LA STRAGE DI THIENE
L'inchiesta, non ancora pubblicata, dello storico Lino Scalco che ha nuovamente portato alla
luce la strage di Codevigo (rievocata
sul “Mattino” dello scorso 25 novembre) ove,
nel periodo dal 29 aprile alla fine di maggio 1945 furono trucidati dai partigiani comunisti 136
fascisti o presunti tali (tale cifra è la più attendibile di fronte ad altri
che parlano di 600 e perfino di 900 vittime), riporta alla memoria quanto
avvenne a Thiene nello stesso periodo, ove
viene a galla, con sorpresa e rammarico, il nome di un noto personaggio ritenuto dai più
insospettabile, coinvolto invece nelle tristi vicende della Repubblica Sociale
Italiana.
Ne parla Danilo
Restiglian nel suo “Thiene nel periodo della seconda guerra mondiale” (Ed. Grafiche
Leoni di Fara Vicentino - 2006) ove si sofferma sugli avvenimenti avvenuti a Thiene dopo il 25 aprile 1945, frutto di
una vendetta perpetrata da partigiani comunisti che con il loro comportamento
infangarono in questo caso il nome nobile e glorioso della Resistenza.
Verso la fine del 1944 l’avanzata degli alleati che si
avvicinavano pericolosamente all’Emilia-Romagna spinse molti fascisti di quella
regione ad abbandonarla ed a cercare scampo verso il nord.
Fu così che a Thiene si verificò un imprevisto
concentramento di militari della Repubblica Sociale Italiana: un reparto della “X Mas”, la III compagnia
dei “Volontari di Francia “ (un singolare corpo costituito da figli di
emigranti in Francia che, per un malinteso senso di patriottismo, erano accorsi
in Italia assieme a militari del disciolto Regio Esercito che al momento
dell’armistizio si trovavano all’estero e che desideravano continuare a lottare
a fianco dell’alleato tedesco), la “XXII Brigata Nera Eugenio Facchini”
proveniente da Bologna e la “XXV Brigata Nera Italo Capanni” proveniente da
Forlì.
Tutti, addetti soprattutto alla repressione della lotta
partigiana.
Comandante della “Capanni” era il dr. Giulio Bedeschi che nel dopoguerra pubblicò con grande
successo “Ventimila gavette di ghiaccio”, il racconto della drammatica ritirata
in Russia della divisione alpina “Julia” alla quale apparteneva come ufficiale
medico.
Rientrato in Italia, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943
aveva aderito alla Repubblica Sociale
Italiana coprendo posti di responsabilità
a Forlì: direttore del
settimanale fascista “Il Popolo di Romagna”, quindi Segretario Federale del
partito e, infine, comandante della “Capanni” definita dallo storico della
Resistenza vicentina Benito Gramola nel suo “La 25° brigata nera A.Capanni e il suo comandante Giulio Bedeschi
– Cierre Edizioni” la peggiore delle 40
brigate nere italiane.
Dal libro di Restiglian nulla risulta circa l’attività
svolta da questa brigata in Provincia di Forlì, ma di sicuro non se ne aveva un
buon ricordo a giudicare dall’odio accumulato da chi dopo la liberazione le
diede la caccia con tanta ferocia.
Per quanto riguarda Thiene, l’autore ricorda gli edifici
in cui i brigatisti si insediarono, e,
fra questi, “ la scuola di avviamento al lavoro dove venivano effettuati gli
interrogatori (e, purtroppo, anche torture a partigiani o presunti tali)”.
Non si sa come sia scampato alla strage di molti suoi uomini
perché, scrive sempre Reschiglian, “nessuna sua biografia (almeno fino al 2006
– n.d.r.) accenna al periodo 1943-45 ed agli anni successivi. Nel 1966 pubblicò
“Il peso dello zaino” a cui seguirono
“La rivolta di Abele” e “La mia erba sul Don”. Morì a Verona nel 1990”.
Dopo il 25 aprile 1945 la caccia al fascista ha inizio
ed una “Squadra della morte” composta da
partigiani comunisti di Forlì vanno in
trasferta a Thiene decisi a farla pagar
cara a quelli della “Capanni”: una vera e propria spedizione punitiva.
Giunti a Thiene, si presentano alle carceri improvvisate ove sono detenuti i
brigatisti, e ne pretendono la consegna, ma il prof. Arnaldo Giovanardi,
responsabile della loro custodia,
subodorando violenze nei loro
confronti, si oppone.
Allora, il 17 maggio, i forlivesi tornano alla carica esibendo
documenti della polizia Ausiliaria Italiana che affiancava all’epoca la Polizia
Militare Alleata ed a quel punto
Giovanardi non può evitare la consegna di 14 brigatisti indicati in un regolare elenco firmato dal
CLN di Forlì.
I partigiani forlivesi caricano i prigionieri su di un
camion affermando di volerli condurre a Forlì per essere giudicati, ma, appena usciti da Thiene, il veicolo prende
la strada della montagna con l’intento di raggiungere
a Lusiana una voragine detta il “Buso della Spaluga” scelto per
l’esecuzione: ma a causa di un guasto il mezzo si ferma nei pressi della
frazione Covolo ed i prigionieri vengono fatti scendere e fucilati sul posto.
Due giorni dopo, il 19 maggio, vengono prelevati dalle
carceri altri 11 brigatisti di Forlì che, caricati su di un autocarro, vengono avviati verso il Monte Cimone e, giunti
in località Costalunga di Arsiero, uccisi a colpi di mitra.
Per il giorno successivo era stata programmata l’ulteriore eliminazione di
alcuni fascisti di Thiene assieme ad altri brigatisti di Forlì che avrebbero dovuto
essere fucilati e gettati anch’essi nel “Buso della Spaluga” fuori Lusiana,
ritenuto evidentemente dai carnefici forlivesi
il luogo ideale per uccidere i prigionieri e far sparire le loro tracce (come nelle
tristemente note “foibe” istriane): ma il deciso, coraggioso intervento del dr.
Giovan Battista Galvan, farmacista di Lugo di Vicenza valse ad evitare quest’altra barbarie.
Ma il “Buso della Spaluga” conserva forse i resti di vittime delle vendette post 25 aprile 1945
che, chiosando “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa, potrebbero definirsi “le ossa dei vinti”?
La speleologo Fabrizio Bassani del “Gruppo Grotte Giara
Modon” di Valstagna, interpellato, riferisce che il gruppo di Valstagna e molti altri gruppi veneti hanno più volte
disceso la voragine del “Buso” sul cui fondo sono presenti diecine di
metricubi di detriti - per lo più
immondizie - per cui non è possibile accertare, a breve scadenza, la presenza di resti umani.
A seguito poi dell’eccidio di Schio ove furono
trucidati in carcere 50 prigionieri
politici, tutti i fascisti detenuti nelle varie prigioni mandamentali, e,
quindi, anche quelli di Thiene, furono
messi al sicuro nella caserma “Chinotto” di Vicenza e le stragi finirono.
Resta da chiarire una differenza
fra le esecuzioni di Thiene e quelle di Codevigo che però nulla toglie alla
loro efferatezza.
Le prime furono opera
di una squadra di partigiani indipendente ed autonoma in trasferta a Thiene,
mentre le seconde furono eseguite da
partigiani inquadrati nelle forze militari alleate o operanti al loro fianco.
Come ricorda Lino Scalco nella sua inchiesta, infatti, il 29
aprile 1945 giunsero a Codevigo gli
inglesi dell’ottava armata britannica assieme al Gruppo di combattimento “Cremona” del Regio Esercito e la 28° brigata
Garibaldina “Mario Gordini” al comando di Arrigo Boldrini (nome di battaglia
“Bulow”).
Sia i garibaldini della “Gordini” che molti effettivi del
Gruppo “Cremona” erano originari del ravennate ove avevano imperversato fascisti poi rifugiatisi a nord, molti a
Codevigo e nei paraggi , incalzati dall’avanzata alleata.
E la vendetta, come a Thiene, esplose lasciando una triste
scia di sangue che si esaurì alla fine di maggio 1945 allorchè gli uomini della 28° brigata Garibaldina
giunta con i liberatori, ma portatori di morte, lasciarono Codevigo.
Giovanni Zannini
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