venerdì 8 marzo 2013

Tre nomi, un solo sfascismo - GIANNINI,GRILLO,FO


Per averli vissuti, ricordo gli anni dell'”Uomo Qualunque”, giornale fondato nel 1944 da Guglielmo Giannini (n.1891 + 1960), giornalista e commediografo, attorno al quale nacque e si sviluppò il partito omonimo che in occasione delle elezioni per l'Assemblea Costituente del 1946 riuscì a mandare in Parlamento un gruppo di 36 deputati suscitando enorme sorpresa e infinite discussioni.
A parte l'entità del successo (36 deputati contro i 109 dei Grillini), il pensiero ispiratore di Giannini è analogo, quasi sovrapponibile, a quello di Grillo.
“Manifesta sfiducia nei confronti della politica riguardata come l'arena in cui i partiti, gruppi, movimenti, competono per conquistare, mantenere o influenzare il potere di governo...Critica delle ideologie astratte e lontane dai problemi quotidiani della gente, il diritto degli “uomini qualunque”, dei “pincopallini”, a non essere trattati come strumenti di produzione da buttare se poco redditizi, o come elettori da mobilitare come massa di manovra nelle battaglia tra le élites politiche; il desiderio di considerazione sociale...”.
Firmato Grillo? No, è l'illustrazione del pensiero di Guglielmo Giannini tratto dall'Enciclopedia Treccani.
Ma allora Grillo ha “copiato” Giannini? Non lo sappiamo, ma certo l'analogia è impressionante.
Anche nello stile oratorio dei due, entrambi irruenti (ma più elegante il primo, volgaruccio il secondo) che riempiva le piazze e mandava in sollucchero le folle che ascoltavano ieri Giannini e che ascoltano, oggi, Grillo.
Ma un'altra significativa analogia, la comune appartenenza al mondo dello spettacolo, unisce i due.
Giannini, autore di commedie di successo quali “Il pretore de Minimis”, Grillo interprete di spettacoli televisivi di successo, talora piacevoli: entrambi sognatori, vivono nel mondo della fantasia.
Se poi consideriamo che Dario Fo, lui pure uomo di spettacolo, è un entusiasta “supporter” di Grillo, vien facile pensare che il suo sia in realtà un partito-spettacolo basato sull'effimero, privo di fondamenti, maestro nell'abbattere, nel deridere gli avversari, nel denunciare (talora fondatamente) i difetti della politica , ma inconsistente, come lo fu “L'uomo Qualunque”, sotto il profilo teorico e programmatico.
Come dimostra un Grillo che, dopo la vittoriosa fase delle sciabolate demolitrici, è oggi incapace di impugnare il fioretto per contribuire, con il peso assegnatogli dalle recenti elezioni, a costruire una politica migliore di quella che ha così validamente contribuito a criticare.
Attestandosi su di un atteggiamento, attendista, incerto, catastrofista, confuso, di rinuncia a volersi mettere lui pure “alla stanga” per far uscire l'Italia dalle attuali difficoltà, mirando invece allo sfascio ed alla rovina..
Un atteggiamento che anche una parte della sua base comincia e rimproverargli, cosicchè un ritorno alle urne in tempi brevi potrebbe riservargli amare sorprese.
Ricordando che il partito dell'“Uomo Qualunque”, dopo il successo del 1946, solo due anni dopo, nel 1948, era praticamente scomparso.
Giovanni Zannini                                              

venerdì 1 marzo 2013

Ancora sui silenzi di Pio XII - LA "PALINODIA" DI ANTONIO SPINOSA


“Palinodia” significa “scritto o discorso nel quale si ritrattino opinioni già professate”, e se cito questa parola un po' raffinata – e della quale, confesso, ignoravo il significato – è perchè la utilizza Antonio Spinosa (Ceprano 1923 - Roma 2009) maestro della saggistica storico biografica di elevato livello avendo scritto su personaggi dell'antica Roma, dell'età napoleonica, e poi dell'età contemporanea, fra questi D'Annunzio, Mussolini, Vittorio Emanuele III, Hitler, Pio XII, Edda Ciano, Starace.
Nel suo “Mussolini razzista riluttante” (Ed.Mondadori 2006) che raccoglie 4 suoi articoli pubblicati negli anni 1952/1953 sulla rivista “Il Ponte” diretta da Pietro Calamandrei, Spinosa, con l'introduzione al libro intitolata “Molti anni dopo, la svolta”, sente “ l'esigenza di espiare l'errore d'una fallace interpretazioni di alcuni eventi” riguardanti Pio XII.
“Soprattutto su Pacelli”, scrive, “fui indotto in errore dalle conoscenze storiche di allora” superate “dagli 11 volumi contenenti gli atti e i documenti della Santa Sede relativi alla seconda guerra mondiale dai quali gli studiosi oggi non possono prescindere”.
Ed alla luce delle nuove acquisizioni documentarie egli intende “espiare qui compiutamente”, la sua “colpa giovanile” riconoscendo che i silenzi di Pio XII sulle leggi razziali “furono il frutto di una dolorosa meditazione che in quel momento gli suggerirono una drammatica prudenza per poter aspirare ad un ruolo di mediatore fra le due parti in conflitto che ne consentisse la fine.
Oltre a ciò, “la preoccupazione del peggio che si sarebbe potuto abbattere sui 40 milioni di cattolici tedeschi ove la riprovazione delle leggi razziali, in lui radicata, fosse stata pubblicamente denunciata. Se il tacere poteva essere giudicato scarsamente eroico, a lui sembrò l'unica cosa giusta davanti a Dio ed alla propria coscienza”.
In tale drammatica situazione il Papa fece dunque la scelta responsabile di “compiangere gli sventurati senza la condanna dei responsabili delle loro sventure” che, come sopra detto, avrebbe potuto provocare feroci rappresaglie: ed è ormai a tutti nota la catena di carità e di assistenza che egli mise in moto per salvare la vita di migliaia di ebrei nascosti nelle canoniche, nelle chiese, nei conventi, in Vaticano.
Spinosa rettifica poi l'accusa giovanile da lui rivolta a Pio XII di non essere intervenuto tempestivamente per evitare la strage delle Fosse Ardeatine riconoscendo che per l'estrema rapidità dell'azione nessuno ebbe il tempo di farlo: circostanza confermata nell'ottobre 1975 dal maggiore Dolmann il quale affermò che “nessuno sapeva in cosa sarebbe consistita la rappresaglia e non se ne poteva prevedere una così rapida esecuzione”.
Antonio Spinosa conclude l'introduzione al suo libro con una frase esemplare che gli fa onore:” Ora, avendo rettificato le affermazioni degli articoli de “Il Ponte” espresse tuttavia in perfetta buona fede, la mia coscienza di narratore di storia è alfine tranquilla”.
Spiace invece constatare che, nonostante la documentazione che ha convinto uno storico ed uno studioso del livello di Antonio Spinosa a rettificare passate affermazioni, altri, pervicacemente, insistano nelle accuse riguardanti Pio XII.
Come il Presidente della Camera dei Deputati On. Gianfranco Fini - proprio lui, “uno”, scriveva l'Osservatore Romano “degli eredi politici del fascismo che delle leggi razziali fu unico responsabile e dal quale pure da tempo egli vuole lodevolmente prendere le distanze” - che nel 2008, in un non dimenticato discorso commemorativo lamentava che all'epoca delle leggi razziali “non siano state registrate manifestazioni particolari di resistenza. Nemmeno, mi duole dirlo, da parte della Chiesa cattolica”.
C'è da augurarsi che, sull'esempio di Antonio Spinosa, anche il Presidente Fini si decida, finalmente, ad esprimere una sincera “palinodia”.
Giovani Zannini