sabato 1 settembre 2012

LA RISCOSSA DELL'ART.46 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA


Dimenticato dai più, sbeffeggiato come irrealizzabile utopia, da altri, criticato da una sinistra che ne vedeva il veicolo per indebolire il sacro fuoco  dei dipendenti contro i “padroni”, osteggiato dal capitale che non tollera occhi indiscreti sulle proprie manovre non sempre cristalline, difeso con ostinazione dai pochissimi che fin dall’ origine ne hanno intravvisto il  mezzo corretto per regolare i rapporti fra capitale e lavoro, l’art.46 della Costituzione Italiana (“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione  delle aziende ”) sta finalmente, dopo un lungo letargo, prendendo corpo.
Giustamente indaffarati dagli articoli  dedicati al regolamento del mercato del Lavoro -  che costituisce,  nel delicato momento politico attuale, un problema impellente -, politici,  sindacati dei datori di lavoro e dei lavoratori,  giuristi,  stampa, la cultura in generale, non hanno colto (quanto meno, dal nostro piccolo osservatorio non ce ne siamo accorti, il che non esclude che altri l’abbiano invece fatto) l’importanza di quanto emerge dalla lettura del comma 62 dell’art.4 della legge n.92 (meglio conosciuta come "Legge Fornero")  relativa a “Disposizioni in materia del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati nella seduta dello scorso 28 giugno e pubblicata sulla G.U. n.153 del 3-7-2012.       
Esso rappresenta una pacifica rivoluzione e sancisce la nascita,  in Italia,  della “Democrazia Economica” - così come  recitava la proposta di legge presentata al Senato -   e per convincersene basta  leggere alcuni punti del precitato comma.
Si tratta, infatti, della prima proposta concreta per realizzare quella collaborazione tra capitale e lavoro sostenuta dalla dottrina sociale della Chiesa fin  dal 1891 con l’enciclica “Rerum Novarum” di Papa Leone XIII, e poi da Papa Giovanni Paolo II con la “Laborem Exercens” del 1981, la Sollicitudo Rei Socialis” del 1987 e, infine, la “Centesimus Annus” del  1998.
Vi si legge infatti che  “ Al fine di conferire organicità e sistematicità  alle norme in materia  di informazione e consultazione dei lavoratori, nonché di partecipazione dei dipendenti agli utili ed al capitale, il governo è delegato ad adottare entro 9 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge su proposta del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, uno o più decreti legislativi finalizzati a favorire le forme di coinvolgimento  dei lavoratori nell’impresa ”.
Tali decreti dovranno individuare “gli obblighi di informazione, consultazione o negoziazione  a carico dell’impresa nei confronti  delle organizzazioni sindacali, dei lavoratori e di appositi organi  individuati dal contratto medesimo”; istituire  “organismi congiunti, paritetici o comunque misti dotati di competenze di controllo e partecipazione nella gestione  di materie quali la sicurezza dei luoghi di lavoro e la salute dei lavoratori, l’organizzazione del lavoro, la formazione professionale, la promozione e l’attuazione di una situazione effettiva di pari opportunità, le forme di remunerazione collegate al risultato , i servizi sociali destinati ai lavoratori ed alle loro famiglie…”.
Al punto e) del predetto paragrafo 62 è prevista la “partecipazione  dei lavoratori dipendenti  agli utili o al capitale dell’impresa   e la partecipazione  dei lavoratori all’attuazione ed al risultato  di piani industriali”. Infine, il punto g) prevede “l’accesso privilegiato  dei lavoratori dipendenti  al possesso delle azioni…direttamente o mediante associazioni di lavoratori i quali abbiano fra i loro scopi un utilizzo non speculativo delle  partecipazioni e l’esercizio della rappresentanza collettiva nel governo dell’impresa”.
Ma fuori da facili trionfalismi da una parte  o da reazioni conservatrici dall’altra,  le disposizioni previste dalla legge 92 potranno costituire  un elemento di progresso economico solo se le parti interessate dimostreranno quel senso di responsabilità che, con la “Cogestione”, ha consentito alla Germania di conseguire invidiabili risultati economici.
A cominciare dai lavoratori dipendenti i quali, a fronte del beneficio economico derivante dalla partecipazione agli utili delle imprese,  vedranno aumentare  le proprie  responsabilità nel partecipare alla loro gestione condividendone i rischi e le difficoltà; e poi dagli imprenditori che dalla collaborazione dei propri dipendenti potranno trarre utili suggerimenti ed anche condividere con loro le conseguenze di eventuali congiunture aziendali negative che non sono sempre e solo da addebitare  al datore di lavoro il quale non ha idee chiare o commette errori - come si sbandiera in molte manifestazioni sindacali  -  ma spesso da situazioni obbiettivamente difficili che i lavoratori  dovranno contribuire a superare.
Riconosciamo che l’attuale difficile situazione economica impone di dare la precedenza a provvedimenti di breve termine che consentano di superare l’emergenza.
Ma allorchè ciò , si spera, sarà avvenuto grazie ai sacrifici  di tutti gli italiani, l’attuazione dell’art.46 della Costituzione previsto dal comma 62  dell’art.4 della legge 92 che ne indica le modalità realizzative  ed i tempi (nove mesi  dalla data di entrata in vigore della legge) dovrà essere  se non il primo, certo uno dei principali obbiettivi per addivenire finalmente alla stabilità economica nel nostro paese.
                                                                                                                       Giovanni  Zannini

Vedasi precedente articolo su questo BLOG intitolato "Che ne facciamo dell'art.46?" scritto nel gennaio
 2010. Evidente la soddisfazione che quanto auspicato si sia finalmente realizzato.G.Z.
  

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