sabato 22 settembre 2012

CHE NE FACCIAMO DELL'ART.46?


Ora che tutti parlano di riforma della nostra Costituzione, chi sa che a qualcuno venga la voglia di dare un’occhiata all’art.46 che recita:”Ai fini della elevazione economico-sociale del lavoro ed in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica  riconosce il diritto dei lavoratori  a collaborare nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
L’articolo è forse il più negletto della nostra carta costituzionale, al quale solo pochissimi hanno tentato di por mano in passato.
Nato nel clima ribollente del dopoguerra allorchè  gli  ideali di giustizia sociale  premevano  in maniera non sempre razionale , la prassi legislativa , di fronte alla difficoltà di dargli una pratica attuazione, se ne è disinteressata, lo ha praticamente accantonato e non si è andati al di là di richieste quali  l’obbligo da parte degli imprenditori, di  “informare” e “consultare” i propri dipendenti su determinati argomenti.
Ma se la “partecipazione” intesa nel senso di far collaborare  i dipendenti alla gestione delle imprese (“cogestione”) è stata, almeno in Italia, praticamente abbandonata,  essa è venuta col tempo ad assumere un diverso significato:  “partecipazione” sì, ma agli utili delle aziende.
 L’argomento, caro alla dottrina sociale della Chiesa,   è divenuto d’attualità  negli ultimi tempi come risulta anche dal Libro Bianco “La vita buona nella società attiva” edito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali  ove, considerato che  i lavoratori già partecipano dei profili negativi del rischio d’impresa quando le cosa vanno male, si afferma essere giusto che  essi condividano, mediante il sistema della partecipazione agli utili,   i profili positivi del rischio quando invece, grazie a Dio,  le  cose vanno bene.
“Par condicio”, dunque, fra imprenditori e lavoratori dipendenti, sia nel bene che nel male.
 Molte voci  si sono già levate a favore di questa “partecipazione”: fra le altre,  il Ministro Maurizio Sacconi, ispiratore del Libro Bianco del quale si è sopra parlato; il Ministro Renato Brunetta che ironizza, dicendo che a favore dell’argomento  ha già parlato  vent’anni fa; il Ministro Giulio Tremonti che su questa proposta ha ottenuto, secondo “Panorama”,  il favore di  Luigi Angeletti della U.I.L.;  e  l’On.Barbara  Saltamartini  del PdL  che ha già presentato una proposta di legge per la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese.
E gli industriali? Piuttosto cauti: Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, in una recente  intervista a “Panorama”  ha preferito glissare,  dicendo che la partecipazione agli utili  “E’ un discorso un po’ difficile e sicuramente complicato…… Siamo invece molto contrari alla cogestione”, e il vice-Presidente Alberto Bombassei  si espone un po’ di più, dicendosi “interessato” all’argomento,  ma, anche lui, “solo se i lavoratori sono esclusi dal controllo”.     
A questo punto il Parlamento, che si prevede  assumerà il delicato compito di aggiornare la seconda parte della nostra Costituzione dovrà  decidere anche se eliminare o modificare,  l’art. 46.
Perché una cosa è certa: così com’ è  non si capisce cosa ci stia a fare.                       Giovanni Zannini
g.zannini@tele2.it – Via Ferri n.6 – 35126 – Padova – TLFAX 049/757890 

Racconto - IL RESTAURATORE DI CANZONI


IL RESTAURATORE DI CANZONI

Penso capiti a molte persone anziane   di svegliarsi la mattina con in testa l’aria di una canzone in voga ai tempi della loro gioventù. Non so per quale fenomeno del nostro cervello  che è una macchina meravigliosa complicatissima e strana, ma è così. E allora ti metti a canticchiare  “Vento, vento, portami via con te”,  “Torna piccina mia, torna dal tuo papà”, “Mamma”,  “Vivere” e così via.
Ma anche, e questo è il pericolo, “Giovinezza”,  “Vincere!”,  “Faccetta nera”,  “All’armi siam fascisti”,  e molte altre di questo genere  piuttosto superate.  
Capirete, “Giovinezza” l’abbiamo cantata da quando eravamo figli della lupa, “Faccetta nera” per la conquista  d’Abissinia,  e poi “Vincere” durante tutta la seconda  guerra mondiale, ogni sera,  nella trasmissione radiofonica “Canzoni del tempo di guerra” -  assieme a “La sagra di Giarabub”, “L’inno dei sommergibilisti” , l’”Orticello di guerra” ecc.  – per cui è fatale che nonostante il tempo trascorso, qualcosa in testa ti sia rimasto.
Con la differenza, però, che mentre  la gente  guarda con tenerezza il vecchiotto che canticchia “Vento, vento”,  se quello, per distrazione,  attacca “Giovinezza”, gli danno del fascista e qualcuno addirittura lo vuole menare.    
E allora, tenuto conto che le parole non  vanno più bene, ma che le arie sono buone,  non resta che cambiare, con una sapiente opera di restauro,   le prime,  e tener buone le seconde: in tal modo alcune canzoni incriminate potranno essere tranquillamente cantate anche ai giorni nostri senza il pericolo di prendersi in testa un fracco di legnate.
Pertanto, soprattutto per i giovani che non lo conoscono, indicherò il  testo originale  e poi, in maiuscolo, quello da me restaurato; mentre per quanto riguarda il motivo musicale, dal momento che non sono in grado di trascrivere le note del pentagramma, consiglio loro di rivolgersi  a qualche nonno, bisnonno o prozio che,  anche se un pò rimbambiti, data l’indigestione fattane in gioventù, di sicuro non se le sono dimenticate.
Prendiamo, ad esempio, “Giovinezza”:  con pochi  ritocchi l’ho messa in grado di essere cantata senza pericolo da chiunque, e, addirittura, di essere proposta a Sanremo per il prossimo festival.
Infatti  l’”incipit”  “Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza, della vita nell’asprezza  il tuo canto squilla e va” è stato da me trasformato in “GIOVINEZZA, GIOVINEZZA, PRIMAVERA DI BELLEZZA, NELLA VITA LA BELLEZZA DONA LA FELICITA’”. A questo punto l’ostacolo principale era costituito da quel “…e per Benito Mussolini eia, eia, alalà”  ripetuto due volte sul quale era assolutamente necessario intervenire.
Per la verità, anche ai suoi tempi   questa frase creava  problemi perché specie  i più piccini (“Figli della lupa” e “Balilla”, ma anche qualche “Avanguardista” tonto, nonostante le ripetute raccomandazioni, e anche qualche scappellotto di capisquadra e capimanipolo) inserivano una “e” di troppo   fra il nome ed il cognome del Duce cosicchè pareva che le persone fossero due, un “Benito” e un “Mussolini” con dimezzamento quindi  dell’autorità dell’unico, vero, “Benito Mussolini”.
Ed ecco la nuova versione riveduta e corretta:”…E ALLE MAMME ED AI BAMBINI LA SALUTE  PORTERA’; E ALLE MAMME ED AI BAMBINI LA FORTUNA ARRIDERA’ ”.
Qualche maggior difficoltà ho dovuto superare per il restauro di “Vincere!”, che ho ritenuto di  trasformare  da inno bellicoso in canzone leggera e pacifista.
Così “Vincere! Vincere! Vincere! E vinceremo in cielo, in terra e in mare! E’ la parola d’ordine  d’una suprema volontà ! Vincere! Vincere! Vincere!  Ad ogni costo nessun ci fermerà. I cuori esultano, son pronti ad obbedir, son pronti, lo giurano, o vincere o morir” è divenuto:” “RIDERE, RIDERE,RIDERE, NOI RIDEREMO IN CIELO IN TERRA E IN MARE, E’ LA PAROLA D’ORDINE DELLA MODERNA CIVILTA’. RIDERE, RIDERE, RIDERE,  MAI PIU’ NESSUNO AL MONDO PIANGERA’. LE NOSTRE BOCCHE CANTANO:  LA PACE E’ LIBERTA’.  E SEMPRE SIA LODATO CHI RIDERE VORRA’ ”.
L’opera di restauro di altre canzoni procede alacremente, e già molte importanti riviste letterarie hanno dedicato recensioni favorevoli a questa nuova espressione di cultura  della quale mi considero a buon diritto fondatore e caposcuola.
                                                                                                            Giovanni Zannini   

sabato 1 settembre 2012

LA RISCOSSA DELL'ART.46 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA


Dimenticato dai più, sbeffeggiato come irrealizzabile utopia, da altri, criticato da una sinistra che ne vedeva il veicolo per indebolire il sacro fuoco  dei dipendenti contro i “padroni”, osteggiato dal capitale che non tollera occhi indiscreti sulle proprie manovre non sempre cristalline, difeso con ostinazione dai pochissimi che fin dall’ origine ne hanno intravvisto il  mezzo corretto per regolare i rapporti fra capitale e lavoro, l’art.46 della Costituzione Italiana (“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione  delle aziende ”) sta finalmente, dopo un lungo letargo, prendendo corpo.
Giustamente indaffarati dagli articoli  dedicati al regolamento del mercato del Lavoro -  che costituisce,  nel delicato momento politico attuale, un problema impellente -, politici,  sindacati dei datori di lavoro e dei lavoratori,  giuristi,  stampa, la cultura in generale, non hanno colto (quanto meno, dal nostro piccolo osservatorio non ce ne siamo accorti, il che non esclude che altri l’abbiano invece fatto) l’importanza di quanto emerge dalla lettura del comma 62 dell’art.4 della legge n.92 (meglio conosciuta come "Legge Fornero")  relativa a “Disposizioni in materia del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati nella seduta dello scorso 28 giugno e pubblicata sulla G.U. n.153 del 3-7-2012.       
Esso rappresenta una pacifica rivoluzione e sancisce la nascita,  in Italia,  della “Democrazia Economica” - così come  recitava la proposta di legge presentata al Senato -   e per convincersene basta  leggere alcuni punti del precitato comma.
Si tratta, infatti, della prima proposta concreta per realizzare quella collaborazione tra capitale e lavoro sostenuta dalla dottrina sociale della Chiesa fin  dal 1891 con l’enciclica “Rerum Novarum” di Papa Leone XIII, e poi da Papa Giovanni Paolo II con la “Laborem Exercens” del 1981, la Sollicitudo Rei Socialis” del 1987 e, infine, la “Centesimus Annus” del  1998.
Vi si legge infatti che  “ Al fine di conferire organicità e sistematicità  alle norme in materia  di informazione e consultazione dei lavoratori, nonché di partecipazione dei dipendenti agli utili ed al capitale, il governo è delegato ad adottare entro 9 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge su proposta del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, uno o più decreti legislativi finalizzati a favorire le forme di coinvolgimento  dei lavoratori nell’impresa ”.
Tali decreti dovranno individuare “gli obblighi di informazione, consultazione o negoziazione  a carico dell’impresa nei confronti  delle organizzazioni sindacali, dei lavoratori e di appositi organi  individuati dal contratto medesimo”; istituire  “organismi congiunti, paritetici o comunque misti dotati di competenze di controllo e partecipazione nella gestione  di materie quali la sicurezza dei luoghi di lavoro e la salute dei lavoratori, l’organizzazione del lavoro, la formazione professionale, la promozione e l’attuazione di una situazione effettiva di pari opportunità, le forme di remunerazione collegate al risultato , i servizi sociali destinati ai lavoratori ed alle loro famiglie…”.
Al punto e) del predetto paragrafo 62 è prevista la “partecipazione  dei lavoratori dipendenti  agli utili o al capitale dell’impresa   e la partecipazione  dei lavoratori all’attuazione ed al risultato  di piani industriali”. Infine, il punto g) prevede “l’accesso privilegiato  dei lavoratori dipendenti  al possesso delle azioni…direttamente o mediante associazioni di lavoratori i quali abbiano fra i loro scopi un utilizzo non speculativo delle  partecipazioni e l’esercizio della rappresentanza collettiva nel governo dell’impresa”.
Ma fuori da facili trionfalismi da una parte  o da reazioni conservatrici dall’altra,  le disposizioni previste dalla legge 92 potranno costituire  un elemento di progresso economico solo se le parti interessate dimostreranno quel senso di responsabilità che, con la “Cogestione”, ha consentito alla Germania di conseguire invidiabili risultati economici.
A cominciare dai lavoratori dipendenti i quali, a fronte del beneficio economico derivante dalla partecipazione agli utili delle imprese,  vedranno aumentare  le proprie  responsabilità nel partecipare alla loro gestione condividendone i rischi e le difficoltà; e poi dagli imprenditori che dalla collaborazione dei propri dipendenti potranno trarre utili suggerimenti ed anche condividere con loro le conseguenze di eventuali congiunture aziendali negative che non sono sempre e solo da addebitare  al datore di lavoro il quale non ha idee chiare o commette errori - come si sbandiera in molte manifestazioni sindacali  -  ma spesso da situazioni obbiettivamente difficili che i lavoratori  dovranno contribuire a superare.
Riconosciamo che l’attuale difficile situazione economica impone di dare la precedenza a provvedimenti di breve termine che consentano di superare l’emergenza.
Ma allorchè ciò , si spera, sarà avvenuto grazie ai sacrifici  di tutti gli italiani, l’attuazione dell’art.46 della Costituzione previsto dal comma 62  dell’art.4 della legge 92 che ne indica le modalità realizzative  ed i tempi (nove mesi  dalla data di entrata in vigore della legge) dovrà essere  se non il primo, certo uno dei principali obbiettivi per addivenire finalmente alla stabilità economica nel nostro paese.
                                                                                                                       Giovanni  Zannini

Vedasi precedente articolo su questo BLOG intitolato "Che ne facciamo dell'art.46?" scritto nel gennaio
 2010. Evidente la soddisfazione che quanto auspicato si sia finalmente realizzato.G.Z.