venerdì 14 giugno 2013

AFRICA DOCET? 2a edizione

  Giulio Albanese nel suo articolo su “Avvenire” del 28 maggio scorso, ricorda un detto di Plinio il Vecchio il quale affermava che “Ex Africa  semper aliquid novi”,  che dall’Africa giunge sempre qualcosa di nuovo.
Ed  il titolo annuncia che l’Unione Africana (UA), a 50 anni dalla sua fondazione, ha scoperto la “responsabilità” di  “vigilare” sul continente ove esiste “una crescente disparità sociale, oltre ad “una forte criticità  della  democrazia e del pluralismo”.
Non più dunque la forza per abbattere dittatori crudeli,  corrotti e colpevoli di negare la libertà ai propri popoli, ma operare pazientemente, con la persuasione, il suggerimento, la consulenza, l’aiuto e, all’occorrenza, con accorte pressioni nei loro confronti   per vincerne la resistenza.
Evitando di imporre  con le armi, pretesa sciocca e infantile,  giustizia sociale e democrazia,  ma insegnando a come  pervenirvi.
Estendendo, nella sostanza, al campo internazionale  quanto il Vangelo di Matteo (Mt.cap.18) suggerisce per risolvere i  casi privati: la pazienza e la tenacia nello sforzo di correggere chi sbaglia, evitando di ricorrere  intempestivamente, e sbrigativamente,  alle maniere forti, come peraltro costantemente invocato dai Pontefici, ultimo  Papa Francesco sulla crisi siriana.
Questa dottrina che giungerà, si spera, dall’Africa, dovrebbe trovare applicazione anche in sedi  internazionali  più vaste, e nella stessa ONU, per evitare comportamenti che l’esperienza ha dimostrato  negativi e controproducenti.
Così, l’aver abbattuto dittatori come Saddam Hussein in Irak (dove, come titola “Avvenire”, “10 anni dopo Saddam il futuro deve ancora iniziare”) o contribuito ad eliminare Gheddafi in Libia, non  ha risolto i problemi di quei paesi, ma li ha aggravati creando instabilità, confusione e lutti.
Meglio, molto meglio sarebbe stato  l’intervento pacifico  e discreto di organismi internazionali, di mediatori pubblici o privati volontari (i cosiddetti “amateur peace brokers” - mediatori amanti della pace - come l’italiana “Comunità di S.Egidio”).
Anche per fugare il sospetto che azioni di forza, sia pure mascherate da interventi umanitari che sempre guerre sono,  patrocinate da nazioni notoriamente dal grilletto facile, con il pretesto di portare libertà ai popoli oppressi, possano favorire chi  mira con il lurido commercio delle armi, a rimpinguare i propri sordidi portafogli.                                    
Esemplari, in proposito, i successi di Cuba, Norvegia e Cile che insieme, con una mediazione costante e paziente, sono riusciti a far siglare al governo colombiano ed alle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias) divise da una guerra civile che si trascinava da 50 anni in Colombia,  un primo accordo  (sulla terra e sulla situazione delle campagne) che apre la strada alla conclusione del conflitto; o degli italiani della “Comunità di S.Egidio” che con una accorta diplomazia, competenza e caparbia volontà, dopo aver superato momenti  di grave scoraggiamento, hanno portato in Mozambico alla pace ed alla riconciliazione le due opposte fazioni del Frelimo e del Renamo che per anni si sono affrontati in una guerra civile con quasi un milione di morti.     
Ci auguriamo dunque che Emma Bonino, neo Ministro degli Esteri Italiano esponente radicale  pacifista da sempre contraria alla violenza, faccia prevalere, nella prevista conferenza di  “Ginevra 2” per risolvere il conflitto siriano,  i “trattativisti” favorevoli al confronto pacifico, con a capo la Germania, sugli “interventisti” (Gran Bretagna e Francia)  favorevoli ad immettere armamenti nella polveriera siriana in appoggio ai rivoluzionari anti-Assad.
Con la speranza che, alla prova dei fatti, le sue ripetute dichiarazioni a favore della diplomazia per risolvere i conflitti, trovino, in questa ed altre analoghe situazioni, concreta applicazione. 

Padova 3 giugno 2013                                                                   Giovanni Zannini



lunedì 10 giugno 2013

A proposito di compromessi - "BANDIERA NEUTRA": IL "CLN" RISORGIMENTALE

 E’ oggi viva in Italia la polemica sulle alleanze in politica fra parti che da sempre si sono trovate su posizioni opposte.
Taluni le ritengono    una vile forma di compromesso  con la  rinuncia alle proprie idee  sempre manifestate per  inchinarsi a quelle dell’avversario;   altri, invece, le considerano un necessario comportamento, in momenti eccezionali , per raggiungere accordi fra parti politiche da sempre antagoniste che però, per il bene comune della nazione  decidono,  facendosi  reciproche concessioni,  di unire per un determinato periodo le loro forze in vista del generale interesse della nazione.
Val  dunque la  pena di rievocare,  in proposito,  il precedente  storico costituito dall’alleanza   - definita “Bandiera Neutra”  - fra Garibaldi e Mazzini in occasione della spedizione dei Mille, che milita a favore della seconda tesi del suddetto dibattito .        
Tra  Garibaldi e Mazzini, si sa, non correva buon sangue.
Uniti dall’ ideale dell’unità d’Italia, erano però fieramente divisi sul mezzo per arrivarvi.
Garibaldi,  pur convinto della bontà del sistema repubblicano, si pose al servizio della monarchia  ritenendo che solo sotto la guida e nel nome dei Savoia l’agognata unità d’Italia sarebbe divenuta realtà.
E’ lui stesso a dirlo nelle sue memorie:”...Io posso con orgoglio dire: fui e sono repubblicano…In un paese libero…il sistema repubblicano  è certamente il migliore” ma “non essendo possibile per ora, 1859, la Repub blica,…presentandosi  l’opportunità di unificare la penisola con la collaborazione  delle forze dinastiche e nazionali, io vi ho dunque aderito immediatamente…” .
Mazzini, invece, repubblicano puro e duro, era convinto di potercela fare  anche senza i Savoia grazie ad un’azione condotta all’insegna “Dio e Popolo” che con insurrezioni  fomentate in  ogni parte d’Italia, con una guerra per bande,  avrebbe egualmente raggiunto l’obbiettivo desiderato.
Invece, ogni  rivolta da lui organizzata,  a causa dell’impreparazione del popolo a condividere, all’epoca, l’ideale unitario, fallì, con gravi perdite di vite umane:  ma questo  non lo scoraggiò ritenendo egli che l’esempio e l’eroismo di pochi avrebbero alla fine convinto l’intero popolo a condividerne gli ideali, ed a seguito di ciò  la  meta agognata sarebbe stata raggiunta.       
Ma, visto l’esito negativo degli ultimi moti  ( Francesco Bentivegna in Sicilia 1856 e  Carlo Pisacane in Campania 1857) i mazziniani si accordarono  con Garibaldi mettendo provvisoriamente da parte gli ideali repubblicani  in nome del  risultato finale: l’unità d’Italia. Così, essi  decisero di partecipare alla spedizione dei  Mille all’ombra della “Bandiera Neutra”.
Fu, questa,   una sorta di  “CLN”  risorgimentale “ante litteram” simile a quel “Comitato di Liberazione Nazionale”  sotto la cui bandiera,   durante la Resistenza antifascista 1943/1945, i partiti italiani, accantonate per il momento  le proprie singole diverse ideologie,  combatterono  il  nazifascismo  rinviando ogni  decisione sulla forma politica italiana a dopo la vittoria.
Si  veda, in proposito, la lettera 24.2.1860 di Rosolino Pilo (siciliano mazziniano) a Garibaldi con  cui  lo informa “..dei mezzi preparati e messi insieme da Mazzini CHE NON FA QUESTIONE DI REPUBBLICA “ per favorire l’auspicata spedizione.
La conferma che  Mazzini si prodigò nella raccolta di fondi per finanziare la Spedizione dei Mille emerge anche  dalla  lettera 10 maggio 1860 (mentre già Garibaldi veleggiava per  la Sicilia) spedita a   Celeste Gandolfi: ” Fratello, Garibaldi come sapete è passato per aiutare l’insurrezione nel sud.  Savi (Francesco Bartolomeo Savi  - n.1829 m.1865 – mazziniano, giornalista,  patriota,  partì con Garibaldi per la spedizione dei Mille come tenente dei  Carabinieri Genovesi  – ndr)  è con lui, ma non basta. E’ necessario  che ciò che si compie per mare si compia anche per terra.  E’ necessario varcare la frontiera attuale romagnola  e promuovere l’insurrezione delle Marche e dell’Umbria con gli Abruzzi. Così s’aiuta la Sicilia davvero. Così si fonda l’Italia d’ una gente, tutti  i buoni devono ora agire con tutti i mezzi possibili  nella divisione Roselli  composta com’è di buoni elementi  per indurre gli uffiziali e bassi uffiziali  a un pronunciamento in quel senso.   Raccogliere OFFERTE PER LA SICILIA e per darle all’impresa della quale parlo. …Preparare cannoni ed armi per essi : studiare i mezzi d’inviarle ad un punto estremo della frontiera romagnola…”.  
E ancora, il giorno successivo, sempre a Gandolfi:  “Fratello, v’ho scritto: vi riscrivo …Mentre Garibaldi opera sul  sud e in Sicilia combatte, bisogna agire sul centro , quella provincia romana e versarvi quanti elementi disponibili esistono…Centiplicate la vostra energia, e facciamo l’Italia. LA BANDIERA E’UNITA’, LIBERTA’”.
Ossia, BANDIERA NEUTRA, perché  Mazzini, in quel momento, di Repubblica non parla proprio.
E quale esito ebbe l’appello di Mazzini  a “preparare cannoni ed armi”  sul fronte dell’Italia  centrale, per appoggiare, da nord, l’azione che Garibaldi si apprestava a combattere dal sud, dalla Sicilia?
Molto poco - verrebbe da dire - come al solito.
Al  suo appello rispose Giovanni  Nicotera, patriota calabrese, mazziniano, il quale si recò in Toscana,  nei dintorni di Firenze, in veste di colonnello, per arruolare  volontari nella  “brigata Castelpulci”  destinata  a invadere lo Stato Pontificio in Umbria,  nelle Marche e negli Abruzzi. Ma la sua iniziativa fu bloccata da  Cavour e da  Ricasoli sospettosi degli intenti repubblicani del Nicotera, al quale non restò che raggiungere con i suoi uomini, via mare, la Sicilia e combattere valorosamente al fianco di Garibaldi col grado di Colonnello Brigadiere.     
Miglior esito ebbe invece, l’azione sabotativa svolta dai mazziniani nei confronti dell’esercito papalino, in particolare della  “Divisione Roselli”.
Era, questa,  una formazione  dell’esercito papalino  - comandata dall’allora Maggiore  Pietro Roselli - che Pio IX, all’epoca  liberaleggiante,  aveva inviato con il suo battaglione assieme al  corpo di spedizione papalino  comandato dal gen.Giovanni Durando  in aiuto a Carlo Alberto allora impegnato nella 1° Guerra d’Indipendenza del 1848.
Ma successivamente, allorchè il Papa -  deludendo  i patrioti che avevano creduto in lui, fra cui lo stesso Garibaldi -  mutò, come sappiamo, pensiero per il timore di uno scisma in Austria,  il corpo di spedizione papalino che aveva combattuto valorosamente  a fianco dei Piemontesi, ricevette l’ordine di abbandonare il fronte e di rientrare alla base di partenza.
Già allora l’ordine non fu bene accetto, tanto è vero che molti papalini, invece di obbedirvi, si  recarono  a Venezia per difendere la Repubblica di S. Marco assediata dagli austriaci: dunque,  in quella divisione vi erano  dei  fermenti  fra “uffiziali e bassi uffiziali” che Mazzini voleva appunto alimentare per fomentare una rivolta.
Che, in effetti vi fu:  quando, infatti,  Vittorio Emanuele, per raggiungere  Garibaldi vittorioso a Napoli,   invase  lo  Stato Pontificio sconfiggendolo a Castelfidardo, il  Roselli  si mise  ai suoi ordini  e nominato Tenente Generale dell’esercito piemontese si distinse  nella conquista di Ancona di cui comandò per un breve periodo la piazza militare.  
Dunque, il contributo di Mazzini alla liberazione del sud-Italia  vi fu,  anche se solo in maniera cospirativa,   e non, come avrebbe voluto, con “cannoni ed armi” sul fronte dell’Italia centrale.
E allorchè Garibaldi vittorioso entra in Napoli,  Mazzini riprende la sua libertà d’azione,   ammaina la “Bandiera Neutra” , innalza di nuovo quella repubblicana e vi si precipita  per convincerlo, ma invano,  a non unificare il sud Italia al Regno dei Savoia. Accolto in città (ove trova anche il tempo di fondare un ennesimo giornale, “Il Popolo d’Italia”) con vivaci proteste dai  fautori dell’unificazione, e fatto anche oggetto di minacce, affranto da sofferenze fisiche oltre che morali, rinuncia a sostenere le sue idee  e parte per Lugano e poi per l’Inghilterra, mentre, dopo i plebisciti del 21 e 22 ottobre  1860 che decretarono l’annessione del Mezzogiorno al regno sabaudo, Garibaldi e Vittorio Emanuele, nell’incontro di Teano, sancivano la raggiunta unità d’Italia.       
Padova 31.5.2013
                                                                                                                    Giovanni  Zannini