martedì 12 giugno 2012


LA STRAGE DI THIENE

L'inchiesta, non ancora pubblicata, dello storico  Lino Scalco che ha nuovamente portato alla luce la strage di  Codevigo (rievocata sul “Mattino” dello scorso 25 novembre) ove,  nel periodo dal 29 aprile alla fine di maggio 1945  furono trucidati dai partigiani comunisti 136 fascisti o presunti tali (tale cifra è la più attendibile di fronte ad altri che parlano di 600 e perfino di 900 vittime), riporta alla memoria quanto avvenne a Thiene nello stesso periodo,  ove viene a galla, con sorpresa e rammarico, il nome di  un noto personaggio ritenuto dai più insospettabile, coinvolto invece nelle tristi vicende della Repubblica Sociale Italiana.     
Ne parla  Danilo Restiglian nel suo “Thiene nel periodo della seconda guerra mondiale” (Ed. Grafiche Leoni di Fara Vicentino - 2006) ove si sofferma sugli  avvenimenti avvenuti  a Thiene dopo il 25 aprile 1945, frutto di una vendetta perpetrata da partigiani comunisti che con il loro comportamento infangarono in questo caso il nome nobile e glorioso della Resistenza.
Verso la fine del 1944 l’avanzata degli alleati che si avvicinavano pericolosamente all’Emilia-Romagna spinse molti fascisti di quella regione ad abbandonarla ed a cercare scampo verso il nord.
Fu così che a Thiene si verificò un imprevisto concentramento di militari della Repubblica Sociale Italiana:  un reparto della “X Mas”, la III compagnia dei “Volontari di Francia “ (un singolare corpo costituito da figli di emigranti in Francia che, per un malinteso senso di patriottismo, erano accorsi in Italia assieme a militari del disciolto Regio Esercito che al momento dell’armistizio si trovavano all’estero e che desideravano continuare a lottare a fianco dell’alleato tedesco), la “XXII Brigata Nera Eugenio Facchini” proveniente da Bologna e la “XXV Brigata Nera Italo Capanni” proveniente da Forlì.
Tutti, addetti soprattutto alla repressione della lotta partigiana.
Comandante della “Capanni” era il dr. Giulio Bedeschi  che nel dopoguerra pubblicò con grande successo “Ventimila gavette di ghiaccio”, il racconto della drammatica ritirata in Russia della divisione alpina “Julia” alla quale apparteneva come ufficiale medico.
Rientrato in Italia, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 aveva  aderito alla Repubblica Sociale Italiana coprendo posti di responsabilità  a Forlì: direttore  del settimanale fascista “Il Popolo di Romagna”, quindi Segretario Federale del partito e, infine, comandante della “Capanni” definita dallo storico della Resistenza vicentina Benito Gramola nel suo “La 25° brigata nera  A.Capanni e il suo comandante Giulio Bedeschi – Cierre Edizioni”  la peggiore delle 40 brigate nere italiane. 
Dal libro di Restiglian nulla risulta circa l’attività svolta da questa brigata in Provincia di Forlì, ma di sicuro non se ne aveva un buon ricordo a giudicare dall’odio accumulato da chi dopo la liberazione le diede  la caccia con tanta ferocia.
Per quanto riguarda Thiene, l’autore ricorda gli edifici in  cui i brigatisti si insediarono, e, fra questi, “ la scuola di avviamento al lavoro dove venivano effettuati gli interrogatori (e, purtroppo, anche torture a partigiani o presunti tali)”.
Non si sa come sia scampato alla strage di molti suoi uomini perché, scrive sempre Reschiglian, “nessuna sua biografia (almeno fino al 2006 – n.d.r.) accenna al periodo 1943-45 ed agli anni successivi. Nel 1966 pubblicò “Il peso dello zaino” a cui seguirono  “La rivolta di Abele” e “La mia erba sul Don”. Morì a Verona nel 1990”.
Dopo il 25 aprile 1945 la caccia al fascista ha inizio ed  una “Squadra della morte” composta da  partigiani comunisti di Forlì vanno in trasferta a Thiene decisi a farla  pagar cara a quelli della “Capanni”: una vera e propria spedizione punitiva.
Giunti a Thiene,  si  presentano  alle carceri improvvisate ove sono detenuti i brigatisti, e ne pretendono la consegna, ma il prof. Arnaldo Giovanardi, responsabile della loro custodia,  subodorando  violenze nei loro confronti, si oppone.
Allora, il 17 maggio,  i forlivesi tornano alla carica esibendo documenti della polizia Ausiliaria Italiana che affiancava all’epoca la Polizia Militare Alleata  ed a quel punto Giovanardi non può evitare la consegna di 14 brigatisti  indicati in un regolare elenco firmato dal CLN di Forlì.
I partigiani forlivesi caricano i prigionieri su di un camion affermando di volerli condurre a Forlì per essere giudicati,  ma, appena usciti da Thiene, il veicolo prende la strada della montagna con l’intento di  raggiungere  a Lusiana una voragine detta il “Buso della Spaluga” scelto per l’esecuzione: ma a causa di un guasto il mezzo si ferma nei pressi della frazione Covolo ed i prigionieri vengono fatti scendere e fucilati  sul posto.
Due giorni dopo, il 19 maggio, vengono prelevati dalle carceri altri 11 brigatisti di Forlì che, caricati su di un autocarro,  vengono avviati verso il Monte Cimone e, giunti in località Costalunga di Arsiero, uccisi a colpi di mitra.
Per il giorno successivo era stata  programmata l’ulteriore eliminazione di alcuni fascisti di Thiene assieme ad altri brigatisti di Forlì che avrebbero dovuto essere fucilati e gettati anch’essi nel “Buso della Spaluga” fuori Lusiana, ritenuto evidentemente dai carnefici forlivesi  il luogo ideale per uccidere i prigionieri e  far sparire le loro tracce (come nelle tristemente note “foibe” istriane): ma il deciso, coraggioso intervento del dr. Giovan Battista Galvan, farmacista di Lugo di Vicenza valse ad evitare quest’altra  barbarie.
Ma il “Buso della Spaluga” conserva forse i resti di  vittime delle vendette post 25 aprile 1945 che, chiosando “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa, potrebbero definirsi   “le ossa dei vinti”?
La speleologo Fabrizio Bassani del “Gruppo Grotte Giara Modon” di Valstagna, interpellato, riferisce che il gruppo di Valstagna  e molti altri gruppi veneti hanno più volte disceso la voragine  del “Buso”  sul cui fondo sono presenti diecine di metricubi di detriti  - per lo più immondizie - per cui non è possibile accertare, a breve scadenza,  la presenza di resti umani. 
A seguito poi dell’eccidio di Schio ove furono trucidati  in carcere 50 prigionieri politici, tutti i fascisti detenuti nelle varie prigioni mandamentali, e, quindi, anche quelli di Thiene,  furono messi al sicuro nella caserma “Chinotto” di Vicenza e le stragi finirono.
Resta da chiarire una differenza fra le esecuzioni di Thiene e quelle di Codevigo che però nulla toglie alla loro efferatezza.
Le  prime furono opera di una squadra di partigiani indipendente ed autonoma in trasferta a Thiene, mentre le seconde  furono eseguite da partigiani inquadrati nelle forze militari alleate o operanti al loro fianco.
Come ricorda Lino Scalco nella sua inchiesta, infatti, il 29 aprile 1945 giunsero a Codevigo  gli inglesi dell’ottava armata britannica assieme al Gruppo di combattimento  “Cremona” del Regio Esercito e la 28° brigata Garibaldina “Mario Gordini” al comando di Arrigo Boldrini (nome di battaglia “Bulow”).
Sia i garibaldini della “Gordini” che molti effettivi del Gruppo “Cremona” erano originari del ravennate ove avevano imperversato  fascisti poi rifugiatisi a nord, molti a Codevigo e nei paraggi , incalzati dall’avanzata alleata.
E la vendetta, come a Thiene, esplose lasciando una triste scia di sangue che si esaurì alla fine di maggio 1945 allorchè  gli uomini della 28° brigata Garibaldina giunta con i liberatori, ma portatori di morte, lasciarono Codevigo.
                                                                                 Giovanni Zannini

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