QUANDO IL VECCHIO TESTAMENTO FA RIDERE
Non vorrei che, dato il titolo,
qualcuno mi prenda per ateo,
anticlericale, materialista e così via, mentre io sono, e mi onoro di esserlo,
cattolico, apostolico e pure romano. Solo che il “Vecchio Testamento” (che è la
prima parte della Bibbia, la seconda è
il Vangelo) è un libro antichissimo che
racconta la storia dell’alleanza stretta
da Dio con il popolo eletto per mezzo dei Patriarchi e di Mosè, e che annuncia
e prepara le venuta del Redentore. La sua lettura è interessantissima dal punto
di vista religioso e letterario, ma
essendo un libro di storia, esso
registra non solo fatti ed episodi esemplari , ma pure faccende che esemplari
non lo sono proprio come le corna, il
concubinaggio, i tradimenti e le infedeltà, o le violenze, i massacri e le guerre continue ivi contenute, fatti tutti riferiti ad usi e costumi (che Gesù Cristo nel Vangelo si preoccupò poi di
riformare) di tribù antichissime di livello culturale molto basso e semi barbaro, per non dire barbaro del tutto.
Donde il pericolo (ed è questo il motivo per cui la Chiesa cattolica proibì fino a non molti anni fa la lettura del
Vecchio Testamento) che, essendo esso definito il “Libro sacro” per eccellenza, qualche lettore poco colto e preparato consideri “sacre” anche le molte porcherie che ci sono
dentro: insomma, che taluni episodi
siano raccontati in questo libro sacro non vuol dire che tutto quello che vi è
contenuto sia da approvare e da raccomandare, anzi!
E dal momento che il Vecchio Testamento è un libro che documenta accuratamente tutto
quanto accaduto in secoli di storia, andiamo a vedere alcuni fatti ed episodi ivi riportati
che sono francamente buffi , a cominciare dal libro della Genesi, al
capitolo 9 dove si parla di Noè, quello
della famosa Arca.
Allorchè, terminato il diluvio, ne discese, si diede a coltivare la terra e piantò anche
una vigna che produsse molta uva dalla quale ottenne dell’ottimo vino,
tanto buono che, per averne tracannato
più del necessario, una volta “s’inebriò e giacque scoperto nella sua tenda”.
Il figlio minore Cam che si era preoccupato di andare a vedere come stava il
padre, entrato nella tenda se lo trovò
di fronte addormentato, ebbro, tutto
scomposto, che russava, e con le
“vergogne” in bella vista. Allora preoccupato, ne informò i fratelli Sem e Jafet i
quali, camminando all’indietro per non vedere, a loro volta, le “vergogne”
del genitore, lo coprirono mettendo così
fine allo scandalo. Ma quando, passata
la sbornia, Noè apprese che Cam aveva visto le sue ”vergogne”, si arrabbiò
moltissimo e maledì lui e tutti i suoi
discendenti (e questo, si legge nella nota di una vecchie edizione del Vecchio
testamento, è il motivo per cui “la stirpe di Cam” (ossia, i negri), ha sempre
tenuto fra i popoli l’ultimo luogo”).
Francamente, non capisco di che colpa si fosse macchiato il povero Cam,
mentre era invece Noè che doveva starci attento a non sbronzarsi : il che, tra
parentesi, in contrasto con la teoria dominante che l’alcool fa
male, non gli precluse una lunga
vecchiaia dato che visse per ben 950 anni.
Ma andiamo avanti con la Genesi ove al capitolo 12 troviamo Abramo che
dovendo emigrare in Egitto perché dalle sue parti si moriva di fame, raccomanda
alla moglie Sara, “bella e desiderabile”, di non parlare con gli egiziani del loro
coniugio perché in tal caso essi gli avrebbero fatto la pelle per renderla libera e impalmabile. Come
previsto, siccome la Sara era proprio un gran bel pezzo di figliola, la fama
della sua bellezza giunse all’orecchio del Faraone il quale se ne innamorò,e,
accertato che era libera perché, come da
lei affermato, Abramo era solo suo
fratello, se la sposò. Quindi, per
riguardo a lei, trattò bene Abramo, divenuto suo cognato, il quale “ebbe pecore e buoi e asini e servi
e serve e cammelli” e, aggiungo io,
diede origine al fenomeno detto “Parentopoli” che prospera tuttora.
Ma il Signore si arrabbiò molto
con il Faraone perché andava a letto con la moglie di Abramo e gli
mandò un mucchio di guai. Francamente non si capisce perché tanta ira dal momento che il Faraone, pur con tutti i suoi
torti, in questo caso era in buona fede,
tanto è vero che, a sua volta, se la prese con Abramo e, dopo avergli
rinfacciato di aver mentito sul reale stato civile della donna, lo scacciò dall’Egitto riconsegnandogli la Sara che, dopo aver assaporato gli agi del
letto del Faraone, riprese
tranquillamente a giacere in quello più modesto e meno comodo sotto la tenda di Abramo.
Nel “Deuteronomio” , al
capitolo 25, sotto il titolo “Leggi di onestà e di giustizia”, si fa poi il caso di una moglie che, per venire in
aiuto del marito che si sta menando con un altro, nel trambusto della
colluttazione dà una energica strizzata alle “vergogne” (a riecco le “Vergogne”, attributi peraltro molto utili e divertenti delle quali io
non mi vergogno affatto) dell’avversario che le erano venute a tiro, mettendolo
in fuga. A questo punto ti aspetteresti un elogio per la donna che ha
dimostrato tanto coraggio ed il suo
grande amore per il marito in pericolo: invece no, perché in tal caso, allorchè una donna avesse toccato
le “vergogne” di un uomo che non fosse suo marito, la legge
di allora imponeva a quest’ultimo di
tagliare la mano della sua sposa “ senza aver di lei compassione alcuna”.
Evidentemente era meglio che, in tali circostanze, le mogli
lasciassero tranquillamente ammazzare i mariti piuttosto che contagiare l loro
mani con
contatti impuri, anche se
involontari e giustificati dalla legittima difesa del coniuge che stava per
rimetterci la pelle.
Ma torniamo al libro della “Genesi” dove, al capitolo 29, assistiamo ad un gran pasticcio.
Un certo Labano, un signorotto
di Haran, accoglie affettuosamente il
nipote Giacobbe al quale, dopo un mese
di diligente lavoro al suo servizio, chiede cosa desideri in compenso.
Occorre sapere che Labano aveva
due figlie: la maggiore, che si chiamava
Lia, era piuttosto racchia e aveva perfino “gli occhi cisposi”, mentre la
minore, Rachele, era un fior di ragazza da perderci la testa: e Giacobbe, in
risposta alla domanda dello zio, gli dice che sarebbe soddisfatto se, dopo aver
lavorato per altri sette anni alle sue dipendenze, gli avesse
dato in sposa la bella figlia Rachele. Labano accetta e Giacobbe,
dopo aver sgobbato dalla mattina alle sera per lunghi sette anni che “per il
grande amore che le portava gli parvero pochi giorni”, chiede ed ottiene dallo
zio di poter finalmente, come promesso, impalmare l’ agognata Rachele. Si celebra con
grande fasto il matrimonio ed alla fine
lo sposo, nel buio della camera nuziale, incontra finalmente la sposa che,
avvolta, come allora usava, in un velo, è in trepidante attesa. Tutto si
svolge regolarmente ma, al risveglio, il povero Giacobbe ha l’amara sorpresa di
trovarsi accanto gli occhi cisposi della
Lia al posto di quelli splendenti della
Rachele.
Ci resta male, e lo dice, risentito, al suocero, il quale si
giustifica dicendo che ha dovuto ricorrere al sotterfugio perché “da noi non si usa far maritare, avanti delle
maggiori, le minori”, per cui, essendo stato, il matrimonio con la Lia consumato, non c’era più niente da fare . Al
più, gli dice, “finisci la settimana di
questo sposalizio, poi ti darò anche
l’altra per il servizio che mi presterai per altri sette anni”. Giacobbe, ancora una volta accettò e, passata la settimana dedicata, non si sa con quanta soddisfazione,
alla Lia, ”giunto finalmente al possesso della bramata,
amò più Rachele che Lia (e ci credo - n.d.a), e servì a Labano per altri sette
anni”.
Per chi voglia poi sapere come
andò a finire, dirò che a far figli ci
riuscì meglio la moglie racchia di quella
bella , la quale, per poter, in qualche modo, dare un figlio a Giacobbe, dovette ricorrere,
e con successo, alla disponibilità di
una sua ancella che autorizzò a giacere
con lui, dando origine alla modalità procreativa oggi definita “dell’utero in
affitto” cui taluni ricorrono, ma con la
piccola differenza che, allora, le ancelle il loro utero lo mettevano a
disposizione gratuitamente, mentre oggi
tale prestazione, a quanto dicono, costa
molti ma molti quattrini.
E qui mi fermo, anche se altre
occasioni per ridere , leggendo il Vecchio Testamento, non mancano, e, diciamolo,
vengono a proposito perché uno, dopo
aver letto pagine e pagine dal contenuto impegnativo, ha pur il diritto di
farsi quattro risate.
Giovanni Zannini
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