giovedì 26 settembre 2019

UN SUGGERIMENTO A ISRAELIANI E PALESTINESI

Un mio conoscente palestinese ha prospettato la seguente ipotesi per dare una soluzione alla fin qui irrisolta drammatica crisi fra israeliani e palestinesi:

"Premesso che l'occupazione della Palestina da parte degli israeliani rende legittima la lotta di liberazione dei palestinesi contro gli invasori, così come lo è stata, ad esempio, quella italiana contro l'invasore tedesco.
 1) La lotta della Palestina contro l'invasore è dunque legittima, ma provoca morte e distruzioni ad entrambe le parti in conflitto.
 2) Per ristabilire una situazione di legalità internazionale si potrebbe allora ricorrere al principio del "risarcimento": si mantenga la "statu quo" ma Israele risarcisca adeguatamente la Palestina per averle sottratto parte del suo territorio e per i danni causati dall'occupazione .
 3) Ottenuto tale risarcimento dovrebbe avvenire la pacificazione: la Palestina riconosca l'esistenza di Israele e rinunci alla sua politica di odio di vendetta contro di lei.
 4) Tale soluzione sarebbe utile ad entrambe la parti in causa: infatti, avvenuta la pacificazione, gli israeliani vivrebbero in pace e senza l'incubo di aggressioni e di attentati,  ed i palestinesi potrebbero iniziare a vivere una vita degna di essere vissuta. Infatti, grazie al beneficio economico derivante dal "risarcimento", i palestinesi potrebbero dedicarsi ad opere di pace  addirittura avvalendosi dell'esperienza degli israeliani che, grazie al loro spirito ed alla loro laboriosità (sia pure supportata dai  miliardi degli ebrei americani), hanno saputo creare uno stato moderno  nel quale il deserto è stato reso abitabile  e spesso trasformato in fertili coltivazioni. "

Da parte mia osservo che tale soluzione avrebbe un precedente interessante. Infatti la interminabile crisi   fra Italia e  Santa Sede a seguito della "Presa di Roma" del 20 settembre 1870 fu risolta dal Concordato dell' 11 febbraio 1929 mediante il quale la Santa Sede ottenne un
"risarcimento" di 2 miliardi e 7oo milioni di lire per la perdita del suo territorio e per i danni conseguiti a seguito dell'invasione dello stato Italiano.

Padova 26-9-219                                                                    Giovanni Zannini

ROSA LA MERETRICE SANTA


In tempo di guerra poteva capitare che si presentassero nelle case di tolleranza soldati che, avendo riportato in combattimento ferite particolarmente gravi, avevano, dopo la guarigione, un aspetto che provocava orrore e repulsione.
A causa di ciò vi fu spesso la reazione di prostitute impressionate dalla visione di corpi devastati e orripilanti: non che ce l'avessero con quei poveretti, ma la vista di tremende lesioni – moncherini di braccia o di gambe amputate, arti privi di mani o di piedi, la cecità, volti sfregiati ridotti a tragiche maschere, orecchie mozze, corpi ricoperti di ferite, nasi rifatti alla meglio - impediva loro di assolvere le funzioni cui erano adibite.
In una di quelle “case” si presentò un giorno, condotto da un compagno, un giovane divenuto cieco a seguito dello scoppio di una granata che aveva ridotto il suo volto, nonostante lo sforzo dei medici, un' orribile maschera inutilmente celata da un grosso paio di occhiali neri.
La cosa provocò confusione perchè nessuna delle ragazze, paralizzate da quella sconvolgente vista, aveva il coraggio di accudire quel poveretto, seduto in paziente attesa.
Alla fine la tenutaria, assai preoccupata che si diffondesse la voce che nella sua “casa” c'era poco patriottismo, con possibile revoca della licenza, ebbe un lampo:”Chiamate la Rosa! Quella – pensò - dopo averne viste e fatte tante, ce la fa”.
C'era, fra le sue “dipendenti”, la Rosa, una donna sulla sessantina – e anche oltre - che, giunta a fine carriera, dava una mano all'andamento della comunità, per la pulizia e, all'occorrenza, anche in cucina.
La vita le era stata crudele: il marito se l'era svignata lasciandola con tre figli che, appena cresciuti, se n' erano andati per i fatti loro senza occuparsi in alcun modo di lei. Malmenata da conviventi occasionali nei quali tentava di trovare un rifugio, tacciata di ladra per aver rubato per fame una pagnotta, aveva dovuto, per sopravvivere, adattarsi ai lavori più umili e pesanti fino a che stanca, sfinita, abbandonata da tutti, ritenne che, in fondo, a fare quel “mestiere”, il vitto , l'alloggio e quattro soldi erano assicurati.
Messa al corrente della grave situazione, la donna si disse disponibile (e la capa trasse un sospiro di sollievo) a risolvere, per il buon nome della “casa” alla quale oramai si era affezionata, il problema; anche perchè, alla fine, quel richiamo in servizio, sia pure per un caso tanto particolare, costituiva per lei il riconoscimento che ancora qualcosa sussisteva della sua femminilità.
Riassestatasi alla meglio i capelli (chi sa perchè, pensarono le altre, tanto quello non la vede), e indossato un vecchio vestito lungo (che le stava ahimè, troppo stretto) ricordo della passata carriera, con una profonda scollatura che evidenziava, nonostante l'età, un seno ancora in grado di suscitare qualche emozione, vinta la repulsione che l'orrenda visione provocò anche in lei, andò incontro al ragazzo salutandolo con un festoso “Ciao, sono la Rosa”. Lo abbracciò stretto accarezzando quel capo martoriato, poi. staccatolo a fatica da sé, perchè il giovane sembrava non voler perdere neppure un attimo del piacere di quell'abbraccio, la Rosa lo prese per mano e salirono la scala che portava al luogo del piacere.
Il giovane tornò altre volte sempre richiedendo di lei fino a che, trasferito ad un altro ospedale per un ennesimo tentativo di migliorare, per quanto possibile, il suo aspetto, venne il momento dell'addio: un lungo interminabile abbraccio mentre le lacrime bagnavano l'anziano volto della donna e quello devastato del giovane.
Solo loro sapevano che, spinto da un desiderio di piacere sopravvissuto allo strazio del suo corpo, il giovane aveva trovato in quella “casa” non colei che avrebbe dovuto soddisfarlo, ma l'unica donna che, dominando il pur legittimo orrore , ne era divenuta, l'amica, la confidente, la consolatrice.
L'unica che, seduta accanto a lui su quel divanello destinato ad ospitare ben diverse emozioni, tenendolo stretto fra le braccia, accarezzandone il capo devastato e stringendo la sua mano, ascoltava i suoi tormenti, il ricordo terribile della guerra, i dolori insopportabili del suo ferimento, il dramma della morte civile provocata dal suo aspetto orripilante che gli impediva di godere la giovinezza, gli negava l'amore della donna, e lo condannava ad una vita disperata, un inferno di sacrifici e di rinunce denso di preoccupazioni e di nere previsioni.
L'unica che sapesse rasserenarlo, confortandolo con parole che lasciavano intravvedere un avvenire meno fosco e qualche bagliore che la vita avrebbe ancora potuto offrirgli.
E vi furono altri giovani, che orribilmente storpiati nel corpo e devastati nello spirito, varcata la soglia di quella “casa” in cerca del piacere dei sensi vi trovarono la pietà, l'umanità e il cuore della Rosa, la Meretrice Santa.

Padova 21-5-2019 Giovanni Zannini