mercoledì 9 novembre 2011

Luigi Caroli rivale in amore di Garibaldi - VITA E MORTE DEL "GIGIO"

Sono note le vicende dell’infelice matrimonio di Garibaldi con la marchesina Giuseppina Raimondi avvenuto a Fino Mornasco il 24 gennaio 1860.
Terminata, nella cappella della villa del padre, il marchese Giorgio Raimondi, a fino Mornasco, la cerimonia religiosa (anche il primo matrimonio, con Anita, era stato celebrato in chiesa; solo il terzo, poco prima di morire, con la Francesca Armosino, avvenne con rito civile), mentre gli sposi e gli ospiti si avviano al ricevimento, viene consegnato a Garibaldi uno scritto attestante che la diciottenne sposina è l’amante di tal Luigi Caroli, detto Gigio.
Chi l’abbia fatto pervenire al Generale, e cosa contenesse, è dubbio, e molte sono le ipotesi: di certo, però, la denuncia era vera.
Ma chi era questo Caroli?
“Alto, elegante – così lo descrivono Indro Montanelli e Marco Nozza nel loro “Garibaldi” – castano di capelli e di baffi, aveva (alla data dell’infortunio di Garibaldi – ndr) 25 anni e nessun bisogno di lavorare perchè avevano già lavorato per lui nonno, babbo e fratelli spintisi fino in Giappone per importare in quel di Bergamo bachi da seta.
Nato per spendere, anzi, per dilapidare, “Gigio” era andato in Ungheria e ne era tornato con un “tiro a quattro” e una legione di domestici transilvani in costume. A Monaco aveva perso una fortuna al tavolo da gioco. Dalla Spagna aveva dovuto fuggire per non essere costretto al matrimonio con una castigliana da lui sedotta...”
A Montecarlo si gioca 100.000 franchi; un’altra volta ne vince 1.600.000 e (bel gesto, non c’è che dire) regala 500.000 lire a un cassiere che aveva giocato e perso una somma non sua, e voleva suicidarsi; il “tiro a quattro” (ossia, lo dico per i più giovani, che non lo sanno, una carrozza tirata da 4 cavalli, una Ferrari dell’epoca) gli costa 80.000 franchi.
L’incontro con la marchesina era avvenuto nel 1959 a Milano, nel Caffè della Sincerità ove il Caroli si recava ogni giorno – sempre secondo i succitati autori - “facendosi accompagnare dai suoi stallieri in livrea bianca e bottoni d’oro”.
Bello lui, e pieno di soldi, oltretutto con indosso la brillante divisa di tenente dei Cavalleggeri di Saluzzo con i quali ha fatto la campagna del 1859 (non dunque, come qualcuno disse, un Garibaldino – e meno male, perché troppo grande sarebbe stato l’oltraggio se a metter le corna a Garibaldi fosse stato uno dei suoi!) bella lei, ed assai intraprendente - tanto da essere considerata un’antesignana delle femministe - nonostante i suoi 17 anni, il colpo di fulmine fu inevitabile.

La fuga degli amanti

Dopo l’infausto matrimonio (24.1.1860), e lo scandalo che ne seguì, il 29 gennaio il “Gigio” si mette in aspettativa dall’esercito, quindi con la Raimondi si rifugia prima a Friburgo vagolando poi per la Svizzera, su suggerimento del fratellastro di lui, Alessandro Carissimi che lo consiglia di cambiare aria perché qualche fedelissimo di Garibaldi voleva fargli la pelle per l’offesa arrecata al capo.
Consiglio che poi il Gigio rimprovererà al fratellastro perché, in tal modo, con la fuga, la tresca era divenuta evidente mentre resistendo sul posto essa si sarebbe potuta assestare in qualche modo.
La fuga in Svizzera dimostra che tra i due c’era, all’inizio, vero amore: ma dopo pochi mesi esso si andò raffreddando allorché l’uomo si rese conto che il suo legame con la donna, oltretutto in attesa di un figlio, attentava alla sua sfrenata libertà di movimento, e la rottura, nonostante i disperati appelli della donna, fu inevitabile.
Dopo di che, con una facciatosta degna di miglior causa, e con evidente disprezzo per la sorte della donna che aveva compromesso, il suo pensiero fisso diviene il desiderio di arruolarsi nella spedizione garibaldina in Sicilia, sicuro che il gran cuore del Generale avrebbe perdonato il torto arrecatogli.
E per essere ricompreso nei fatidici “1000” non esita ad offrire un contributo di ben 20.000 lire: ma invano perché il Generale, offeso, non vuol neppure sentirne parlare.
La completa rottura fra i due amanti avviene nel luglio 1860 e la Giuseppina Raimondi, rientrata in Italia, a fine agosto o ai primi di settembre partorisce un feto morto.
Anche se altri affermano che sarebbe invece nato un bambino che la Raimondi teneva con sé come figlio dopo averlo fraudolentemente fatto passare all’anagrafe come nipote della sua cameriera.
Inutile sottolineare quanto equivoca sarebbe stata tale situazione, ma commentano Montanelli e Nozza, “erano cose quasi normali nell’alta società di quel tempo cui la nostra fantasia ha imprestato spartani rigori”.
Il riferimento è ai cosiddetti bei tempi passati che, spesso, belli non lo erano proprio.

L’ultima avventura

Fallita la sua ansia di partecipare alla spedizione dei Mille, del Caroli si hanno notizie poche e vaghe: Montanelli/Nozza dicono che “lo scavezzacollo girò per tre anni l’Europa vincendo in amore e perdendo al gioco”.
Andò, o forse solo progettò, di andare nel Caucaso a fare non si sa cosa fino a che gli si offrì un’occasione che appagava il suo desiderio d’avventura e di gloria.
I patrioti polacchi il 23-1-1863 erano insorti contro i dominatori russi per conquistare la libertà ed i garibaldini, generosamente, come altre volte - in Grecia, a Creta, in Spagna, in Francia, senza dimenticare le lotte di Garibaldi in Sud-America per l’indipendenza della Repubblica del Rio Grande do Sul contro l’impero brasiliano – si erano messi in agitazione per organizzare una “Legione Italiana” in loro aiuto.
Comandante ne fu Francesco Nullo ricco, bello, anzi bellissimo pure lui (lo stesso Garibaldi lo definì “Il più bello dei garibaldini”), da sempre seguace del Generale, bergamasco, quindi compaesano del “Gigio” e – sempre secondo Montanelli e Nozza - “non meno scavezzacollo di lui”.
Il Caroli al quale, come si è visto, i quattrini non facevano difetto, contribuì alla spedizione: organizzò, armandolo di tutto punto, un manipolo di una ventina di volontari e con essi seguì la “Legione” in marcia per la lontana Polonia.
Ma le cose andarono male perché, nonostante un patetico appello di Garibadi ai soldati russi perché disertassero, nella battaglia di Krzykawka del 5 maggio 1863 i polacchi furono sconfitti, molti garibaldini, fra cui lo stesso Nullo, perirono in battaglia mentre il Caroli, fatto prigioniero con altri fu mandato a marcire nella gelida Siberia, nella tremenda prigione di Kadaya, in una baracca di legno costruita sulla nuda terra e le catene ai polsi ed ai piedi.
Vane saranno le sue invocazioni a parenti ed amici, anche altolocati, perché i russi liberassero lui e gli altri prigionieri italiani che imprudentemente si erano messi contro di loro: ma lo Zar fu irremovibile.
Come spesso accade nella disgrazia, le inumane condizioni di vita favorirono i ripensamenti, ed il ricordo della Giuseppina tornò, lancinante, alla mente del prigioniero.
Invoca da una sorella l’invio di un suo ritratto e se lo tiene stretto sul petto fino alla morte avvenuta a seguito di una rissa fra prigionieri durante una partita di carte: neppure le catene ed i ghiacci della Siberia erano riusciti a sopire la sua passione per il gioco.E la marchesina?
Dopo anni tormentati di ricordi, ammissioni, confessioni e smentite sulla turbolenta vicenda e dopo un inutile tentativo di riappacificazione con Garibaldi (che andò a trovare al forte di Varignano in quel di La Spezia ove il generale, ferito ad Aspromonte, era stato rinchiuso, ma non fu ricevuta), si sposò nel gennaio 1880 (subito dopo l’annullamento del matrimonio con Garibaldi) con il conte Ludovico Mancini e si spense a Birago (nei pressi di Lentate sul Seveso) nel 1918 all’età di 77 anni.
In conclusione, fu una grande sfortuna per Garibaldi l’incontro con due personaggi di assai discutibile moralità (per non dire altro) che con il loro comportamento attentarono alla sua fama e, diciamolo, suscitarono più di uno sghignazzo.
Anche se, occorre dire anche questo, l’infortunio del 24 gennaio 1860 non distolse l’Eroe dei Due Mondi dall’organizzare in tutti i suoi dettagli un’ impresa memorabile, come quella dei Mille, che prese il largo il 5 maggio dello stesso anno, solo un centinaio di giorni dopo il fattaccio.
Un’ulteriore prova che fra le sue tante virtù Garibaldi aveva anche quella di saper tener distinte, e padroneggiare, in questo, come in altri casi, le questioni di lotta da quelle di letto.
Giovanni Zannini

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