MAZZINI, UOMO “DI CARNE E DI OSSA”.
Se molto si è parlato e si parla degli amori di
Garibaldi, minor risonanza hanno avuto
quelli di Giuseppe Mazzini.
Eppure esiste chi ricorda “le storie sentimentali
che pure affollano il cammino della sua vita di uomo di carne e di ossa” come Bruno
Gatta nel suo “Mazzini una vita per un sogno” dal quale sono tratte molte delle
notizie di seguito riportate; o Gabriele Gasparro che, in un libro di cucina nel quale - argomento sin qui poco trattato - descrivendo i suoi gusti peraltro molto parchi, afferma che egli “amava la musica, componeva
canzoni, suonava la chitarra che portò
con sé in esilio” aggiungendo che “il fascino femminile lo trovò sensibilissimo
sin dalla giovane età” e che “i suoi amori
lo conforteranno molto nelle ore tristi”. Aggiungendo che “a Londra era
circondato da un vero e proprio circolo femminile che egli chiamava
scherzosamente il suo “clan”. Lo curavano, lo servivano, lo coccolavano e lo
ascoltavano rapite”.
Fra queste Francesco Fumara nel suo “Donne e amori
di Mazzini” cita le sorelle Ashurst, le sorelle Mandrot, Jane Carlyle, Matilda
Biggs; e Paolo Di Vincenzo (de “Il
Centro” di Pescara, in un articolo su Internet), Clementine Taylor, le sorelle (ancora!)
Winlworert, Margherita Fuller, Arethusa Miller, Jessye Meriton, Sarah Nathan, senza
chiarire peraltro se con alcune di esse sia stata semplice amicizia, e con altre si sia, invece,
trattato di un’ amicizia che, con un eufemismo, s’usa oggi definire “affettuosa”.
La cosa è complicata dal fatto che nell’ 800 si usa
spesso la parola amore nel senso di affetto, amicizia, come quando, ad
esempio, uomini di sicuro genere
mascolino chiudevano la loro corrispondenza con gli amici (e questo mi aveva,
francamente, sorpreso) con frasi tipo “Il
tuo…che ti ama” o, addirittura, “Amami come io ti amo”.
Comunque sia, la fortuna con il gentil sesso
“ammaliato dalla sua profonda cultura,...da una piacevole figura e dal suo
affascinante colloquiare” (così il sopra citato Paolo Di Vincenzo) sorprende lo
stesso Mazzini che non sa darsene ragione, dal momento che, molto onestamente fa
di sé una descrizione che non parrebbe
la più idonea ad attrarre l’interesse femminile.
”…Le donne ch’io ho conosciuto – scrive alla
madre -
hanno quasi tutte presa una grande simpatia per me; simpatia tanto più
strana ch’io non ho nulla di quel che va a genio alle donne: vesto male,
negletto come quando ero a Genova e più se occorre: fumo sempre e in
conseguenza chi m’avvicina può
facilmente avvedersene: non so parlare di cosa alcuna che di vera; non sono
galante, rovescio per la più ciò che tocco…”. Alla fine, si dà lui stesso la
ragione di questo successo piuttosto anomalo :”..Circondate come sono sempre le
donne da uomini continuamente ma superficialmente galanti e devoti ,
esse simpatizzano con chi si
mostra loro siccome una novità”.
Se poi vogliamo fare un raffronto, sul piano
sentimentale, fra Garibaldi e Mazzini, possiamo dire che il primo, con le donne, era piuttosto spiccio e qualche volta,
diciamolo, anche di bocca buona, mentre
il secondo era piuttosto raffinato, coltivando i suoi sentimenti - talora molto combattuti, fra ripensamenti e
sensi di colpa - solo con donne di un
certo ceto, colte e talora aristocratiche.
Nel suo comportamento emerge soprattutto il
contrasto fra un serio desiderio d’amore, ed un inflessibile senso del dovere, uno sfrenato attaccamento alla propria libertà che lo spingono a dedicarsi esclusivamente alla lotta politica, con tutta la sua
imprevedibilità ed i suoi molti rischi che, collidendo con il primo, gli impediscono di realizzare una serena vita familiare che pure
considera ideale.
E’ di ciò chiaro esempio il rapporto, fondamentale
nella sua vita affettiva, intercorso con Giuditta Bellerio, figlia del barone Andrea magistrato nel regno italico, e vedova del
carbonaro Emilio Giovanni Sidoli di
Reggio Emilia con il quale aveva condiviso, nel ducato di Modena, le battaglie
per il riscatto dell’Italia. Ricercata per tale sua attività rivoluzionaria, si pone in salvo a Marsiglia
ove nel 1932 avviene l’incontro con Mazzini
a sua volta esiliato dal Regno di
Sardegna dopo che a Genova era stata
scoperta la sua attività di carbonaro: e scoppia l’amore.
Intenso, romantico, carico di sentimentalismo evidente nelle lettere dell’uomo all’amata, ove trovano
luogo i più classici ingredienti della
corrispondenza amorosa, il desiderio, i baci appassionati al medaglione che la
ritrae, la ciocca di capelli che porta
sempre con sé, la promessa di un amore infinito, frasi come “Tu sei un angelo,
tu sei sublime per me” e così via. Lei ricambia con pari passione (ne nasce
anche un figlio che muore a soli tre anni), ma la concreta soluzione di un matrimonio, che lei
sollecita, (e che anche la madre di lui, solitamente ascoltata consigliera,
appoggia), ottiene una dura risposta: non può, la patria italiana e
repubblicana lo chiama.
Lei, risentita, gli scrive:”…Mi mostri qualcosa di troppo serio, qualcosa che mi fa anche ridere, non
ti incresca. Io leggo nel tuo cuore, so che di là partono le tue parole, amo,
apprezzo il sentimento che le detta ma
non posso impedirmi di dire: eccolo là, sempre quello, facitore di poesia, di
amore, in tutto quello che di vero, di sensibile nell’anima, ma sfuggendo
sempre alla realtà della terra”: e tutto finisce.
E che dire delle passioni amorose che - talora involontariamente, ma non sempre - l’esule
italiano accende nelle famiglie che lo accolgono, suscitando talora qualche
sconquasso?
A Losanna, in
casa dell’avv.Giovanni Mandrot aveva addirittura provocato una vera eruzione
vulcanica di passioni nel cuore della moglie Louise (o Lisette), e pure di tre
delle sue cinque figlie, Caterine, Maria ed Elisa. Cosicchè, allorchè
Mazzini lascia la Svizzera per Londra,
la Maria non esita a dichiarargli il suo amore e ne nasce una corrispondenza con
la quale Mazzini, delicatamente, la
informa di non poterlo corrispondere. Ma siccome la fanciulla non si dà per vinta, prega il comune amico Luigi Amedeo Melegari lui
pure patriota esule a Losanna, rimasto sul posto, di convincerla che non c’era niente da fare.
Resta da dire che la conclusione di
questo “affaire” amoroso fu certamente singolare perché il Melegari, dopo aver spento l’incendio
della fanciulla per Mazzini, prese fuoco a sua volta per lei, e se la sposò.
Durante il suo soggiorno in Inghilterra, che fu la
sua seconda patria, l’esule italiano ebbe rapporti di grande amicizia con l’avv.William
Henry Ashurst, la moglie di lui, il figlio William - che
fu banchiere di Garibaldi - e le tre sorelle Elisa, Emilia e Carolina “tutte –scrive
sempre Paolo Di Vincenzo – innamorate di
lui” anche se Mazzini afferma che, per
quanto lo riguardava, si trattò di semplice
amicizia. Sta di fatto che Elisa, l’unica nubile, s’infatuò perdutamente e “non
ricambiata condusse una vita errabonda finendo per sposare un operaio francese
morendo poi giovanissima”.
“Emilia – prosegue di Vincenzo – che
pare fosse la prediletta, intrattene con lui una fitta corrispondenza, ma
quando venne in Italia per incontrarlo conobbe un ufficiale garibaldino
(evidentemente assai più fascinoso di
Mazzini – ndr) che sposò dopo aver ottenuto il divorzio dal marito inglese”.
Infine, anche la Carolina, sebbene sposata - sottolinea lo stesso autore - ebbe una
lunga relazione epistolare con Mazzini
interrotta solo dalla sua morte.
Ma dove emerge in
modo assai evidente il singolare modo di Mazzini di manifestare la propria affettività sempre sul
filo del rasoio fra amore ed amicizia, è nel rapporto instauratosi a Londra nel
1837 fra lui e Jane
Carlyle, moglie di Thomas, critico e
scrittore scozzese che accolse con molta cordialità nella sua casa l’esule
italiano da lui ritenuto “…uomo di
chiara intelligenza e di nobili virtù, pieno di musicalità…un po’ lirico per
natura “. Le frequenti visite di Mazzini nella sua casa di Cheyne Row, a Celsea, favorirono il
nascere di una profonda amicizia fra lui e Jane, che non insospettì affatto il
marito Thomas un po’
distratto perché, scrive Gatta, “sentimentalmente
indaffarato con tal Lady Harriet Baring…”.
Ad asserire che di sola amicizia si trattava, bella e sincera, è Mazzini nelle sue frequenti lettere alla
madre, sua confidente e fidata consigliera. Dopo averle descritta Jane (…
ancora giovine, non bella, non brutta, occhi e capelli neri, magra, piuttosto
alta, vivace…) l’assicura “affinchè l’esser ella ancor giovine non vi faccia sospettare oltre il vero, ch’io non l’amo se non come sorella per le eccellenti qualità del suo cuore, per
l’amore che porta al paese mio ed alle
mie idee…Essa pure, benché forse m’ami
più ancora ch’io non l’amo, m’ama
come sorella, d’amicizia donnesca, esaltata, ma pur d’amicizia…”.
Successivamente, però, con la lettera 19 marzo 1840 sempre diretta
alla madre, parlandole di Jane, premesso
che “non ho quasi in nulla svelata la
mia natura con lei” ammette che “v’è
una strana simpatia che l’attira verso
di me, e mi pare ch’essa stimi il mio cuore più che la poca conoscenza
diretta”: insomma, si accorge che l’altra si è innamorata di lui, mentre lui
insiste a considerarsi solo ed esclusivamente suo amico, giungendo a
sconsigliarla di abbandonare, come lei vorrebbe, per le sue ripetute infedeltà,
il marito.
E che per Jane quell’amicizia fosse amore vero, di cuore e pure di sensi, emerge da una sua lettera alla madre
di lui :”…”Ama il martir d’Italia”. Non bisogna comandarmelo!...Non posso far
altro!...Oh! se voi sapeste come l’amo”; ed a questo punto una frase non chiara, forse dovuta alla
modesta conoscenza dell’italiano, ma che può essere interpretata come audace, incredibile,
esplicito desiderio di amore concreto:”Non “bisogna”, dico, ma mi goda!”.
A suscitar sospetti sul tipo di rapporto intercorso
fra i due, stanno le romantiche passeggiate
londinesi che li portano sul punto più
elevato di Londra, sulla cupola della cattedrale di S.Paolo, ove rimangono
soli, (lo scrive lui alla madre) per tre quarti d’ora in mezzo ad un vento
diabolico.
Oppure, di notte, nel mezzo di un ponte sul Tamigi,
ove rimangono una diecina di minuti ad osservare il fiume e le imbarcazioni “tra
l’umido e un vento rabbioso e freddissimo che urlava d’intorno a
noi” (e sappiamo pure che lui aveva, in quell’occasione, il mal di denti che,
forse per la violenta reazione causata dal vento e dal freddo, il giorno dopo,
come d’incanto, era sparito).
Bruno Gatta, nella sua opera più volte citata, si
chiede se questa “liaison” sia stata o
no solo platonica. E noi pure ci
chiediamo se fra i due, oltre a
scarpinare sugli scalini della cupola di S.Paolo, o ad osservare di notte, da
un ponte, il Tamigi, vi sia stato un
rapporto meno freddo del vento che, ostinatamente, accompagnava, a Londra, i loro incontri.
Giovanni
Zannini
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