Fu
proprio quello l’inconsueto itinerario seguito da coloro che ebbero l’ingrato
compito di custodire Benito Mussolini dopo che il re, a Villa Savoia, l’aveva
destituito nel pomeriggio del 25 luglio 1943, lo stesso giorno in cui, alle tre
del mattino, si era conclusa l’ultima seduta del Gran Consiglio del Fascismo con l’ordine del giorno Grandi che ne decretò la
fine.
Un
vagare affannoso e non programmato alla ricerca di un luogo sicuro in cui
depositare l’ingombrante fardello, sotto l’incubo di possibili colpi di mano
sia da parte degli inglesi che di Hitler il quale già dal 26 luglio aveva messo in moto, per
la liberazione del duce, una “task
force” affidata al colonnello Otto Skorzeny.
Si
comincia con il trasferimento, la sera del 27 luglio, da Roma a Gaeta ove alle
prime luci dell’alba del giorno successivo Mussolini viene imbarcato sulla
corvetta “Persefone” che fa rotta per l’isola di Ventotene. Quivi giunti, dopo
una rapida ispezione, si constata che non è possibile sistemarvi il
prigioniero, e, sui due piedi, si decide di dirigere su Ponza ove la nave
giunge nel pomeriggio dello stesso giorno.
Ivi
l’ex duce viene sistemato alla meglio in una catapecchia, ed il 7 agosto scatta
l’allarme.
Scrive:”…Stanotte,
verso l’una sono stato svegliato con le seguenti parole:”Pericolo in vista! Dobbiamo
partire”. Mi sono vestito in tutta fretta, ho raccolto i miei oggetti e le mie
carte e mi sono recato su di un incrociatore che mi attendeva…”.
Un
primo tentativo di Skorzeny?
La
nave sulla quale il prigioniero viene imbarcato in tutta fretta è, più precisamente, il caccia F.R.22 (l’ex
“Pantera” francese, preda di guerra) che
lo trasferisce nell’isola della Maddalena ove resterà fino al mattino del 28
agosto quando, sentendo sulla nuca, i custodi del duce, il
fiato dei segugi scatenati alla sua caccia, Mussolini viene ancora una volta precipitosamente
imbarcato su di un idrovolante della Croce Rossa che ammarra all’idroscalo di
Vigna di Valle sul lago di Bracciano.
Effettivamente,
l’implacabile Skorzeny era già sulla Maddalena e solo l’improvviso decollo del
velivolo gli aveva sottratto la preda.
Da
Vigna di Valle il prigioniero viene trasferito, ancora una volta a bordo di
un’autoambulanza, ad Assergi donde in data incerta, probabilmente il 31 agosto,
viene condotto per funivia all’albergo rifugio di Campo Imperatore ove Skorzeny
il 12 settembre riesce a portare a termine, rocambolescamente, la missione
affidatagli dal suo Fuhrer.
Fin
qui l’itinerario percorso in 50 giorni dal duce, un calvario che suscita in lui
meditazioni che la gloria terrena aveva per troppo tempo sopite, raccolte in
due quaderni che egli chiamerà “Pensieri pontini e sardi”.
Di
essi lo stesso Mussolini aveva perso le tracce: nel suo libro “Il tempo del
bastone e della carota”, infatti, ricordando il suo travagliato trasferimento
da Roma al Gran Sasso, afferma (parlando, come noto, in terza persona), che “…Fu
concesso a Mussolini di scrivere. Pare abbia fatto delle notazioni quotidiane
di carattere filosofico, letterario, politico, ma questa specie di diario non
lo si è più trovato…”.
Appare
dunque necessario un chiarimento.
Dalla
“Nota informativa” che apre il suddetto libro di Mussolini si apprende che i
due quaderni manoscritti finirono nelle mani del “liberatore” Skorzeny il quale
si affrettò ad inviarli al capo delle SS. Himmler. Questi, dopo averli tradotti
e fotografati, li consegnò in originale allo stesso Hitler il quale li restituì
a Skorzeny, e questi al Duce: ma poi, se ne sono perse le tracce.
E
allora, da dove spuntano?
Pochi
giorni prima della capitolazione della Germania giunse all’ufficio militare
tedesco di Kreismunster, presso Linz, l’ordine di distruggere tutti i documenti
ivi esistenti. In quella occasione cadde sotto gli occhi dell’ufficiale tedesco
addetto una copia della traduzione del primo quaderno dei “Pensieri Pontini e
Sardi” quello che va, come già detto, dal 2 al 19 agosto 1943.
Resosi
conto dell’importanza del documento (e, forse, della possibilità di farci
qualche marco……) l’ufficiale lo salvò dalle fiamme e successivamente lo
consegnò al giornale austriaco “Salzburger Nachrichten” che, controllatane
l’autenticità, lo pubblicò a puntate, ripreso poi dalla stampa italiana .
Ora
i “Pensieri pontini e sardi” figurano nell’”Opera Omnia” di Mussolini” edita, a
cura di Duilio ed Edoardo Susmel, dalla casa editrice “La Fenice” di Firenze
nel 1963.
Il
secondo quaderno è invece allo stato attuale, e salvo altre sorprese,
scomparso.
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Ma
torniamo al testo.
Ne
emergono lo scoramento, la
rassegnazione, i “mea culpa”, il desiderio di conforto religioso, ed i sintomi
della caduta.
“Fin
dall’ottobre 1942 – vi si legge - ho avuto un presentimento continuamente
crescente della crisi che mi avrebbe travolto. La mia malattia vi ha molto
contribuito”.
Il
tema della malattia (ulcera duodenale con ripetute crisi) ritorna:”E’ strano
che negli ultimi tempi il lavoro nella grande sala di Palazzo Venezia mi era
venuto a noia. Avevo già deciso di trasferirmi al Ministero della Marina o in
un altro posto della periferia più concentrato di palazzo Venezia di fronte
all’altare della Patria. Un sintomo della mia malattia”.
Ed
a proposito della costruzione di un rifugio antiaereo sotto Villa Torlonia scrive:”…la mia ripulsione
verso il rifugio antiaereo crebbe a causa di un oscuro presentimento… Avevo
l’esatta sensazione che questo rifugio sarebbe stato completamente inutile, che
non ce ne saremmo mai serviti. Infatti! Si deve ascoltare la voce del
subcosciente”.
A
Ponza legge il libro “Vita di Cristo” (del canonico lateranense Giuseppe
Ricciotti) la cui lettura aveva iniziato, si noti, già prima del 25 luglio e
che la moglie Rachele, trovatolo aperto sul suo tavolo, gli aveva fatto pervenire
assieme ad altre poche robe.
“”Due
libri mi hanno molto interessato in questi ultimi tempi: “La vita di Gesù” di
G.Ricciotti e “Giacomo Leopardi” di Saponaro. Anche Leopardi è stato un po’ crocifisso!””.
Chiede
di vedere il parroco ma gli è impedito, ed allora gli scrive pregandolo di
celebrare una messa in suffragio del figlio Bruno nel secondo anniversario
della morte donandogli, in segno di gratitudine, la “Vita di Cristo” che il sacerdote trova
annotato e sottolineato in più punti. Una frase, in particolare:”E Gesù uscì
solo, non gli era d’appresso neppure un amico”.
Il
sacerdote risponde assicurando che celebrerà la Messa nella speranza che anche
lui possa parteciparvi, ma il trasferimento alla Maddalena lo impedirà.
Quivi
giunto annota:”” Oggi 17 agosto è venuto da me, su mia richiesta, il parroco
della Maddalena, don Capula. L’ho intrattenuto brevemente sulle mie faccende e
gli ho detto che le sue visite mi avrebbero aiutato a vincere la grave crisi
morale provocata dall’isolamento più che da tutto il resto. E il
sacerdote:”…Lei non è stato sempre grande nella fortuna: sia grande ora nella
disgrazia. E’ da questa che il mondo la giudicherà, da quello che lei sarà a
partire da ora e molto meno da quello che lei è stato fino a ieri. Dio, che
vede tutto, la osserva e sono sicuro che lei non farà nulla che possa ferire i
principi religiosi cattolici, dei quali lei si ricorda, anche se dovessero prodursi nuovi colpi del
destino”. Gliel’ho promesso””.
Ripensando
poi a Palazzo Venezia, a Villa Torlonia,
alla Rocca delle Camminate, commenta:”…Io ho abbandonato tutto ciò da vivo. Eppure
è come se fossi morto…”.
In
un colloquio con l’Ammiraglio Maugeri sulla corvetta Persefone che lo conduce a
Ponza, insiste:”…Io sono politicamente defunto…”.
Ed
a chi gli chiede un autografo si firma “Mussolini defunto”.
Il
19 agosto annota: “…la mia settimana di passione cominciò precisamente un mese
fa con il mio incontro col Fuhrer a Feltre” e confessa: la previsione che “la
Germania ci piantava in asso, e che dopo la conquista della Sicilia gli inglesi
sarebbero arrivati…fino a Roma…accrebbe la tensione nervosa già prossima al
collasso”.
E
poi: “….Questa sarebbe dunque la mia posizione giuridica: ex capo del governo
in stato di arresto protettivo contro la furia popolare!”.
Quindi
un rimpianto:””Nella mia vita non ho mai avuto nessun amico, ma è meglio così
perché in tal modo molta gente è
esentata dal “compatirmi”, cioè dal “patire con me””; ed un pentimento:”…Povera
Rachele! Quanta poca gioia le ho dato e quanti dolori. Durante trent’anni non
una sola settimana di calma. Meritava forse un destino diverso e migliore che
essere legata alla mia vita tempestosa”.
A
proposito di donne scrive: ””….le donne non hanno mai esercitato la sia pur
minima influenza sulla mia politica. Forse è stato uno svantaggio. Talvolta,
grazie alla loro fine sensibilità, le donne sono più lungimiranti degli
uomini””.
Infine:“
La massa è stata pronta, in tutte le epoche ad abbattere gli idoli di ieri
anche a costo di pentirsene domani.. Ma nel mio caso non sarà così. Il sangue,
l’infallibile voce del sangue mi dice che la mia stella è tramontata per
sempre”.
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Tre
giorni dopo la liberazione avvenuta a Campo Imperatore il 12 settembre 1943,
Mussolini fonda, il 15 dello stesso mese, il Partito Fascista Repubblicano ordinando di
“appoggiare efficacemente e cameratescamente
l’Esercito germanico che si batte sul territorio italiano contro il
comune nemico” e l’1 dicembre dello stesso anno proclama la nascita della RSI,
la “Repubblica Sociale Italiana”.
Giovanni Zannini
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