lunedì 14 novembre 2011

SOMMERGIBILI DA TRASPORTO ITALIANI NELLA 2a GUERRA MONDIALE

Fu soprattutto la necessità di stabilire collegamenti fra i membri dell’inedita alleanza “Roma-Berlino-Tokio”, Italia e Germania, da una parte, e Giappone, dall’altra, a spingere i loro tecnici a studiare i mezzi più adeguati per realizzarli allorchè preziose materie prime necessarie all’industria bellica – quali gomma, nichel, rame, stagno, cobalto, volframio, molibdeno, tungsteno, oppio, mica, lacca, fibre vegetali ed oli – ormai introvabili in Europa, erano invece disponibili in Asia.
Esclusa la via aerea per l’insormontabile difficoltà di sorvolare immensi territori in mano nemica; resa difficilissima la navigazione degli oceani con naviglio di superfice data la supremazia della marina militare anglo-americana, la soluzione venne trovata: trasformare alcuni sommergibili da combattimento in sommergibili da trasporto (o “cargo”), in attesa di costruirne di nuovi destinati esclusivamente a tale scopo.
Ma mentre fu possibile provvedere alle operazioni di trasformazione, i tempi necessari per la programmazione e realizzazione del progetto impedirono di costruirne di nuovi prima dell’armistizio, ad eccezione, come si vedrà, degli italiani “Romolo” e “Remo”.
Evidente il vantaggio di usare questo naviglio navigante normalmente in superfice ma che, in caso di pericolo, per sfuggire alla caccia nemica era in grado di scomparire fra le onde.
Tale impiego era già stato sperimentato dai tedeschi che, nel corso della prima guerra mondiale, avevano utilizzato con successo due sommergibili da trasporto, il “Bremen” ed il “Deutschland”.
Alla fine del 1942 dunque, su sollecitatoria dello stesso Hitler, i tedeschi, dopo aver vinta la resistenza iniziale della Marina italiana che riteneva una “deminutio” la trasformazione di potenti, e spesso gloriose, navi da combattimento in navi da trasporto, ebbero inizio le operazioni sui nostri grossi sommergibili della base italiana di Bordeaux-Betasom, considerati dai tedeschi inadatti a proseguire la guerra sottomarina in Atlantico.
Abbassate le torrette (che, secondo l’Amm.Doenitz, facevano assomigliare i nostri sommergibili a castelli naviganti), i magazzini munizioni utilizzati come serbatoi per la nafta, via i tubi di lancio ed i siluri, via i cannoni (unica arma, una mitragliera antiaerea), il periscopio d’attacco rimosso, una delle latrine smantellate, e gran parte dei “comfort” di bordo eliminati per dar spazio ai viveri (fra essi, importantissimi, quintali di limoni ricchi di vitamine), alle mercanzie, alla posta ed ai rari passeggeri occasionali (agenti segreti, diplomatici e simili).
Furono così trasformati in cargo, tra la fine del 1942 ed i primi mesi del 1943, 8 sommergibili (“Finzi”, “Bagnolini“, “Cagni”, “Cappellini”, “Tazzoli”, “Barbarigo”, “Giuliani” e “Torelli”), gli unici rimasti a Betasom
dei 32 che vi erano giunti tra la fine del 1940 ed i primi mesi del 1941: gli altri, rimpatriati - per scortare i convogli italo-tedeschi sulla martoriata rotta Italia-Africa settentrionale -, affondati o dispersi.
Drammatica la sorte di queste nostre navi.
4, partite per il lungo, faticoso, estenuante viaggio verso il Giappone nella primavera-estate del 1943 furono coinvolte nei drammatici avvenimenti successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943 fra l’Italia e gli anglo-americani.
Il “Cagni” in navigazione nel mare di Città del Capo, viene raggiunto nella notte fra l’8 e il 9 settembre 1943 dalla notizia dell’armistizio e si consegna agli alleati nel porto inglese di Durban in Sud-Africa.
Il “Cappellini”, il “Giuliani” ed il “Torelli” riescono a raggiungere Singapore dopo un viaggio avventuroso denso di pericoli e vengono accolti con tutti gli onori dagli alleati giapponesi ammirati per la loro impresa, salvo essere rinchiusi senza tanti complimenti, all’indomani dell’8 settembre 1943, divenuti improvvisamente nemici a seguito dell’armistizio fra l’Italia e gli Anglo-Americani, nei terribili campi di concentramento giapponesi nella giungla di Singapore.
I tre sommergibili, divenuti preda di guerra, furono contesi fra giapponesi e tedeschi che, alla fine, ebbero la meglio , e che tentarono, ma invano, di utilizzarli nel senso opposto dal quale erano arrivati, da oriente verso occidente, dall’Asia all’Europa.
Il “Giuliani”, partito da Singapore il 14 febbraio 1944 venne affondato da un sottomarino britannico nello stretto di Malacca; il “Cappelini” ed il “Torelli” che non erano riusciti a forzare il blocco navale anglo-americano, vennero utilizzati per il trasporto merci nelle acque del Giappone e del Borneo.
Il “Tazzoli” ed il “Barbarigo”, partiti da Betasom per la rotta d’oriente nello stesso periodo degli altri, non giunsero mai a destinazione e scomparvero in mare in circostanze che non si sono mai potute accertare.
Il “Finzi” ed il “Bagnolini” che alla data dell’8 settembre 1943 si trovavano nella base italiana di Betasom, furono catturati alla banchina dai tedeschi , ribattezzati rispettivamente UIT-21 e UIT-22 ed immessi nella categoria dei “Bezeichnung fur ehemals italienischge U-boote”, i sottomarini catturati agli italiani.
Il “Finzi”, in considerazione delle sue precarie condizioni ed in particolare del logorio dei macchinari, non venne utilizzato dalla marina tedesca, ed il 25 luglio 1944 venne fatto saltare in aria nel porto di Le Verdon dagli artificieri della Kriegsmarine.
Il “Bagnolini”, in rotta per l’oriente, fu affondato da un aereo a sud del Capo di Buona Speranza l’11 marzo 1944.
Resta da aggiungere che nell’autunno del 1942 Supermarina commissionò ai cantieri di Taranto, Monfalcone e La Spezia la costruzione di 12 nuove grandi unità sottomarine studiate appositamente per il trasporto. Di queste, però, solo due, il “Romolo” ed il “Remo” furono ultimate e consegnate prima dell’armistizio.
Si trattava di grandi unità decisamente innovative lunghe m.86,50, dislocanti 2.210 tonnellate in emersione e 2.606 in immersione, che disponevano di due grandi stive capaci di 600 tonnellate di carico, armate con tre mitragliere antiaeree da 20 mm. “a scomparsa”, e dotate di 4 piccole gru abbattibili per le operazioni di carico e scarico.
La loro vita fu estremamente breve: il “Remo”, salpato da Taranto nel luglio 1943 fu affondato da un sottomarino inglese, mentre il “Romolo”, partito pure lui poco tempo dopo da Taranto, fu affondato da un aereo pur esso inglese.
Infine, una curiosità: allo scopo di aumentare la capacità di trasporto dei sottomarini-cargo, vennero elaborati progetti per realizzare contenitori da rimorchio subacquei, e due di questi vennero collaudati con successo dai tedeschi nell’estate del 1944, ma le sorti della guerra impedirono la prosecuzione del progetto che venne abbandonato. Giovanni Zannini

Fonte: E.Rossler - “U-Boat” - Fratelli Melita Editori 1993.

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