mercoledì 30 luglio 2014

LA GUARDIA DEL CORPO - Racconto -

Il sig. Aldo Portalaborsa entra nell’agenzia “FORZA E CORAGGIO - la sicurezza al servizio dei VIP” sita in centro città, arredata con lusso ed eleganza.  Lo accoglie Max Logrugno, il titolare, un ex pugile con il naso rincagnato che,  stanco di prendere pugni in faccia per quattro soldi, aveva deciso di mettere i propri muscoli al servizio di chiunque avesse bisogno di difendersi, per i più vari motivi (politici, commerciali, artistici, coniugali ed extraconiugali) da possibili atti ostili, guadagnando molto e molto di più con rischi assai, assai  minori di quelli che si incontrano facendosi menare  sul ring. Non avendo ancora il cervello fuso dalle botte, era riuscito a farsi una discreta clientela ed  a guadagnare bene anche organizzando alcuni suoi colleghi stanchi di campare scazzottandosi tra  poveracci, in una cooperativa di “gorilla”.
Logrugno fece accomodare il suo cliente su di una delle comode poltrone dell’ufficio e gli chiese il motivo della visita.
“Desidero affittare una guardia del corpo per un mio conoscente,  non bado a spese purchè si tratti di uno in gamba”. Allora Logrugno porge al suo cliente un imponente dossier fotografico pieno di giovanotti  muscolosi, abbronzati,  con espressione decisa, tutti sui sul metro e novanta. Portalaborsa dà un’occhiata distratta e, insoddisfatto,  restituisce il dossier affermando:” Troppo alti, troppo alti, voglio qualcosa di più basso”. “Nessun problema” dice l’altro porgendo un raccoglitore pieno di ragazzoni in salute tutti attorno al metro e sessanta. “Troppo alti, troppo alti” ripete Portalaborsa con un gesto di insofferenza.”Non si preoccupi” risponde Logrugno, che in cuor suo si chiede  perché quello disdegnasse la statura – requisito solitamente assai richiesto dalla clientela per una guardia del corpo  -  e gli mette sotto il naso un dossier colmo di gente robusta e ben messa in  salute, tutti sui 125/130 centimetri. Ma neppure quelli vanno bene. “Più bassi, più bassi” grida Portalaborsa. Allora Logrugno paziente, ma anche un po’ scocciato ”Scusi” gli dice,” ma si può sapere che tipo è sto personaggio che le sta tanto a cuore?” “Le dirò” risponde l’altro, “si tratta di un politico assai importante, che dicono intelligente, buon parlatore, gran polemista, sempre furioso, che è stato anche ministro, ma  piccolo, maledettamente piccolo per cui è indispensabile che la sua guardia del corpo non sia alta, ma, invece,   al suo stesso livello, per non farlo sfigurare troppo. Si ricorda il re Vittorio Emanuele III di Savoia, un tappo, accanto alla Regina Elena che era alta quasi il doppio per cui, quando il re le dava il braccio la coppia era chiamata “L’articolo il”? Ecco, la situazione è analoga, solo che qui si vuole evitare l’inestetismo costituito da una guardia del corpo alta il doppio di quello che egli deve difendere  dagli assalti dei malintenzionati”.
“Ho capito”, dice Logrugno, illuminandosi, “per lei vanno bene questi!” e gli mette sotto il naso una raccolta di  pesi mosca tutti sul metro scarso. L’altro fa passare le foto una per una ed alla fine:”Eccolo, è lui” esulta. La scelta è caduta su di un piccoletto forzuto e grintoso, con un naso che si nota a fatica tanto è acciaccato,  e con il cranio lucido come una palla da biliardo, che al giorno d’oggi pare sia divenuto simbolo di viriltà e di forza.
In breve il contratto è firmato ed i due si salutano entrambi soddisfatti, l’uno per aver incassato un bell’assegno, l’altro per essere riuscito a risolvere un problema che da tempo  angustiava il suo piccolissimo, iracondo,  ma munifico, datore di lavoro.

                                                                                                  Giovanni Zannini     

I "DEPISTAGGI" NELLA II GUERRA MONDIALE

Fra le molte specializzazioni create dalle esigenze della II guerra mondiale, il “depistaggio” costituì un’arma insidiosa  e poco conosciuta ma che contribuì spesso in maniera determinante al successo delle  battaglie dell’una o dell’altra parte.
Suo scopo era quello di ingannare il nemico inducendolo, con informazioni fuorvianti, a comportamenti  che alla fine avrebbero giovato a chi aveva ideato il “depistaggio”.
Molto personale intelligente, preparato, colto e munito di una buona dose di fantasia operò nei quartier generali al servizio di generali ed ammiragli che chiedevano ad essi di trarre in inganno il nemico per facilitare i loro piani di battaglia.
Citiamo, ad esempio, due  “depistaggi” che contribuirono decisamente al successo delle armi alleate in Normandia ed in Sicilia.
Il primo, denominato “Operazione Forbice”, ebbe lo scopo di far credere nel 1944 ai tedeschi, ormai convinti della sua ineluttabilità, che lo sbarco sarebbe avvenuto in una località diversa da quella in cui effettivamente ebbe luogo.
A tale scopo, per convincerli che essi sarebbero sbarcati  in Francia attorno a Calais, gli alleati concentrarono sulla opposta riva inglese gran numero  di carri armati e di altri mezzi corazzati,  autocarri e velivoli, che la ricognizione aerea tedesca avvistò e segnalò ai propri comandi i quali si affrettarono a rinforzare le difese attorno a Calais sottraendo così energie in altri punti della costa francese .
Si era però trattato di un tranello in cui i pur abili osservatori tedeschi erano caduti, perché in realtà il  concentramento di materiale bellico da loro avvistato sul suolo inglese era costituito da sagome gonfiabili di gomma perfettamente riprodotte.
Gli alleati, come si sa, sbarcarono poi vittoriosamente in Normandia (Operazione Overlord – signore supremo -) il 7 giugno 1944  a costo di enormi sacrifici che  sarebbero certamente stati assai maggiori ove le difese tedesche avessero potuto avvalersi anche dell’aiuto di quanti,  beffardamente, erano stati invece spediti a Calais. 
Un altro  depistaggio (“Operazione Mincement”)  fu studiato dagli alleati per provocare un alleggerimento delle difese tedesche in Sicilia in vista dello sbarco sull’isola (denominato questa volta “Operazione Husky”) che avvenne nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943.
In vista di ciò, già nell’aprile 1943 essi trovarono il modo di far ripescare dai tedeschi nelle acque spagnole il cadavere di un giovane ufficiale inglese, il trentenne maggiore William Martin  precipitato in mare con il suo velivolo mentre si dirigeva verso il Comando Generale Alleato nell’Africa del Nord.
Addosso a lui i tedeschi trovarono  documenti ritenuti attendibili comprovanti che uno  sbarco alleato sarebbe avvenuto in Sardegna  con uno sussidiario in Grecia o in altro punto del Mediterraneo occidentale, ma non in Sicilia.
Conseguentemente,  i tedeschi trasferirono una divisione corazzata dalla Francia alla Grecia sulle cui coste   installarono diverse batterie costiere e nelle cui acque collocarono campi di mine.
Oltre a ciò, dalla Sicilia fu trasferito in Grecia un gruppo di dragamine ed un’unità corazzata fu inviata in Corsica per fronteggiare il preannunciato sbarco in Sardegna.        
Inutile dire che il cadavere ripescato dai tedeschi non era quello del fantomatico magg. William Martin (ma gli inglesi, dove l’avevano preso? Innegabilmente, una trovata piuttosto macabra, anche se la guerra ci ha abituati a questo ed altro…) ma grazie a lui gli alleati sbarcati in Sicilia trovarono una resistenza che, senza il contributo  di questo benemerito, sconosciuto  defunto, sarebbe certamente stata più accanita.

                                                                                                                                      Giovanni Zannini 

martedì 29 luglio 2014

MATTEO RENZI E MARTIN LUTERO

Con l’accostare il nome del nostro attuale Presidente del Consiglio a Martin Lutero si desidera solo evidenziare l’analogia comportamentale fra  il grande riformatore religioso tedesco del  1500, e quello politico italiano  dei  giorni nostri.
La riforma protestante, infatti, non nacque all’improvviso  nella mente di Lutero, ma fu il frutto  della maturazione di idee che da tempo erano germinate nell’ambito della chiesa cattolica, e dal desiderio di dar loro attuazione.
Come, ad esempio, l’accordo (passato alla storia con il nome di “compattata di Trento”), raggiunto nel 1363 fra il Principe  Vescovo di Trento ed il Duca del Tirolo con il quale si sancì il principio della divisione dei  poteri  ponendo  fine all’autorità del Principe-Vescovo in campo civile, realizzando in tal modo  un principio che avrebbe dovuto  essere (e non fu) epocale ed innovatore per  tutta la Chiesa.  
O il  Concilio Ecumenico di Basilea che nel 1436  ratificò l’accordo (la “compattata di Praga”) sulle formulazioni  contenute nei cosiddetti  “quattro articoli di Praga” del 1420 (fra l’altro, la povertà del clero e la rinuncia ai beni materiali), decisione ahimè revocata nel 1466 da Papa Paolo II  che soffocò  sul nascere le speranze dei  cattolici illuminati desiderosi di  por fine ad ingiustizie e scandali.
E  come non ricordare il sacrificio di Gerolamo Savonarola che dopo aver tuonato   contro la corruzione,   l’immoralità, l’ambizione  ed il lusso  del clero, pagò nel 1498 con la vita, ad opera di coloro che vedevano dalla sua azione messi a rischio i propri interessi e gli indebiti benefici acquisiti, la sua ansia di ripulire e rinnovare la Chiesa?
 Ecco allora Lutero, stanco di tentativi falliti, di promesse non mantenute, di  sacrifici sofferti  da chi voleva porre rimedio alla drammatica situazione in cui la Chiesa versava, rompere gli indugi ed affiggere sulle porte dalla chiesa del Castello di Wittemberg le sue famose famose 95 Tesi che costituirono l’inizio della Riforma Protestante.
E’ allora azzardato  paragonare il comportamento politico  dell’odierno   Presidente del Consiglio italiano con quello del riformatore religioso tedesco di sei secoli fa?
Pari  la critica per il tempo perduto,  per le promesse non mantenute, per il  disinteresse di chi avrebbe avuto il dovere di intervenire e non lo fece,  per i  rinvii, per le giustificazioni addotte allo scopo di mantenere uno statu quo non più sostenibile, pari  la decisione di dire: basta! .
Pari la volontà di realizzare quelle idee già da tempo avanzate da menti   sagge, esperte  ed oneste, rimaste allo stato di proposte perché contrastate  dagli egoismi,  dai bassi interessi,  da  ideologie  contorte; pari il desiderio  di addivenire finalmente ad una svolta, di mettere  in gioco il proprio futuro, pari il coraggio delle decisioni  non più rinviabili, pari il sacrificio di una vita donata al bene comune sottratta alla  tranquillità di una vita privata pacifica e serena priva di responsabilità, di ansie e di preoccupazioni.
Ecco perché  l’uomo  che tanti secoli fa non esitò a richiedere la riforma della Chiesa,  può a buon diritto essere oggi  paragonato a quel  Matteo  Renzi  che si batte oggi, coraggiosamente, e con determinazione,  per  la riforma dello stato Italiano.

                                                                   Giovanni Zannini                      

sabato 26 luglio 2014

QUANDO GLI INGLESI SPARAVANO SULLA "CROCE ROSSA" TEDESCA

Da “La seconda guerra mondiale”, la monumentale storia del secondo conflitto mondiale che meritò a Churchill nel 1953 il premio Nobel per la letteratura emergono fatti, episodi ed informazioni  del tutto ignorati dalla pubblicistica corrente e noti solo a pochi  specialisti.
Fra gli altri, una situazione creatasi  in occasione della cosiddetta “Battaglia d’Inghilterra” che vide contrapposti l’aviazione tedesca impegnata in una vasta azione di bombardamenti  destinata ad aprire la strada alla successiva invasione  delle forze di terra sul suolo britannico (l’operazione, poi abbandonata, denominata “Sea Lion”), e quella  inglese che ad essa disperatamente si oppose.
A seguito dei violenti scontri verificatisi nel cielo sopra la Manica nel luglio-agosto 1940, nella sue acque caddero  molti aviatori dell’una e dell’altra parte che, avendo avuto la peggio nei duelli aerei, o avendo dovuto abbandonare gli aerei colpiti dalla contraerea si erano salvati con il paracadute.
Per recuperare questi naufraghi la “Croce Rossa” internazionale aveva attrezzato degli aerei a ciò destinati portanti ben visibili sulle ali e sulle carlinghe le relative insegne: i tedeschi, però, nel luglio-agosto 1940  si erano attrezzati con aerei propri (ma ciononostante portanti le insegne della “Croce Rossa”) per recuperare ogni qualvolta ci fosse stata una battaglia aerea, i propri piloti precipitati in acqua.
Tale circostanza creò una situazione equivoca che Churchill nella sua opera non esita ad affrontare dichiarando legittima la decisione inglese di aprire il fuoco sugli aerei tedeschi pur contrassegnati (abusivamente) dalla “Croce Rossa”, intenti al salvataggio  dei propri piloti precipitati.
Il suo ragionamento , freddo e spietato, è reso  logico dalla drammaticità ed iniquità della guerra che mira al massimo annientamento del nemico.
I piloti tedeschi salvati dalle loro aeroambulanze, scrive, “avrebbero potuto tornare a bombardare di nuovo la nostra popolazione civile”, e dunque, in quanto ulteriore potenziale pericolo per gli inglesi,  dovevano essere  eliminati: per questo, scrive Churchill, “tutte le aeroambulanze germaniche furono allontanate o abbattute dalla nostra caccia su ordini precisi approvati dal gabinetto di guerra”.    
I piloti tedeschi abbattuti  li salvavamo noi stessi, aggiunge, “ogni qualvolta fosse possibile, e ne facevamo dei prigionieri di guerra” che, in quanto tali, contrariamente a quelli salvati dai tedeschi, non avrebbero più potuto nuocere ulteriormente all’Inghilterra.
I tedeschi, da parte loro, protestarono vivacemente per la decisione inglese, accusata di essere contraria alla “Convenzione di Ginevra”, ma essi replicarono che “essa non aveva previsto questo genere di guerra e che in essa non vi era accenno ad una simile contingenza” (ossia al caso di aeroambulanze “di parte” recanti, abusivamente, le insegne della “Croce Rossa”).    
Oltre a ciò, aggiunge Churchill,  “ i tedeschi non erano nelle condizioni ideali per lamentarsi dati tutti i patti, tutte le leggi di guerra  e tutti i solenni impegni ch’essi avevano violato  ogni qualvolta fosse convenuto loro”.
Alla fine, però,  conclude Churchill,  i tedeschi “abbandonarono l’esperimento ed i salvataggi marittimi per ambo le parti furono effettuati dai nostri battelli minori su cui i tedeschi, naturalmente, sparavano ad ogni occasione”.
Dunque: gli  inglesi sparavano sulle aeroambulanze tedesche intente a salvare i piloti tedeschi per impedire che essi potessero tornare  a bombardare l’Inghilterra; i tedeschi sparavano sui battelli inglesi intenti a salvare i piloti inglesi perché avrebbero potuto continuare ad impedire ai tedeschi di bombardare l’Inghilterra, e così la ferrea logica della guerra aveva vinto.
                                                                                                    Giovanni  Zannini