Se io fossi
il direttore di un giornale e dovessi scrivere un articolo sull’argomento che
andiamo a trattare, sparerei in prima
pagina, ed a caratteri cubitali, il seguente titolo: “Duello fra Pietro e Paolo
ad Antiochia”.
E questo
perchè la vicenda che viene raccontata negli Atti degli Apostoli al cap.15 e,
con maggiori dettagli, nella lettera di Paolo ai Galati, è poco conosciuta dalla maggioranza dei
cattolici per cui la pubblicazione potrebbe costituire un
autentico “scoop” e creare interesse a conoscere la singolare vicenda. Essa testimonia
un aperto dissenso fra Pietro e Paolo: infatti,
nell’edizione della vecchia Bibbia in mio possesso, la parte della
lettera ai Galati che tratta del Concilio di Gerusalemme viene riportata con questo vistoso sottotitolo: “Paolo ebbe
l’ardire di riprendere pubblicamente
Pietro in Antiochia”.
Da parte
sua, Papa Benedetto, senza peli sulla lingua,
come dimostrano sue recenti dichiarazioni molto franche, nell’udienza generale dello scorso mercoledì 1
ottobre 2008, parla di “incidente di Antiochia di Siria”: un modo elegante per
non parlare apertamente di “scontro” fra Pietro e Paolo.
Ma per
comprendere il significato del Concilio di Gerusalemme svoltosi in questa città
circa nel 50 d.c. occorre riferirsi all’importante problema che il
cristianesimo delle origini dovette affrontare: se i cristiani convertiti dovessero
continuare ad osservare la legge mosaica il cui punto più importante prevedeva,
come noto, l’obbligo della circoncisione.
In proposito
si manifestarono due correnti: l’ una, sostenuta dai cristiano- gentili, ossia dai
pagani (i gentili) convertiti al cristianesimo, con a capo Paolo che negava la
necessità di osservare la legge mosaica; l’altra, sostenuta dai giudeo-
cristiani, ossia dai giudei convertiti al cristianesimo cui apparteneva Pietro affermava, al contrario, l’ obbligo
di osservarla..
L’”INCIDENTE”
DI ANTIOCHIA
Andiamo ora
ad Antiochia (l’antica Antakya) ove esisteva una comunità creata da Paolo composta
in maggioranza da cristiano-gentili, i quali vivevano in pace e tranquilli nella
loro convinzione, fino a che, a turbare
la loro serenità, arriva ad un certo
punto un gruppo di giudeo-cristiani i quali, affermando di essere inviati dalla
Chiesa di Gerusalemme - composta in
maggioranza da farisei (giudei) convertiti -
dicono senza tanti complimenti ai
cristiano-gentili della città che è loro obbligo osservare la legge mosaica e quindi, in
primis, che pur essi si devono far circoncidere anche se non ne hanno alcuna voglia.
Ma Paolo insorge
e contesta decisamente la loro pretesa
affermando che il sacrificio di Cristo sulla Croce ha giustificato
(ossia, reso giusti) gli uomini: non vi
è più, dunque, la necessità di essere giustificati dalle opere della legge
mosaica la quale fu data agli uomini, dice Paolo, “perché fosse preparazione a
Cristo” il quale, con la sua venuta, li
ha liberati da essa. E se, aggiunge, la giustificazione (ossia, l’esser fatti
giusti) si dovesse ottenere per mezzo della legge (mosaica), Cristo sarebbe morto invano.
A questo
punto, dato che nel momento in cui
arrivano quei rompiscatole, ad Antiochia c’è pure Pietro, ex giudeo, che va d’amore e d’accordo (Paolo dice che “mangiava con loro”) con i
cristiano-gentili della città, ci si chiede se e quale atteggiamento prenda
Pietro nei confronti dei nuovi venuti.
Tace, non
prende posizione, e nella lettera ai Galati, visto che lui “si ritraeva e se ne
stava da parte”, Paolo reagisce e lo
rimbrotta con parole sferzanti.
Ma come, gli dice, “se tu che sei giudeo vivi
da gentile (mangi qui, con loro) e non da giudeo, come mai costringi
i gentili (aggiungo io, con il tuo silenzio, e l’atteggiamento ambiguo)
a seguire la legge dei giudei?”. Pietro non risponde, ma si capisce che lo fa
“per timore di disgustare e allontanare dalla fede i circoncisi”, ossia i
giudei-cristiani, ma così facendo
permette che molti cristiano-gentili di Antiochia si facciano convincere dai
messaggeri di Gerusalemme e passino dalla loro parte. Allora Paolo, preoccupato
per la piega che la cosa sta prendendo, assieme a Barnaba ed a Tito, suo fedele
collaboratore, decide di recarsi alla
Chiesa madre di Gerusalemme anzitutto per sapere se quelli che erano arrivati
ad Antiochia erano stati veramente da essa inviati e parlavano in suo
nome, e poi per conoscere il suo punto
di vista sull’obbligo o no, da parte dei cristiani convertiti, di dover continuare ad osservare la legge
mosaica.
A Gerusalemme
trova Pietro - che vi aveva fatto
ritorno dopo il soggiorno ad Antiochia -
assieme agli altri Apostoli, a Giacomo il Minore, Vescovo della Chiesa madre di
Gerusalemme ed agli anziani e,
finalmente, il Concilio di Gerusalemme ha inizio.
COMINCIA IL
CONCILIO
Paolo
racconta tutto quello che Dio aveva
compiuto per mezzo suo durante il lungo viaggio
attraverso la Fenicia e la Samaria, più faticoso di quello che avrebbero
potuto fare per mare, ma molto più
fruttuoso sul piano dell’evangelizzazione.
Terminata la
sua esposizione, “si alzarono allora alcuni della setta dei Farisei (giudei divenuti cristiani) che
dissero:”Bisogna circoncidere anche i gentili (ossia i pagani divenuti
cristiani) e imporre loro di osservare la legge di Mosè””
Allora interviene
Pietro che evidentemente, è interessante notarlo, si è pentito
dell’atteggiamento ambiguo tenuto ad Antiochia, e che questa volta prende
nettamente posizione a favore della tesi di Paolo dicendo:”…Dio, che conosce i
cuori, ha dato ad essi (i gentili) testimonianza dando loro lo Spirito Santo come a noi: non
ha fatto nessuna differenza fra noi (i giudei) e loro, avendo purificato i loro
cuori per mezzo della fede. Ordunque perché imporre sul collo dei discepoli (i
pagani convertiti) un giogo che né i nostri padri né noi abbiamo potuto
portare? Ma per mezzo della grazia del Signore
Gesù crediamo di esser salvi noi
(i giudei) allo stesso modo di loro (i gentili)”: quindi la legge mosaica non
va più osservata.
Udite le due
diverse tesi, “gli Apostoli e gli Anziani si riuniscono per esaminare la
questione” ed alla fine Giacomo il Minore, Vescovo della Chiesa madre di
Gerusalemme, illustra la decisione presa
dall’assemblea: una soluzione di compromesso che accontenta tutti.
Dice infatti
Giacomo: “Ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio fra i pagani, ma solo
si ordini loro di astenersi dalle
sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue”:
l’obbligo della circoncisione che costituiva l’ostacolo principale per la fede
dei pagani è, come si vede, finalmente
decaduto.
A seguito di
ciò l’assemblea decide di mandare ai fratelli di Antiochia una lettera contenente le decisioni
prese, e l’affida a Paolo e Barnaba
assieme a Giuda (detto Barsabba) e Sila (Silvano), uomini eminenti della Chiesa madre di Gerusalemme.
Ma qual è il
contenuto di tale lettera?
LA VITTORIA
DI PAOLO
Anzitutto
chiarisce che quel gruppo di persone arrivate ad Antiochia “a turbarvi con i
loro discorsi che hanno agitato i vostri
animi, non avevano avuto alcun mandato speciale” dalla Chiesa di Gerusalemme
contrariamente a quanto da essi
affermato; quindi riferisce sull’esito del Concilio che, come abbiamo sopra visto, ha mantenuto in vita solo alcune prescrizioni della legge mosaica
abolendo però l’ obbligo di farsi circoncidere che era per i pagani convertiti,
il più difficile da osservare.
Arrivati ad
Antiochia, Paolo, Barnaba, Giuda e Sila lessero ai cittadini il messaggio che era stato loro affidato, e quelli “ne rimasero contenti per l’esortazione che
essa conteneva”. Allora Giuda e Sila,
“che erano pur essi profeti, rivolsero più volte la parola ai fratelli per esortarli e fortificarli”, dopo di che Giuda se ne tornò a Gerusalemme mentre Sila,
che evidentemente ci si era trovato bene, restò ad Antiochia.
Da parte
loro Paolo e Barnaba, dopo aver pur essi predicato, dopo alcuni giorni, lasciata Antiochia , si rimisero in
cammino per andare a visitare i fratelli delle varie città in cui avevano
predicato, “per vedere come stanno”, una premura paterna molto commovente.
La vicenda,
dunque, è a lieto fine e, se vogliamo
usare un linguaggio sportivo, possiamo dire che il “match” si chiude nettamente
a favore di Paolo.
COMMENTI
Ma quali
insegnamenti possiamo trarre da questa vicenda alla quale ho voluto dare un
taglio cronachistico, come da inviato speciale accreditato al Concilio di
Gerusalemme, e quali pensieri può essa suscitare? Eccone alcuni.
1) Dal
Concilio di Gerusalemme emerge quale sia nella Chiesa il grande valore della
collegialità secondo la quale i problemi che la riguardano vanno affrontati e
discussi dai partecipanti nelle sedi competenti con la massima libertà affidando poi l’obbligo di prendere le
decisioni definitive a chi ha la responsabilità suprema, il Papa.
2) Il
sistema democratico non è sempre applicabile nell’ambito della Chiesa. Ferma,
infatti, la necessità della più ampia
consultazione, il Papa non può
essere vincolato dal parere di eventuali
maggioranze che egli non condivida.
3) Nella Chiesa vi deve essere la più ampia
libertà di espressione ed in proposito cito quanto scritto sul suo giornale il
13 luglio 2008 dal Direttore della Difesa del Popolo don Cesare Contarini :”Ai pastori fa bene “percepire” cosa i fedeli sentono, pensano,
dicono e scrivono…..Quando incontriamo un’opinione diversa dalla nostra, prima
di scartarla o contestarla o prendercela con chi la esprime, vediamo come ci può essere
utile. Può offrirci un punto di vista
ignoto o farci conoscere una prospettiva fino ad allora fuori dalla nostra
visuale, che potrebbe illuminarci su esperienze e riflessioni di chi la pensa diversamente da noi dentro o
fuori la Chiesa, può costringerci a studiare e approfondire meglio le ragioni
della nostra fede e delle nostre scelte etiche”.
4) Nella
allocuzione del 24.1.1960 in occasione dell’inaugurazione del Sinodo della
Chiesa romana, Papa Giovanni XXIII affermava:”…. La Santa Chiesa
è depositaria ed interprete della dottrina di Gesù e ne contiene l’insegnamento
che non muta: ma quanto alla disciplina ed alle forme accidentali e secondarie
ne consente, secondo i tempi e le circostanze, qualche modificazione……”
E allora mi chiedo: quali sono le
forme “accidentali e secondarie” che possono essere modificate dal trascorrere
del tempo? Certamente la liturgia, la Messa in latino, i canti ed i suoni in
chiesa, tamburi compresi, la disposizione degli altari, gli indumenti degli
ecclesiastici, e così via.
Ma possiamo considerare tali, ad
esempio, il celibato dei sacerdoti, o il
sacerdozio delle donne?
Giovanni Zannini
Nota: le
frasi fra virgolette sono quelle autentiche degli Atti e della lettera Paolina
ai Galati.
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