Ritengo
improprio il termine “fuga” attribuito da molti (troppi) alla decisione
di quei sovrani europei che, durante la
II guerra mondiale, lasciarono il loro paese invaso dai tedeschi per
trasferirsi in Inghilterra.
Non si trattò, infatti, di un allontanamento
determinato dalla personale preoccupazione di sottrarsi alla cattura ed alla
conseguente prigionia in mano tedesca, che potrebbe giustificare il termine
“fuga”, sibbene del desiderio, vero obbligo costituzionale, di salvaguardare la sopravvivenza della
personalità giuridica degli stati dei quali erano legittimi rappresentanti sottratti dalla violenza nazista alla loro
sovranità in attesa di rientrarvi dopo l’auspicabile
cessazione dell’impedimento provocato
dall’invasore.
E furono essi a nominare quei “governi in esilio”
che cercarono di tutelare per quanto possibile gli interessi delle rispettive popolazioni
temporaneamente sotto il potere
illegittimo della Germania occupante.
Per questo, anziché parlare di re “fuggiti” a
Londra, ritengo si debba più
propriamente parlare di re “rifugiati” in Inghilterra che generosamente diede
loro ospitalità in attesa di tempi
migliori.
Esaminiamo singolarmente il comportamento di questi
sovrani.
In GRECIA il re Giorgio II dopo la capitolazione
dell’esercito greco avvenuta il 21-4-1941 si rifugia a Londra ove forma il
governo greco in esilio.
In JUGOSLAVIA il re Pietro II dopo la capitolazione
dell’esercito jugoslavo avvenuta il 17-4-1941, in concomitanza con quella
greca, conseguente alla comune massiccia offensiva tedesca nel sud-Europa, si
rifugia a Londra ove costituisce il governo della Jugoslavia in esilio.
In NORVEGIA il re Haakon VII combatte assieme ad un corpo di spedizione
anglo-francese contro l’invasore tedesco, ma dopo la battaglia perduta di
Lillehammer, il 7-6-1940 si imbarca a Narvik assieme agli alleati diretto a
Londra ove forma il governo in esilio.
L’OLANDA è un caso particolare. La regina Guglielmina, infatti, sfuggita alla cattura dei tedeschi invasori,
il 13 maggio 1940 fu tratta in salvo da
un cacciatorpediniere inglese che la trasportò a Londra ove non costituì un
governo in esilio, ma donde continuò con discorsi e messaggi giornalieri trasmessi
da radio “Oranje” da Londra e dal Canada, ove si era trasferita, ad animare
la resistenza del suo popolo
contro i tedeschi.
E l’ITALIA?
La pretesa “fuga” da Roma per sfuggire alla cattura
tedesca consentì al re Vittorio Emanuele
III di mantenere la legittima rappresentanza dello Stato italiano nei confronti
degli alleati vincitori riducendo, per quanto possibile, con la cobelligeranza,
i danni di una guerra perduta.
Oltretutto, la presunta “fuga” non fu tale anche
perché non avvenne, come nei casi che precedono, verso l’estero: nella realtà si trattò del “trasferimento” della
sede del potere reale dalla capitale Roma a Brindisi, città italiana ancora
libera perché solo successivamente raggiunta dagli alleati.
Ciò detto per la necessaria obbiettività, va invece criticato il modo con il quale il sovrano, il suo governo e le autorità militari
al seguito attuarono malamente, in maniera confusa e
disorganizzata, il suddetto “trasferimento”.
Gravissima fu
infatti la responsabilità del re e del
suo governo per non aver opportunamente
programmato, in tempo utile, lo
sganciamento dell’Italia dalla Germania
e di non aver predisposto i relativi piani operativi, allontanandosi invece da
Roma senza aver diramato le opportune disposizioni, e lasciando i militari italiani, in Italia ed
all’estero, allo sbando, in condizioni altamente drammatiche, privi di
ordini e nella confusione assoluta.
Ma la bontà della scelta di quei sovrani che per
mantenere viva la personalità dello stato da essi rappresentato si
“rifugiarono” a Londra, rispetto a quelli che, pur spinti dal nobile desiderio
di condividere con il proprio popolo la
sofferenza dell’occupazione tedesca, restarono in patria, emerge dalle conseguenze negative del comportamento
da essi tenuto.
In BELGIO il re Leopoldo III, dopo aver, con
iniziativa personale non prevista dalla costituzione firmato il 28 maggio 1940 la
resa con i tedeschi decise di rimanere in Belgio e di non seguire il suo
governo in esilio per, come egli disse, “seguire il destino delle mie truppe”.
Ma il suo tentativo di convivere con l’occupante
fallì ed egli fu relegato, prigioniero,
nel castello di Laeken ove, fra l’altro, intrecciò un rapporto amoroso con la signora Mary Lilian Baels (poi principessa
Liliane de Réthy) conclusosi con un matrimonio che suscitò grandi polemiche e
che nocque grandemente alla sua popolarità.
In DANIMARCA il re Cristiano X di fronte
all’irrompere, il 9 aprile 1940, del tedesco nel proprio stato,
nell’impossibilità di opporvisi perché praticamente privo di forze armate, firmò
il 9 aprile la capitolazione che prevedeva l’impegno danese di non compiere atti ostili verso
l’occupante, e da parte di quest’ultimo
di non violare i diritti costituzionali della Danimarca. In realtà il
comportamento del sovrano che rifiutò di andare all’estero (come fecero i suoi
“colleghi” norvegesi ed olandesi) ove dunque non vi fu un governo danese in
esilio, fu piuttosto equivoco e, pur manifestando la propria apparente indipendenza
dall’occupante con quotidiane passeggiate a cavallo per le vie di Copenaghen, i
suoi discorsi politici si discostarono di poco dalla volontà del governo di
cooperare con le forze d’occupazione.
Ecco dunque perché, in conclusione, si ritiene
errato affermare che siano “fuggiti” quei sovrani che durante la II guerra
mondiale si trasferirono all’estero per testimoniare la sopravvivenza giuridica
dello stato da essi rappresentato dopo
l’occupazione nazista, tenendo così accesa la fiamma della libertà del proprio
popolo.
E’ invece esatto dire che essi furono dei “rifugiati” all’estero,
anticipatori delle migliaia di “rifugiati” che, come le teste coronate di un
tempo, difendono oggi la loro libertà conculcata
nei paesi che generosamente li ospitano.
Giovanni
Zannini
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