lunedì 23 maggio 2011

“BANDIERA NEUTRA”: IL C.L.N. RISORGIMENTALE

Tra  Garibaldi e Mazzini, si sa, non correva buon sangue.
Uniti dall’ ideale dell’unità d’Italia, erano però fieramente divisi sul mezzo per arrivarvi.
Garibaldi,  pur convinto della bontà del sistema repubblicano, si pose al servizio della monarchia  ritenendo che solo sotto la guida e nel nome dei Savoia l’agognata unità d’Italia sarebbe divenuta realtà.
E’ lui stesso a dirlo nelle sue memorie:”...Io posso con orgoglio dire: fui e sono repubblicano…In un paese libero…il sistema repubblicano  è certamente il migliore” ma “non essendo possibile per ora, 1859, la Repub blica,…presentandosi  l’opportunità di unificare la penisola con la collaborazione  delle forze dinastiche e nazionali, io vi ho dunque aderito immediatamente…” .
Mazzini, invece, repubblicano puro e duro, era convinto di potercela fare  anche senza i Savoia grazie ad un’azione condotta all’insegna “Dio e Popolo” che con insurrezioni  fomentate in  ogni parte d’Italia, con una guerra per bande,  avrebbe egualmente raggiunto l’obbiettivo desiderato.
Invece, ogni  rivolta da lui organizzata,  a causa dell’impreparazione del popolo a condividere, all’epoca, l’ideale unitario, fallì, con gravi perdite di vite umane:  ma questo  non lo scoraggiò ritenendo egli che l’esempio e l’eroismo di pochi avrebbero alla fine convinto l’intero popolo a condividerne gli ideali, ed a seguito di ciò  la  meta agognata sarebbe stata raggiunta.       
Per questo, visto l’esito negativo degli ultimi moti da lui ispirati  ( Francesco Bentivegna in Sicilia 1856 e  Carlo Pisacane in Campania 1857) i mazziniani si accordarono  con Garibaldi mettendo provvisoriamente da parte gli ideali repubblicani  in nome del  risultato finale: l’unità d’Italia. Così, essi  decisero di partecipare alla spedizione dei Mille all’ombra di una “Bandiera Neutra”  -  una sorta di  “CLN”  risorgimentale, “ante litteram”, simile a quel “Comitato di Liberazione Nazionale” che poi, durante la Resistenza,  unì  i partiti italiani che, accantonate per il momento  le proprie singole diverse ideologie,  combatterono  il  nazifascismo  – rinviando la decisione definitiva  sulla struttura istituzionale dell’Italia ad un periodo successivo all’unificazione.
Si veda, in proposito, la lettera 24.2.1860 di Rosolino Pilo (siciliano mazziniano) a Garibaldi con  cui  lo informa “..dei mezzi preparati e messi insieme da Mazzini CHE NON FA QUESTIONE DI REPUBBLICA “ per favorire l’auspicata spedizione.
La conferma che  Mazzini si prodigò nella raccolta di fondi per finanziare la Spedizione dei Mille emerge anche  dalla  lettera 10 maggio 1860 (mentre già Garibaldi veleggiava per  la Sicilia) spedita a   Celeste Gandolfi: ” Fratello, Garibaldi come sapete è passato per aiutare l’insurrezione nel sud. Savi è con lui, ma non basta. E’ necessario  che ciò che si compie per mare si compia anche per terra. E’ necessario varcare la frontiera attuale romagnola  e promuovere l’insurrezione delle Marche e dell’Umbria con gli Abruzzi. Così s’aiuta la Sicilia davvero. Così si fonda l’Italia d’ una gente, tutti i buoni devono ora agire con tutti i mezzi possibili  nella divisione Roselli  composta com’è di buoni elementi  per indurre gli uffiziali e bassi uffiziali  a un pronunciamento in quel senso.   Raccogliere OFFERTE PER LA SICILIA e per darle all’impresa della quale parlo. …Preparare cannoni ed armi per essi : studiare i mezzi d’inviarle ad un punto estremo della frontiera romagnola…”.  
E ancora, il giorno successivo, sempre a Gandolfi:  “Fratello, v’ho scritto: vi riscrivo …Mentre Garibaldi opera sul  sud e in Sicilia combatte, bisogna agire sul centro , quella provincia romana e versarvi quanti elementi disponibili esistono…Centiplicate la vostra energia, e facciamo l’Italia. LA BANDIERA E’UNITA’, LIBERTA’”.
Ossia, BANDIERA NEUTRA, perché  Mazzini, in quel momento, di Repubblica non parla proprio.
E cosa ottenne Mazzini  sul fronte dell’Italia  centrale, in appoggio all’azione che Garibaldi stava combattendo su quello sud?
La “divisione Roselli”, di cui parla Mazzini,  era una formazione  dell’esercito papalino comandata dal  generale Pietro Roselli, lo stesso che, allora  Maggiore,  Pio IX, all’epoca  liberaleggiante,  aveva inviato con il suo battaglione assieme al  corpo di spedizione comandato dal gen.Giovanni Durando  in aiuto a Carlo Alberto allora impegnato nella 1° Guerra d’Indipendenza del 1848. Ma successivamente, allorchè il Papa -  deludendo  i patrioti che avevano creduto in lui, fra cui lo stesso Garibaldi -  mutò, come sappiamo, pensiero per il timore di uno scisma in Austria,  il corpo di spedizione papalino che aveva combattuto valorosamente in Veneto a fianco dei Piemontesi, ricevette l’ordine di abbandonare il fronte e di rientrare alla base di partenza.
Già allora l’ordine non fu bene accetto, tanto è vero che molti papalini, invece di obbedirvi, si  recarono  a Venezia per difendere la Repubblica di S. Marco assediata dagli austriaci: dunque,  in quella divisione vi erano  dei  fermenti  fra “uffiziali e bassi uffiziali” che Mazzini voleva appunto alimentare per fomentare una rivolta.
Che, in effetti vi fu:  quando, infatti,  Vittorio Emanuele  invase  lo  Stato Vaticano – poi sconfitto a Castelfidardo   - marciando verso sud per ricongiungersi con Garibaldi, il  Roselli  si mise  ai suoi ordini  e nominato Tenente Generale dell’esercito italiano si distinse  nella conquista di Ancona di cui comandò per un breve periodo la piazza militare.  
Dunque, il contributo di Mazzini all’impresa dei Mille  vi fu, sia pure in un periodo successivo alle vittoriose battaglie di Garibaldi che già il 7 settembre 1860 era entrato vittorioso in Napoli, ed in  maniera cospirativa e non, come avrebbe voluto, con “cannoni ed armi” sul fronte dell’Italia centrale.
A questo punto Mazzini riprende la sua libertà d’azione,   ammaina la “Bandiera Neutra” , innalza di nuovo quella repubblicana e si precipita a Napoli per convincere, ma invano,  Garibaldi a non unificare il sud Italia al Regno dei Savoia. Accolto in città (ove trova anche il tempo di fondare un ennesimo giornale, “Il Popolo d’Italia”) con vivaci proteste dai  fautori dell’unificazione, e fatto anche oggetto di minacce, affranto da sofferenze fisiche oltre che morali, rinuncia a sostenere le sue idee  per Lugano e poi per l’Inghilterra, mentre, dopo i plebisciti del 21 e 22 ottobre  1860 che decretarono l’annessione del Mezzogiorno al regno sabaudo, Garibaldi e Vittorio Emanuele, nell’incontro di Teano, sancivano la raggiunta unità d’Italia.       

                                                                                                                    Giovanni  Zannini


MAZZINI E I 1000: MERITO SUO?

Giuseppe Garibaldi compì la grande impresa della spedizione dei Mille per liberare il sud Italia dai Borboni e addivenire all’unità d’Italia: ma di chi fu l’idea? L’ebbe lui stesso, o furono altri ad ispirarlo?
E la risposta, per quanto strano possa apparire, è: Giuseppe Mazzini ed i suoi seguaci. Proprio lui, che di Garibaldi  aveva sempre avversato la strategia (l’unità d’Italia nel nome e sotto la guida dei Savoia), fedele al suo motto “Dio e popolo” che il comune sogno dell’Unità d’Italia affidava invece ad insurrezioni popolari da fomentarsi in ogni parte d’Italia e ad una guerra per bande alla quale  gli italiani, trascinati dall’esempio di tanti martiri caduti nei vari tentativi,  avrebbero  alla fine partecipato.
Già nel 1854 in un incontro a Londra, Mazzini aveva invitato Garibaldi a capeggiare una spedizione in Sicilia contro i Borboni,  trovandosi però di fronte ad un netto rifiuto del Generale che non riteneva maturi  i tempi per tale audace operazione.    
Ma a fargli mutare idea furono, alla fine, altri mazziniani siciliani, numerosi nell’isola, fra cui Francesco Crispi, Rosolino Pilo, Giovanni Corrao,  Giuseppe   La farina, Nicola Fabrizi  ed altri  che già avevano partecipato ma, ahimè, senza successo, all’insurrezione palermitana del 1848 contro i Borboni e  che  all’inizio del 1860 tornarono di nuovo alla carica.
Chiara, in tal senso, la lettera che Rosolino Pilo -  un nobile mazziniano palermitano che aveva partecipato alla rivoluzione del 1848 nella sua città e poi collaborato con Pisacane alla sua fallita avventura del  1858 convincendosi,  dopo di ciò,  della necessità di cambiare il sistema di lotta e di chiedere  aiuto a forze esterne al movimento mazziniano  - d’accordo con Francesco Crispi, invia da Genova,  il 24 febbraio 1860, a Garibaldi. Con essa lo informa di “mezzi preparati e messi  insieme in Sicilia da Mazzini che non fa questione di repubblica, per riuscire non ad un moto scomposto (come quelli soliti mazziniani….Ndr) ma ad un’azione seria”. Per questo, una volta che Garibaldi fosse riuscito a procurarsi i fondi  per  i volontari,  il necessario armamento  ed il “noleggio di bastimento”, egli  si sarebbe recato in Sicilia per iniziare “un fatto serio nel Mezzogiorno ove Voi, a nostro avviso telegrafico, dovreste farci la grazia di recarvi per capitanarci…”. E conclude: “Sì, Generale stimatissimo, è tempo che voi non veniate meno all’Italia…Dai Vostri ultimi scritti ho visto che Voi siete convinto che non resta se non l’armarsi e l’audacia e la fermezza di proposito  agli italiani per liberarsi  degli stranieri  che tuttavia baldanzosi stanno nella penisola”.
Dopo di ciò il 28 marzo 1860, assieme a Giovanni Corrao,  partì per la Sicilia ove accese  la scintilla  che portò alla fine del Regno delle Due Sicilie.      
 L’insurrezione ebbe successo nel contado, mentre a  Palermo incontrò difficoltà che mal riferite a Garibaldi, lo posero nel dubbio se partire o rinunciare.  Ma il 5 maggio, pur ignorando  se al suo arrivo nell’isola avrebbe trovato  un popolo che lo accoglieva festante o le agguerrite truppe borboniche pronte a rigettarlo in mare, si decise ed ancora una volta la fortuna gli arrise.
Rosolino Pilo, dopo lo sbarco di Garibaldi, si unì immediatamente alle sue camicie rosse in marcia verso Palermo  cadendo in combattimento sei giorni prima della presa della città.
“Missione compiuta”, dunque, di un eroe del quale poco si parla nella storia del Risorgimento Italiano ma al quale andrebbero invece attribuiti  maggiori riconoscimenti.
Alla sua memoria fu conferita, il 30 settembre 1862,  la medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione:  ”Morto sul campo combattendo con valore  a S.Martino di Monreale il 21 maggio 1860”.