Fu così chiamato quel gruppo di
sommergibili italiani che dopo l'inizio della seconda guerra mondiale
si trovò completamente isolato in Africa Orientale nelle colonie
italiane del Mar Rosso dell'epoca in Africa Orientale. Una circolare
del duca Amedeo d'Aosta, Vicerè dell'impero, aveva infatti previsto
che “ l'Impero deve fronteggiare qualsiasi situazione facendo
assegnamento soltanto sulle proprie forze e sui propri mezzi”.
Una situazione altamente drammatica che
ebbe purtroppo per l'Italia il previsto esito negativo della guerra
su questo fronte.
I sommergibili presenti nella base di
Massaua in Eritrea all'inizio del conflitto erano i seguenti otto:
Guglielmotti, Archimede , Ferraris, Perla, Galvani, Torricelli ,
Galilei e Macallè.
Il loro compito doveva essere, secodo
il Vicerè, quello di “condurre la guerra di corsa senza economia
di forze contro il traffico marittimo avversario sul Mar Rosso e
sulle coste dell'Arabia e della Somalia particolarmente fra Aden e
Gibuti con obbiettivo la cattura di tutti i piroscafi nemici e
neutrali che si trovassero ancora a navigare su quelle rotte
all'apertura delle ostilità”.
In realtà i risultati ottenuti furono
assai modesti per diverse cause.
Anzitutto il clima torrido mal
sopportato dagli uomini; il cattivo funzionamento, all'interno dei
sommergibili, degli impianti di condizionamento dell'aria
funzionanti a cloruro di metile le cui perdite provocavano gravi
danni alla salute degli equipaggi; la difficoltà della navigazione
in superfice a causa dei monsoni che impedivano il miglior impiego
delle armi di bordo; infine la difficoltà di svolgere l'osservazione
periscopica per lunghi periodi.
A ciò si aggiunga il rafforzamento
della difesa navale inglese cui si aggiunsero unità alleate indiane
ed australiane mentre, al contrario, gli italiani bloccati in Mar
Rosso a nord dal Canale di Suez ed a sud dallo stretto di
Bab-el-Mandeb non poterono ottenere alcun rinforzo.
A fronte dei modesti risultati
ottenuti, le perdite italiane furono gravissime.
Due sommergibili, il Torricelli e il
Galvani affondati in combattimento, il Macallè affondato per un
errore di manovra del comandante, il Galilei catturato dagli inglesi
a seguito di combattimento. Soffermiamoci su quest'ultimo episodio.
Avvistato dall'aviazione avversaria il
18 giugno 1940 ed attaccato con bombe di profondità che
fortunatamente non recano danni, il Galilei, comandato dal capitano
di corvetta Corrado Nardi si immerge alla profondità di 45 metri per
dar riposo all'equipaggio ma, a causa della fuoruscita di cloruro di
metile dall'impianto di condizionamento dell'aria, è costretto ad
emergere ed affrontare l'impari combattimento con le numerose navi
avversarie accorse. Il tiro avversario uccide il comandante e
l'ufficiale in seconda e danneggia gravemente il sommergibile che,
con la macchine in avaria, si arresta. Allora il guardiamarina
Mazzucchi, come più alto in grado sopravvissuto, convinto che suo
compito sia quello di salvare la vita ai numerosi feriti gravi a
bordo del Galilei, si arrende e chiede agli inglesi un'imbarcazione
di soccorso contravvenendo in tal modo all'ordine del comandante
morente di evacuare ed autoaffondare il battello.
L' “equipaggio da preda” inglese
salito a bordo si accorge che il sottomarino è ancora in grado di
navigare e, rimesse in moto le macchine, raggiunge trionfalmente il
porto di Aden con la bandiera inglese che sventola in torretta sopra
quella italiana: successivamente il battello catturato è incorporato
nella Royal Navy
Un episodio non glorioso per la marina
italiana, tanto più che la mancata distruzione dei documenti segreti
(codici e ordine di operazione) rivela agli inglesi utili
informazioni per la caccia ai sottomarini italiani sopravvissuti
all'impari lotta.
Ma, a fronte di questa disavventura, un
fatto eroico.
Il sommergibile Galvani in navigazione
è intercettato dal nemico che apre il fuoco provocando una falla
dalla quale l'acqua irrompe all'interno del sottomarino che minaccia
di affondare. Allora il secondo capo silurista Pietro Venuti (poi
decorato con medaglia d'oro alla memoria) si chiude nel locale a lui
affidato e blocca, a costo della vita, la porta stagna frenando la
furia delle acque che lo uccidono:. ma il suo sacrificio è inutile
perchè il sommergibile, nuovamente colpito, affonda.
Di fronte a questa drammatica
situazione Supermarina (il comando supremo della marina italiana)
ordina ai superstiti sommergibili Guglielmotti, Ferraris, Archimede
e Perla di lasciare il Mar Rosso e di raggiungere la base navale
“Betasom” che l'Italia aveva costituito in Atlantico presso
Bordeaux. Un percorso di quasi 13.000 miglia nell'oceano Indiano ed
in quello Atlantico, in acque burrascose, violando la caccia nemica.
Ed i “Sommergibili dell'impero”,
abbandonate la torride acque del Mar Rosso iniziarono una nuova,
impari lotta nelle gelide acque del' Oceano Atlantico.
Giovanni Zannini
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