domenica 10 giugno 2012


QUANDO IL VECCHIO TESTAMENTO FA RIDERE
Non  vorrei che, dato il titolo, qualcuno mi prenda per  ateo, anticlericale, materialista e così via, mentre io sono, e mi onoro di esserlo, cattolico, apostolico e pure romano. Solo che il “Vecchio Testamento” (che è la prima  parte della Bibbia, la seconda è il Vangelo)  è un libro antichissimo che racconta  la storia dell’alleanza stretta da Dio con il popolo eletto per mezzo dei Patriarchi e di Mosè, e che annuncia e prepara le venuta del Redentore. La sua lettura è interessantissima dal punto di vista  religioso e letterario, ma essendo   un libro di storia, esso registra non solo fatti ed episodi esemplari , ma pure faccende che esemplari non lo sono proprio come  le corna, il concubinaggio, i tradimenti e le infedeltà, o le violenze, i massacri e  le guerre continue  ivi contenute,  fatti tutti riferiti ad usi e costumi  (che Gesù Cristo nel Vangelo si preoccupò poi di riformare) di tribù antichissime di livello culturale molto basso  e semi barbaro, per non dire barbaro del tutto. Donde il pericolo (ed è questo il motivo per cui la Chiesa cattolica  proibì fino a non molti anni fa la lettura del Vecchio Testamento) che, essendo esso definito  il “Libro sacro” per eccellenza,  qualche lettore  poco colto e preparato consideri  “sacre” anche le molte porcherie che ci sono dentro: insomma,  che taluni episodi siano raccontati in questo libro sacro non vuol dire che tutto quello che vi è contenuto sia da approvare e da raccomandare, anzi!
E dal momento che il Vecchio Testamento  è un libro che documenta accuratamente tutto quanto accaduto in secoli di storia,  andiamo a vedere alcuni fatti ed episodi  ivi riportati  che sono francamente buffi , a cominciare dal libro della Genesi, al capitolo  9 dove si parla di Noè, quello della famosa Arca.
Allorchè, terminato il diluvio, ne discese,  si diede a coltivare la terra e piantò anche una vigna che produsse molta uva dalla quale ottenne dell’ottimo vino, tanto  buono che, per averne tracannato più del necessario, una volta “s’inebriò e giacque scoperto nella sua tenda”. Il figlio minore Cam che si era preoccupato di andare a vedere come stava il padre,  entrato nella tenda se lo trovò di fronte addormentato, ebbro,  tutto scomposto, che russava,  e con le “vergogne” in bella vista.  Allora  preoccupato, ne informò  i fratelli Sem e Jafet   i quali, camminando all’indietro per non vedere, a loro volta, le “vergogne” del  genitore, lo coprirono mettendo così fine allo scandalo.  Ma quando, passata la sbornia, Noè apprese che Cam aveva visto le sue ”vergogne”, si arrabbiò moltissimo e maledì  lui e tutti i suoi discendenti (e questo, si legge nella nota di una vecchie edizione del Vecchio testamento, è il motivo per cui “la stirpe di Cam” (ossia, i negri), ha sempre tenuto fra i  popoli l’ultimo luogo”).
Francamente, non capisco di che colpa si fosse macchiato il povero Cam, mentre  era invece Noè che doveva starci  attento a non sbronzarsi : il che, tra parentesi, in contrasto con la teoria dominante che l’alcool   fa male, non gli precluse una lunga   vecchiaia dato che visse per ben 950 anni.
Ma andiamo avanti con la Genesi ove al capitolo 12 troviamo Abramo che dovendo emigrare in Egitto perché dalle sue parti si moriva di fame, raccomanda  alla  moglie Sara, “bella e desiderabile”,  di non parlare con gli egiziani del loro coniugio perché in tal caso essi gli avrebbero fatto la pelle  per renderla libera e impalmabile. Come previsto, siccome la Sara era proprio un gran bel pezzo di figliola, la fama della sua bellezza giunse all’orecchio del Faraone il quale se ne innamorò,e, accertato che era  libera perché, come da lei affermato, Abramo era  solo suo fratello, se la sposò. Quindi,  per riguardo a lei, trattò bene  Abramo,  divenuto suo cognato,  il quale “ebbe pecore e buoi e asini e servi e serve  e cammelli” e, aggiungo io, diede origine al fenomeno detto “Parentopoli” che prospera tuttora.
Ma il Signore  si arrabbiò molto con il Faraone perché andava a letto con la moglie di Abramo  e  gli mandò un mucchio di guai. Francamente non si capisce perché tanta ira dal momento  che il Faraone, pur con tutti i suoi torti,  in questo caso era in buona fede, tanto è vero che, a sua volta, se la prese con Abramo e, dopo avergli rinfacciato di aver mentito sul reale stato civile della donna,  lo scacciò dall’Egitto  riconsegnandogli  la Sara che, dopo aver assaporato gli agi del letto del Faraone,  riprese tranquillamente a giacere  in quello  più modesto e meno comodo sotto la tenda di Abramo.
Nel  “Deuteronomio” , al capitolo 25, sotto il titolo “Leggi di onestà e di giustizia”,  si fa  poi il caso di una moglie che, per venire in aiuto del  marito che si  sta menando con un altro, nel trambusto della colluttazione dà una energica strizzata alle “vergogne”  (a riecco le “Vergogne”, attributi  peraltro molto utili e divertenti delle quali io non mi vergogno affatto) dell’avversario che le erano venute a tiro, mettendolo in fuga. A questo punto ti aspetteresti un elogio per la donna che ha dimostrato tanto coraggio ed il suo  grande amore per il marito in pericolo: invece no, perché  in tal caso, allorchè una donna avesse toccato  le “vergogne”  di un uomo che non fosse suo marito, la legge di allora imponeva a quest’ultimo  di tagliare la mano della sua sposa “ senza aver di lei compassione alcuna”.
Evidentemente era meglio che, in tali circostanze, le mogli lasciassero tranquillamente ammazzare i mariti piuttosto che contagiare l loro mani  con  contatti impuri,  anche se involontari e giustificati dalla legittima difesa del coniuge che stava per rimetterci la pelle.
Ma torniamo al libro della “Genesi” dove, al capitolo 29,  assistiamo ad un gran pasticcio.
Un certo  Labano, un signorotto di Haran,  accoglie affettuosamente il nipote Giacobbe  al quale, dopo un mese di diligente lavoro al suo servizio, chiede cosa desideri  in compenso.   Occorre sapere che Labano aveva due figlie: la maggiore, che si  chiamava Lia, era piuttosto racchia e aveva perfino “gli occhi cisposi”, mentre la minore, Rachele, era un fior di ragazza da perderci la testa: e Giacobbe, in risposta alla domanda dello zio, gli dice che sarebbe soddisfatto se, dopo aver lavorato per altri sette anni alle sue dipendenze,   gli avesse dato  in  sposa la bella  figlia Rachele. Labano accetta e Giacobbe, dopo aver sgobbato dalla mattina alle sera per lunghi sette anni che “per il grande amore che le portava gli parvero pochi giorni”, chiede ed ottiene dallo zio di poter finalmente, come promesso,  impalmare l’ agognata Rachele. Si celebra con grande fasto  il matrimonio ed alla fine lo sposo, nel buio della camera nuziale, incontra finalmente la sposa   che,  avvolta, come allora usava, in un velo, è in trepidante attesa. Tutto si svolge regolarmente ma, al risveglio, il povero Giacobbe ha l’amara sorpresa di trovarsi accanto gli occhi cisposi  della Lia al posto di quelli  splendenti della Rachele.  
Ci resta male, e lo dice, risentito, al suocero, il quale si giustifica dicendo che ha dovuto ricorrere al sotterfugio perché “da noi  non si usa far maritare, avanti delle maggiori, le minori”, per cui, essendo stato, il matrimonio con la Lia  consumato, non c’era più niente da fare . Al più, gli dice,  “finisci la settimana di questo  sposalizio, poi ti darò anche l’altra per il servizio che mi presterai per altri sette anni”. Giacobbe,  ancora una volta accettò e,  passata la settimana  dedicata, non si sa con quanta soddisfazione, alla Lia,   ”giunto finalmente al possesso della bramata, amò più Rachele che Lia (e ci credo - n.d.a), e servì a Labano per altri sette anni”.
Per  chi voglia poi sapere come andò a finire, dirò  che a far figli ci riuscì meglio la moglie racchia di  quella  bella , la quale, per poter, in qualche modo,  dare un figlio a Giacobbe, dovette ricorrere, e con successo,  alla disponibilità di una sua ancella  che autorizzò a giacere con lui, dando origine alla modalità procreativa oggi definita “dell’utero in affitto” cui taluni ricorrono, ma con  la piccola differenza che, allora,   le ancelle il loro utero lo mettevano a disposizione gratuitamente,  mentre oggi tale prestazione, a quanto dicono,  costa molti ma molti quattrini.
E qui mi fermo, anche se  altre occasioni per ridere , leggendo il Vecchio Testamento, non mancano, e, diciamolo,  vengono a proposito perché uno, dopo aver letto pagine e pagine dal contenuto impegnativo, ha pur il diritto di farsi quattro risate.
                                                                                                                    Giovanni  Zannini

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