“ORE” ALLA PATRIA
Il 18 dicembre 1935 fu celebrata in Italia la “Giornata della fede” in
cui le mogli ed i mariti italiani furono invitati a donare “Oro alla patria” facendo cadere in
un’urna (talora in un elmetto rovesciato come simbolico contenitore) le proprie
fedi nuziali.
L’iniziativa era stata lanciata dal governo fascista come risposta alle
“Sanzioni economiche” decretate dalla Società delle Nazioni il 18 novembre
dello stesso anno contro l’Italia colpevole di aver aggredito l’Abissinia in
violazione dell’art.XVI del suo Statuto.
Grazie all’abilità del governo fascista che in un momento di grande difficoltà era riuscito a convincere gli
italiani del loro diritto a conquistare l’Abissinia in cui potersi
espandere e della quale
godere le (affermate) ricchezze, e
quindi di reagire alla grande
ingiustizia subita, l’iniziativa ebbe un
innegabile successo per merito anche dell’esempio
dato dalle supreme autorità nazionali e da altri illustri personaggi.
Il re Vittorio Emanuele donò lingotti d’oro, la Regina Elena la propria
fede, accompagnandola con un proclama, il principe ereditario Umberto il
“Collare dell’Annunziata”, Guglielmo Marconi, oltre all’anello, la medaglia da
senatore, Luigi Pirandello la medaglia del Premio Nobel, e Gabriele d’Annunzio,
oltre alla fede (ricordo del suo matrimonio con Maria Hardouin, duchessa di
Gallese, il che non costituì certamente per lui, che con la fedeltà coniugale
non ci aveva molta dimestichezza, gran sacrificio) addirittura, riferiscono le cronache, “una cassa
d’oro”: ed in totale vennero raccolte 37 tonnellate d’oro e 115 d’argento.
Anche oggi, e ancora una volta, l’Italia
si trova di difficoltà e vien da chiedersi se non si potrebbe, per superarla, indirizzare l’entusiasmo di una volta - che trasformò, purtroppo l’oro e l’argento in armi e gas asfissianti per portare la
civiltà ai selvaggi etiopi - a fini più
nobili.
Vogliamo forse che il Presidente
Napolitano e la signora Clio ascendano la scalinata del Vittoriano per versare i propri anelli nuziali - sia pure in un contenitore più pacifista che non un elmetto da guerra - e che gli altri italiani facciano, sul loro
esempio, altrettanto in municipio?.
Non direi sia il caso, perché a
questo mondo occorre rinnovarsi e ricorrere a idee nuove, ed anche perché,
con tutti i conviventi che ci
sono oggi in giro i quali, notoriamente, delle fedi, non sanno che farne, i
risultati sarebbero disastrosi.
Perché non pensare, allora, a
donare all’Italia non più oro, ma “ore” di lavoro, per aiutarla a superare i
guai in cui attualmente si trova?.
Mi hanno sempre colpito le statistiche allorchè, confrontando i
risultati economici di un mese rispetto al precedente, attribuiscono l’eventuale
risultato negativo alla perdita di ore di lavoro per festività infrasettimanali
o per ore di sciopero: parrebbe perciò
logico che, se invece che sottrarle, si aggiungessero ore al lavoro, la
produttività ne trarrebbe indubbio beneficio.
E allora, una volta alla settimana l’impiegato, pubblico o privato, con
il suo dirigente, resta un’ora di più in ufficio, l’operaio, con il suo direttore,
idem in fabbrica, il medico in ospedale, il
poliziotto sulla strada, il giudice in tribunale, l’insegnante a scuola
- ma qualcosa si dovrebbe pensare anche
per i liberi professionisti e pure per alcuni
pensionati troppo spesso inutilizzati - prolungano di un’ora il proprio servizio.
Il tutto, rigorosamente,“
gratis” e su base volontaria, per cui chi lo facesse avrebbe la soddisfazione
morale di considerarsi un po’ patriota, mentre gli altri dovrebbero sentirsi un
po’ vigliacchi.
Si tratta di vedere, se, a 150 anni dall’unità gli italiani, dopo aver tanto lodato quelli
che per essa ci hanno spesso rimesso la
pelle, sarebbero oggi disposti, senza spendere un quattrino, a dare una mano alla ripresa dell’Italia solo
rinunciando, una volta alla settimana, a un po’ di riposo o alla partita a
briscola.
Giovanni Zannini
Nessun commento:
Posta un commento