GIORNALISTI CONDOTTIERI
GARIBALDINI
Al giorno d'oggi i giornalisti
possono seguire come inviati le
operazioni militari al seguito delle truppe combattenti sia pure con molte
limitazioni rispetto a quei corrispondenti di guerra che nel passato spesso riuscivano
anche ad andare in prima linea.
Nel nostro Risorgimento,
soprattutto nell'ambiente garibaldino - particolarmente vivace - vi furono invece almeno due casi nei
quali giornalisti dotati di grande
coraggio oltre che di spirito d'avventura, seppero impugnare, oltre alla penna,
anche la spada, con risultati assai brillanti anche dal punto di vista
militare.
Uno di questi fu Nandor Eber
(1825-1885) di origine ungherese naturalizzato inglese, patriota che si era
battuto per la libertà dell’Ungheria dall’Austria e che si era rifugiato con altri compatrioti in
Italia combattendo per la sua libertà dando vita (assieme al col. Istvan Turr)
alla valorosa “Legione ungherese” che si battè agli ordini di Garibaldi nel
Risorgimento italiano. Nel 1860 lo troviamo accreditato come corrispondente
inglese del “Times” a Palermo, ed in tale veste è in grado di fornire a
Garibaldi sbarcato con i suoi Mille in
Sicilia e che si accinge ad attaccare, l’esatta dislocazione delle truppe borboniche
davanti a Palermo, spiegando la via migliore per entrare in città. Queste
preziose informazioni consentono la sua conquista ed in premio della sua preziosa
collaborazione Garibaldi lo nomina colonnello brigadiere affidandogli, in
sostituzione del col.Istvan Turr che si era ammalato, il comando della 15° divisione della quale fa
parte la “Legione Ungherese”. Attraversando il centro dell’isola, passando per
Caltanisetta e Castrogiovanni, la divisione di Eber raggiungerà il 15 luglio
1860 Catania già abbandonata dai Borboni che l’avevano saccheggiata.
Resta da dire che, passato lo
stretto, e risalita verso il nord, la legione al comando di Eber e di Turr (nel
frattempo risanato) partecipa in maniera determinante alla battaglia campale
del Volturno e Garibaldi dirà:”La legione ungherese che ho l’onore di
comandare ha dato prova di dedizione ed
eroismo nella scia della gloria del suo
popolo”.
Altro protagonista di tale
singolare filone giornalistico-militare risorgimentale, fu
Antonio Gallenga, personaggio certamente
esuberante - n. Parma nel 1810, figlio di un ufficiale
piemontese dell'esercito napoleonico, m. 1895 - che una vita colta e peripatetica, movimentata e
piena di avventure condusse in giro per il mondo vivendo esperienze di ogni
genere, anche culturali, dal momento che
negli Stati Uniti insegnò italiano a New
York ed a Boston, ebbe la cattedra di italiano al Queen’s College di Londra e
della Nuova Scozia, insegnò a Firenze ed a Eton, tenne corsi su Dante a
Manchester, conferenze e scrisse un libro.
Come giornalista lavorò per il “Times”
che alla fine lo utilizzò come inviato all’estero.
Intraprendente in campo
sentimentale seppe mettere a profitto il cuore con gli interessi e un paio di
buoni matrimoni gli assicurarono ottime
rendite inducendolo a prendere la cittadinanza britannica vivendo fra gli agi.
Politicamente inquieto, in
gioventù, antimonarchico, aveva
progettato di assassinare il re Carlo Alberto al grido di “Lunga vita
all’Italia, e muori!”: però il regicidio era fallito... perché non era riuscito
a procurarsi l’arma per metterlo in atto.
Ma il comportamento di Vittorio Emanuele
II a favore dell’unità d’Italia gli fece cambiare opinione, ne divenne entusiasta sostenitore e partecipò
alla spedizione in Sicilia.
Era giunto con Garibaldi a
Messina a bordo del piroscafo “Washington” mandato dal “Times” per sostituire
Eber che, forse, troppo impegnato dal comando della sua 15° Divisione in
Sicilia, aveva un pò trascurato la penna.
E siccome anche Antonio Gallenga di guerra, di
armi e di soldati se ne intendeva per aver menato le mani nel 1848 a Milano ed
a Mantova, e per aver raccontato (sempre per il “Times”) la campagna d’Italia
del 1859, Garibaldi nominò anche lui
colonnello e gli affidò, assieme ad un
altro colonnello inglese, Jhon Whitehead, il comando di una colonna di volontari inglesi
( la “Legione inglese”) con l’incarico
di precederlo, dopo il passaggio dello stretto di Messina, nella marcia di risalita della penisola.
Occorre premettere che, stando a quanto riferisce lo stesso
Gallenga, “per Garibaldi era la norma
impartire ordini di marcia e poi partire lui stesso in testa con quelli
del suo seguito, dando per scontato che il suo esercito sarebbe arrivato subito
dopo, ma ponendosi di rado il problema di accertare se lo facesse o no”. Pare strano,
ma così scrive il collega dell’autorevole “Times”.
L’avanzata di Garibaldi da Reggio a Napoli avvenne dunque
con la seguente modalità: avanti a tutti la “Legione inglese” che precedeva
anche di 150 chilometri il Generale accompagnato da un modesto seguito, staccato, a sua volta, dal grosso dei suoi uomini che lo seguiva a
distanza.
Il col. Peard, un pezzo d’uomo grande e grosso, con una gran
barba, spesso con il “poncho” e con in
capo un cappello piumato (indossato
anche dai suoi uomini che taluni
chiamarono perciò i “bersaglieri inglesi”), assomigliava molto a Garibaldi ed è infatti ricordato come “l’inglese di Garibaldi”.
Accadeva così che, scambiandolo per Garibaldi, i borbonici,
terrorizzati dalla sua fama, se la
davano a gambe: ed in tal modo il
col.Peard ottenne ad Auletta la resa di
ben 10.000 borbonici comandati dal
generale Calderelli.
Ed a Gallenga va il
merito di aver convinto, grazie alle sue conoscenze in campo avversario, il governo napoletano a lasciare Salerno senza combattere e ad
arroccarsi a Capua al riparo del Garigliano e del Volturno.
Se, dunque, Garibaldi potè giungere fino là con sorprendente
rapidità, lo si deve anche alla “Legione inglese” che, condotta dal gigantesco colonnello Peard
e dal suo collega
Gallenga, contribuì poi anche alla vittoria garibaldina
nella battaglia del Volturno che segnò la fine del Regno delle due Sicilie.
Resta da dire sulle virtù giornalistiche dei due.
Pare che Nandor Eber come corrispondente di guerra, alla
quale partecipava in prima persona, non
fosse ovviamente molto imparziale anche perché si dice che se si fosse
dimostrato neutrale molti lettori del “Times”, grandi ammiratori di Garibaldi,
se ne sarebbero dispiaciuti. Quindi…
Per quanto riguarda Antonio Gallenga, la sua
specializzazione, prima di divenire inviato all’estero, doveva essere quella di
commentatore politico dal momento che se
ne ricordano i virulenti editoriali sul “Times” contro Mazzini cui rimproverava
l’avversione alla monarchia.
Parliamo, infine, di compensi.
Non risulta quanto fosse pagato Eber, ma per quanto riguarda
Gallenga si sa che per raccontare la seconda guerra d’indipendenza italiana del
1859 il “Times” gli versò ben 80 sterline al mese, che per l’epoca era una cifra enorme, alla quale, ovviamente, si
saranno aggiunte quelle per aver seguito la spedizione dei Mille.
Se poi pensiamo che, oltre a ciò, avrà certamente percepito il
soldo relativo al suo grado militare, ci rendiamo conto di come abbia potuto,
anche con il concorso della rendita di 1000 sterline annue derivategli dalla
morte della moglie Juliet Schunck (ricca ereditiera di famiglia ebraica)
acquistare il castello di Llandogo nel Galles ove si riposò fino all’età di 85
anni dalle fatiche accumulate durante la sua lunga, movimentata vita. Giovanni Zannini
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