mercoledì 7 ottobre 2015

MARINAI TEDESCHI SALVATI DA SOMMERGIBILISTI ITALIANI

Nel dicembre del 1941 quattro sommergibili italiani di “Betasom”, la base navale costituita dall'Italia in Francia vicino a Bordeaux per collaborare con i tedeschi in Atlantico alla lotta contro le navi che trasportavano gli aiuti degli Stati Uniti all'Inghilterra, effettuarono una coraggiosa azione di soccorso nei confronti di marinai tedeschi in pericolo.
Il comando superiore dei sommergibili tedeschi aveva infatti disposto che quattro unità (U-A, U-68, U-124 e U-129 ) effettuassero un'azione di sorpresa nelle lontanissime acque sud-africane (mai prima battute) prospicenti Città del Capo, potendo contare durante il lungo tragitto sull'assistenza di due navi appoggio, l'incrociatore ausiliario “Atlantis” e la nave appoggio “Python” già posizionate all'altezza delle isole dell'Ascensione e di S.Elena
Ma l'affondamento da parte degli inglesi di queste due navi costrinse il comando tedesco a sospendere l'operazione progettata ed a trasformarla in azione di soccorso dei quattrocentoquindici superstiti dell'affondamento delle due navi ausiliarie.
I quattro sommergibili accorsi riuscirono a prendere a bordo i naufraghi, ma dovettero constatare che ciò aveva appesantito i battelli in modo tale da rendere difficoltosa la loro manovrabilità, soprattutto l'impossibilità di immergersi in caso di pericolo, a parte la scarsità di viveri e di acqua provocata dall'arrivo degli imprevisti ospiti.
La situazione creatasi era dunque di estremo pericolo: quattro sommergibili tedeschi alla mercè di qualsiasi nave inglese che avesse avuto la fortuna di intercettarli.
Di fronte alle richieste di aiuto che continuamente gli pervenivano, l'Ammiraglio Donitz comandante della flotta sottomarina tedesca, non avendo in Atlantico altro naviglio in grado di raggiungere velocemente la zona del disastro, chiese ed ottenne dal capitano di vascello Polacchini comandante della base italiana di Betasom a Bordeaux, di inviare sottomarini italiani in soccorso.
Ci si chiede perchè Donitz anziché far partire per l'operazione di salvataggio propri
sommergibili, preferì far intervenire quelli italiani e la risposta è che questi ultimi, di dimensioni maggiori di quelli tedeschi, disponevano, ovviamente, di spazi maggiori per caricare soccorsi per i naufraghi, e poi imbarcarli.
All'impresa furono destinati i sommergibili Finzi, Calvi, Tazzoli e Torelli alleggeriti di tutto il materiale non indispensabile ed anche di parte dell'equipaggio, il che provocò reazioni degli esclusi evidentemente ansiosi, generosamente, di partecipare all'avventura.
I sommergibili italiani accolti con comprensibile entusiasmo, riuscirono a trasbordare su quelli tedeschi 3600 razioni di viveri da guerra, 11 quintali di miglioramento vitto, 53.700 sigarette, 30 tonnellate di nafta e 2400 chilogrammi di olio lubrificante, mentre i naufraghi imbarcati furono in totale .254 con il che i sommergibili tedeschi, sgravati da tale peso, poterono riprendere regolarmente la navigazione
I sommergibili italiani avevano percorso circa 5000 miglia marittime ciascuno, il che costituì
l'azione di salvataggio a più lungo raggio di tutta la storia navale.
Rientrati alla base , i comandanti delle 4 unità italiane (De Giacomo del Torelli, Giudice del Finzi, Fecia di Cossato del Tazzoli e Olivieri del Calvi) furono decorati, in una solenne cerimonia, dall'Ammiraglio Donitz, con la Croce al Merito dell'Ordine dell'Aquila tedesca con spade di seconda classe.

Giovanni Zannini

I "SOMMERGIBILI DELL'IMPERO"

 Fu così chiamato quel gruppo di sommergibili italiani che dopo l'inizio della seconda guerra mondiale si trovò completamente isolato in Africa Orientale nelle colonie italiane del Mar Rosso dell'epoca in Africa Orientale. Una circolare del duca Amedeo d'Aosta, Vicerè dell'impero, aveva infatti previsto che “ l'Impero deve fronteggiare qualsiasi situazione facendo assegnamento soltanto sulle proprie forze e sui propri mezzi”.
Una situazione altamente drammatica che ebbe purtroppo per l'Italia il previsto esito negativo della guerra su questo fronte.
I sommergibili presenti nella base di Massaua in Eritrea all'inizio del conflitto erano i seguenti otto: Guglielmotti, Archimede , Ferraris, Perla, Galvani, Torricelli , Galilei e Macallè.
Il loro compito doveva essere, secodo il Vicerè, quello di “condurre la guerra di corsa senza economia di forze contro il traffico marittimo avversario sul Mar Rosso e sulle coste dell'Arabia e della Somalia particolarmente fra Aden e Gibuti con obbiettivo la cattura di tutti i piroscafi nemici e neutrali che si trovassero ancora a navigare su quelle rotte all'apertura delle ostilità”.
In realtà i risultati ottenuti furono assai modesti per diverse cause.
Anzitutto il clima torrido mal sopportato dagli uomini; il cattivo funzionamento, all'interno dei sommergibili, degli impianti di condizionamento dell'aria funzionanti a cloruro di metile le cui perdite provocavano gravi danni alla salute degli equipaggi; la difficoltà della navigazione in superfice a causa dei monsoni che impedivano il miglior impiego delle armi di bordo; infine la difficoltà di svolgere l'osservazione periscopica per lunghi periodi.
A ciò si aggiunga il rafforzamento della difesa navale inglese cui si aggiunsero unità alleate indiane ed australiane mentre, al contrario, gli italiani bloccati in Mar Rosso a nord dal Canale di Suez ed a sud dallo stretto di Bab-el-Mandeb non poterono ottenere alcun rinforzo.
A fronte dei modesti risultati ottenuti, le perdite italiane furono gravissime.
Due sommergibili, il Torricelli e il Galvani affondati in combattimento, il Macallè affondato per un errore di manovra del comandante, il Galilei catturato dagli inglesi a seguito di combattimento. Soffermiamoci su quest'ultimo episodio.
Avvistato dall'aviazione avversaria il 18 giugno 1940 ed attaccato con bombe di profondità che fortunatamente non recano danni, il Galilei, comandato dal capitano di corvetta Corrado Nardi si immerge alla profondità di 45 metri per dar riposo all'equipaggio ma, a causa della fuoruscita di cloruro di metile dall'impianto di condizionamento dell'aria, è costretto ad emergere ed affrontare l'impari combattimento con le numerose navi avversarie accorse. Il tiro avversario uccide il comandante e l'ufficiale in seconda e danneggia gravemente il sommergibile che, con la macchine in avaria, si arresta. Allora il guardiamarina Mazzucchi, come più alto in grado sopravvissuto, convinto che suo compito sia quello di salvare la vita ai numerosi feriti gravi a bordo del Galilei, si arrende e chiede agli inglesi un'imbarcazione di soccorso contravvenendo in tal modo all'ordine del comandante morente di evacuare ed autoaffondare il battello.
L' “equipaggio da preda” inglese salito a bordo si accorge che il sottomarino è ancora in grado di navigare e, rimesse in moto le macchine, raggiunge trionfalmente il porto di Aden con la bandiera inglese che sventola in torretta sopra quella italiana: successivamente il battello catturato è incorporato nella Royal Navy
Un episodio non glorioso per la marina italiana, tanto più che la mancata distruzione dei documenti segreti (codici e ordine di operazione) rivela agli inglesi utili informazioni per la caccia ai sottomarini italiani sopravvissuti all'impari lotta.
Ma, a fronte di questa disavventura, un fatto eroico.
Il sommergibile Galvani in navigazione è intercettato dal nemico che apre il fuoco provocando una falla dalla quale l'acqua irrompe all'interno del sottomarino che minaccia di affondare. Allora il secondo capo silurista Pietro Venuti (poi decorato con medaglia d'oro alla memoria) si chiude nel locale a lui affidato e blocca, a costo della vita, la porta stagna frenando la furia delle acque che lo uccidono:. ma il suo sacrificio è inutile perchè il sommergibile, nuovamente colpito, affonda.
Di fronte a questa drammatica situazione Supermarina (il comando supremo della marina italiana) ordina ai superstiti sommergibili Guglielmotti, Ferraris, Archimede e Perla di lasciare il Mar Rosso e di raggiungere la base navale “Betasom” che l'Italia aveva costituito in Atlantico presso Bordeaux. Un percorso di quasi 13.000 miglia nell'oceano Indiano ed in quello Atlantico, in acque burrascose, violando la caccia nemica.
Ed i “Sommergibili dell'impero”, abbandonate la torride acque del Mar Rosso iniziarono una nuova, impari lotta nelle gelide acque del' Oceano Atlantico.


                                                                                     Giovanni Zannini