Si tratta dell’adattamento dei cognomi di cittadini di una nazione di
cui una parte sia stata trasferita sotto la sovranità di un’altra, alla lingua
della nazione inglobante.
In Italia l’operazione “restituzione” riguardò i
territori del Trentino e del Sud-Tirolo che
dopo la vittoria della prima guerra mondiale erano stati liberati e con il
trattato di Rapallo del 20-3-1921 annessi all’Italia. Nel 1926 il fascismo si
accorse che, scandalosamente, in quei territori molti cognomi originariamente
italiani erano stati tradotti in tedesco
e decise di porre rimedio a
questa grave situazione.
Così, il 24-5-1926
emanò la legge secondo la quale “le famiglie della provincia di Trento che portano un cognome originario
italiano o latino tradotto in altre lingue o deformato con grafia straniera o con l’aggiunta di suffisso straniero
riassumeranno il cognome originario nelle forme originarie… La restituzione in
forma italiana sarà pronunciata con Decreto del Prefetto della Provincia che sarà notificato agli
interessati, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno e annotato nei registri dello stato
civile”.
Ed erano anche previste delle penalità: infatti
“chiunque dopo la restituzione avvenuta fa uso del cognome o del predicato
nobiliare nella forma straniera è punito con la multa da L.500 a L.5.000”.
Successivamente, più di un anno dopo, il fascismo si accorse che questa pericolosa anomalia permaneva anche
nelle Province di Trieste, Gorizia, Pola e Zara
i cui territori erano stati
parimente annessi all’Italia dal trattato di Rapallo, e dove i cognomi originariamente italiani o latini
erano stati tradotti o deformati in lingua croato-slovena.
Così, il
R.Decreto 7-4-1927 estese anche a questi territori le disposizioni della legge
24-5-1926 relative alla “restituzione”
dei cognomi in forma italiana per
cui, ad esempio, i Devetag si videro trasformati in Devetta, i Makutz in
Macuzzi, i Percovich in Percuzzi, i Kastelik
in Castelli, i Katalan in
Catalani, i Braikovic in Bravini, i Domancich in Domini, i Lobenstein in Pierleoni, i Voigt in Castaldi, i
Gembrecich in Gembrini, i Beherend in Archer, i Berini in Archi, gli Husel in Cuselli,
e così via.
Pertanto, anche a seguito di tali provvedimenti,
anziché favorire la pacifica integrazione delle popolazioni alloglotte annesse
all’Italia dopo la fine della prima
guerra mondiale, lo sciocco nazionalismo
fascista favorì il sorgere del loro irredentismo. Di quello tedesco in Alto Adige cui pose fine la
saggezza dell’accordo De Gasperi/Gruber,
e di quello slavo delle
popolazioni croate e slovene che alla
fine, sommato ad altri provvedimenti ostili (quali, ad esempio, l’abolizione
dell’insegnamento delle loro lingue nelle scuole) ed alla sciagurata invasione
italiana della Jugoslavia nell’ultima guerra, portò ai sanguinosi giorni dell’infausta
occupazione titina di Trieste, alle
foibe ed all’esodo di 350.000 italiani che,
vittime della politica nazionalista fascista, furono scacciati dalle loro terre.
Giovanni Zannini
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