, i
fanti italiani si ritirarono lasciando nel tormentato terreno denominato “terra
di nessuno” esistente fra le trincee austriache e quelle italiane, un gran numero di morti che spargevano un odore
nauseabondo e penetrante per cui ”…nella
notte sul 10 luglio (1916) il nemico li cosparse di benzina e diede loro fuoco.
Simili a delle fiaccole fiammeggianti queste colonne di fuoco illuminarono per
tutta la notte la terra di nessuno”.
Poi, un inedito “affumicamento” provocato dagli
italiani per tentare di snidare gli austriaci dalle loro trincee. “Nel settore
nord dopo un fallito attacco il nemico,
in corrispondenza della zona della 9° compagnia, diede fuoco con i
lanciafiamme al bosco che la notte
precedente aveva innaffiato con liquido infiammabile. Tra crepitii, scoppiettii
e tuoni il bosco bruciò per l’intera
giornata…ma l’obbiettivo italiano non venne raggiunto perché la valorosa 9°
compagnia resistette con coraggio…”.
Tra l’altro, da un episodio riportato nel rapporto,
apprendiamo come, nella 1° guerra mondiale, i cani collaborarono con i soldati italiani
nella difesa della patria.
“…Nelle ore
serali il caporalmaggiore Neumann cercò di snidare un saliente nemico. Si portò
con i suoi uomini fino a 30 passi dagli
italiani. Tradita troppo presto da un “cane da trincea” e scoperta, la
pattuglia dovette ripiegare dopo la morte del suo caporalmaggiore che tanto
spesso si era distinto…”.
Evidentemente, gli italiani erano riusciti a
militarizzare perfino i cani.
Ma fra tanta ferocia, anche qualche segno
d’umanità.
Dopo un’ intensa giornata di feroci combattimenti, “…la notte una serie di ambulanze italiane si
portò attraverso Rodighieri e Bosco fin
davanti alla nostra linea per recuperare gli innumerevoli feriti e sgomberare i
cumuli di cadaveri: neppure un colpo austriaco” sottolinea la relazione, “disturbò
questo nobile dovere cameratesco”.
Infine, la pietà.
Così il Magg.Gen. Muller conclude la sua
rievocazione: “Fu grazie all’intima collaborazione del Cappellano Steiner, dei Ten. Loschnig e
Wurtinger, e di molti volontari, che
venne realizzato un grazioso cimitero sull’Interrotto. In una radura solatia ed
amena, curati ed assistiti dall’amore dei camerati, dormivano il loro
sonno i fedeli, indimenticati eroi del
reggimento. Il Ten.Loschnig…venne proposto dal reggimento per la croce d’onore per gli ufficiali di II classe della croce
rossa col rango di cavaliere”.
Se la proposta fu accettata, mai medaglia fu più meritata.
Giovanni Zannini
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