martedì 8 ottobre 2013

A Padova in via S.Francesco - DUE FINESTRE STORICHE

Chi proveniente dal centro di Padova diretto verso Pontecorvo percorre il portico della chiesa di S.Francesco, giunto alla sua fine alzi lo sguardo lungo la parete sovrastante che è quella del convento dei frati francescani: vedrà una piccola finestra circolare oggi chiusa da un’inferriata. Quindi alzi gli occhi sulla parete opposta, quella di Palazzo Giusti (che si trova al civico 89 B) e vedrà una finestra che, proprio di fronte, è in corrispondenza della suddetta finestrella.
Queste due aperture  sono state testimoni di una drammatica vicenda legata alla resistenza padovana contro i nazifascisti negli anni 1943/1945.
Nel Palazzo Giusti, infatti, ebbe sede la “Banda Carità” (che rivaleggiò, in crudeltà,  con la “Banda Koch” del criminale Pietro Koch) comandata dal famigerato magg. Mario Carità il quale alla fine del 1943 aveva costituito  a Firenze un reparto speciale  di polizia della neonata Repubblica Sociale Italiana con funzioni anti-resistenziali.
Giunto a Padova all’inizio del novembre 1944 dopo la conquista di Firenze da parte degli anglo americani,  s’installò a Palazzo Giusti  come “Befehlshaber  der Sicherheitspolizei u. des S.D. in Italien – Italienische Sonderabteilung” (Comandante Supremo  la Pubblica Sicurezza e Servizio Segreto in Italia – Reparto Speciale Italiano ) firmandosi  “SS. Sturmbannfhurer” (Maggiore Comandante delle SS): come si vede, un’equivoca commistione fra Pubblica Sicurezza della RSI e SS. Tedesche, mentre manca ogni riferimento alle SS. Italiane” delle quali, secondo alcuni, sarebbe stato a capo.
Quarantenne allorchè giunse a Padova era considerato da don Ugo Orso  della Curia di Padova  che ebbe modo di conoscerlo,  uomo intelligente ed energico  ma che mise queste qualità al servizio  della violenza.
Don Orso, infatti, era stato introdotto a Palazzo Giusti da padre Cornelio Biondi dei frati benedettini di S.Giustina che, nella sua veste (autorizzatone dal Vescovo Agostini) di Cappellano Militare delle Brigate Nere, faceva il doppio gioco. Don Orso potè così utilizzare, grazie all’interessamento del Biondi, una vettura delle BN per tenere i collegamenti con vari esponenti della resistenza veneta fornendo loro preziose informazioni  (tra le quali, ricordiamolo, l’imminenza del rastrellamento nazifascista sul monte Grappa, notizia della quale, purtroppo, non tennero conto i comandi partigiani).
La banda era costituita da una cinquantina (v. “Ritorno a Palazzo Giusti – Testimonianze dei prigionieri   di Carità a Padova – 1944/1945-“ di Taina Dogo Baricolo), ma altri dicono una novantina, di fascisti ambiziosi e crudeli sospettosi l’uno dell’altro, affaristi senza scrupoli , che tiravano a campare giorno dopo giorno, senza prospettive per il futuro salvo la fiducia nelle “armi nuove” di Hitler, ma innegabilmente assai pericolosi ed astuti, tant’è vero che, come riferisce il sovracitato don Orso, “poco tempo dopo che erano arrivati a Padova avevano già in mano le fila  del movimento clandestino  ed in 24 ore distrussero tutto il CNL (Comitato di Liberazione Nazionale) regionale e provinciale.”.
Infatti, a seguito della tragica retata di domenica 7 gennaio 1944, nella clinica oculistica del prof.Luigi Palmieri ove si erano rifugiati, furono arrestati il prof.Luigi Meneghetti , capo del CLN del Veneto,  ed altri importanti dirigenti del movimento partigiano.
Nelle prigioni di Palazzo Giusti  - denominato dai detenuti “La Nave” per la disposizione a castello dei tavolacci nelle piccole celle senz’aria ricavate dalle vecchie scuderie – passarono quindi molti esponenti della resistenza padovana spesso sottoposti a pesanti interrogatori ed anche a torture per estorcerne segreti.
E le due finestre, quella del convento e dall’altra parte quella di Palazzo Giusti, divennero un canale di comunicazioni fra i partigiani prigionieri e quelli liberi rifugiati nel convento dei cappuccini (ove il priore padre Mariano Girotto, correndo gravi rischi, li accoglieva con grande generosità) che costituì la speranza per i reclusi costretti all’isolamento e diede loro il conforto di non essere abbandonati dai compagni di lotta. Approfittando infatti dei momenti in cui la sorveglianza dei carcerieri, nelle ore dei pasti, era più attenuata, padre Mariano comunicava con i prigionieri mediante cartelloni  sui quali erano scritte le lettere alfabetiche, mentre dall’altra parte si rispondeva con l’alfabeto muto o lanciando sassi o altri oggetti con “allegati” messaggi di ogni genere. Con essi, ad esempio, i prigionieri fornirono informazioni sull’intenzione dei fascisti di arrestare persone che poterono così mettersi in salvo, e comunicarono che a palazzo Giusti si praticavano sevizie, cosicchè il Vescovo Agostini potè intervenire presso il Carità facendo pressioni affinchè cessasse tanta efferata violenza.
Per la verità, l’invito a por fine a certi eccessi era stato fatto al Carità anche da Mussolini ma l’altro, insolentemente, risposte che il duce era andato al potere proprio grazie alla violenza.
Molti furono i progetti per liberare i prigionieri, ma tutti, purtroppo, senza esito.
A cominciare da quello del tipografo Giovanni Zanocco, coraggioso autore di una famosa beffa, la stampa della prima traduzione del libro “Confidenze di Hitler” di Hermann Rauschning - rivoluzionario tedesco che dopo una breve adesione al nazismo se ne distaccò clamorosamente – clandestinizzato con la sovracopertina de “Le avventure di Pinocchio”.
Esso prevedeva di gettare una passerella fra le due aperture per rendere possibile la fuga dei prigionieri: ma essendo evidentemente fantastico ed irrealizzabile, fu tosto abbandonato.
Fu anche studiato il progetto di un assalto dei partigiani al palazzo in collaborazione con  la RAF inglese che con un mitragliamento avrebbe dovuto creare confusione. L’operazione venne affidata alla brigata “Pierobon” che il 10 aprile 1945 si portò in città con 40 uomini  muniti di esplosivo per far saltare il portone posteriore di Palazzo Giusti e favorire l’evasione: ma la RAF mancò all’appuntamento con il conseguente fallimento del piano.
La criminale attività della banda proseguì  senza sosta fino  ai giorni dell’insurrezione allorchè il 27 aprile venne raggiunto un accordo fra gli insorti e Giovanni Gastaldelli (il vice di Carità che aveva assunto il comando dopo che il capo aveva tagliato la corda con 1.400.000 lire in tasca oltre a preziosi di grande valore) in base al quale i prigionieri sarebbero stati liberati a condizione che fossero forniti ai componenti la banda i mezzi per lasciare Padova ed un salvacondotto per essi firmato dal CLN, ciò che avvenne.
Don Orso, che aveva partecipato alle trattative ed era stato trattenuto cautelativamente in arresto nel palazzo, dopo l’allontanamento della banda ricevette in consegna parte dei valori da essa rapinati e consegnò tutte le sue armi al dott.Bidoli, nuovo sindaco di Padova, che le distribuì ai partigiani. Dopo di ciò fu l’ultimo ad uscire dal triste palazzo chiudendo dietro di sé il portone.
E il Carità finì, come era prevedibile, male.
Fuggito con la sua amante e le due figlie Franca (venti anni) e Isa (di 19) che avevano con lui vissuto testimoni di tanta crudeltà, si rifugiò in alto Adige a Siusi. Ma la donna, che aveva trovato il tempo di innamorarsi di un ufficiale americano, gli aveva rivelato il nascondiglio cosicchè la  polizia americana lo sorprese nella stanza in cui si trovava con lei. Resosi conto del tradimento, l’uomo afferrò la pistola che teneva a portata di mano per uccidere la fedifraga ma ne fu impedito da una scarica che lo fulminò.
Vi sono diverse varianti secondo le quali vi sarebbe stato un conflitto a fuoco durante il quale due americani sarebbero morti e l’amante infedele ferita: ma la sostanza non varia.
Si chiuse così l’avventura di un uomo che durante l’effimera vita della mussoliniana Repubblica Sociale Italiana sparse a Padova terrore e lutti.
E accanto alla porta d’ingressso di Palazzo Giusti, testimone di tante crudeltà, resta una targa dinanzi alla quale gli uomini dimentichi transitano distratti, con incisa la poesia scritta da chi ben conobbe quella triste dimora, Egidio Meneghetti, che così recita:
“ Nave tu porti un carico
d’intemerata fede,
gente che spera e crede
nel sol di libertà.
   Vai verso la vittoria
carica di catene,
navighi fra le pene
verso la libertà.
   Le scariche e gli schiaffi,
i pugni e gli staffili
non ci faran mai vili:
viva la libertà.
   Sorge la nuova Europa
in mezzo a tanti mali
e un popolo d’eguali          
nasce alla libertà.
    I baci e le carezze,
le false cortesie
non ci faran mai spie,
gentile Carità “
                                                                                   Giovanni Zannini