giovedì 30 maggio 2013

IL PROBLEMA CARCERI

L’acceso dibattito sul sovraffollamento delle carceri ed il conseguente disumano sistema di vita imposto ai carcerati si conclude in genere con 2 proposte entrambe criticabili: indulto o amnistia oppure la costruzione di nuove carceri.
Per superare  tale dilemma è auspicabile il ricorso alla sperimentazione di  soluzioni nuove poco costose e soprattutto realizzabili in tempi brevi.
Fra queste, la creazione di “campi” di lavoro ove impiegare le inutilizzate energie di molti carcerati - costretti dall’attuale normativa ad un dannoso ozio forzato - che invocano di poter scontare le colpe commesse, giustamente punite, in maniera utile a sè stessi e per risarcire il danno apportato alla società.
Si tratta di creare baraccamenti  in luoghi ove occorrano determinati lavori di pubblico interesse (i più vari, quali ad esempio la cura del patrimonio forestale, la regolazione dei corsi d’acqua  per evitare esondazioni, la coltivazione di terre abbandonate o sottratte ad organizzazioni malavitose, la ricostruzione dei centri abitati colpiti da eventi naturali e così via) utilizzando la manodopera dei carcerati.      
Baraccamenti che non sarebbero costituiti da “baracche” in senso spregiativo, ma prefabbricati facili da costruire in tempi rapidi, con costi infinitamente inferiori a quelli per nuove carceri in muratura,  nei quali sarebbe  possibile  vivere in maniera civile: basti pensare a quelli costruiti in tempi da record dalla Protezione Civile in casi di calamità naturali, terremoti, inondazioni e simili.
Essi dovrebbero ovviamente avere una recinzione opportunamente sorvegliata, anche se l’immediato ritorno alle carceri normali in caso di fuga o tentativo di fuga dovrebbe scoraggiare l’evasione.
Il lavoro dei reclusi dovrebbe essere compensato come per quelli liberi, ed il loro importo trattenuto fino al termine della pena; il loro trattamento umano, in un sistema di vita ordinato e ben organizzato da affidarsi  agli stessi agenti di custodia collaborati da istruttori ed educatori, senza dimenticare i cappellani.
Penso  a quei C.A.R. (centro addestramento reclute) ben organizzati, nei quali si mangiava e si dormiva e dai quali si usciva per l’addestramento militare, marce e tiri, mentre dagli auspicati “campi” si dovrebbe uscire per andare a lavorare nell’interesse proprio e della collettività.
Naturalmente il regime carcerario, chiamiamolo così, “extra moenia”, dovrebbe costituire una specie di premio per i detenuti per reati minori, già giudicati o in attesa di giudizio, con esclusione degli accusati o giudicati per delitti contro la persona o mafiosi, il cui controllo sarebbe difficoltoso in una struttura più “leggera” di quella carceraria comune.
Si otterrebbe così il duplice risultato di sottrarre i detenuti per reati minori (già condannati o in attesa di       giudizio) ad una carcerazione degradante, e di consentire a quelli colpevoli di  reati più gravi, grazie allo  sfollamento degli altri, una carcerazione giustamente punitiva ma non inumana, in grado veramente di provvedere alla loro rieducazione e riabilitazione, la meta cui deve giustamente mirare il sistema carcerario.
Utopia? Buonismo? Illusioni?
Può anche essere, ma si potrà dirlo solo dopo l’eventuale fallimento di una sperimentazione che  è possibile e poco costosa, se si avrà la voglia, la buona volontà   ed il coraggio di farlo.
Meglio, molto meglio che insistere su progetti costosissimi  e realizzabili in tempi lunghi (nuove carceri) oppure ricorrere ad amnistie ed indulti  che, come insegna l’esperienza, non risolve il problema  e corrisponde ad una dichiarazione di totale fallimento.
Padova 28.5.2013                                                                                                   Giovanni Zannini