domenica 24 agosto 2014

GIORNALISTI CONDOTTIERI NEL RISORGIMENTO

Al giorno d’oggi i giornalisti possono seguire come inviati le operazioni militari dalle retrovie delle truppe combattenti,  con molte limitazioni, quindi,  rispetto a quei corrispondenti di guerra  che nel passato riuscivano spesso ad andare in prima linea con tutti i rischi relativi.
Nel nostro Risorgimento, soprattutto nell’ambiente garibaldino, particolarmente vivace, vi furono almeno due casi nei quali giornalisti dotati di grande coraggio e di spirito d’avventura seppero impugnare, oltre alla penna, anche la spada con risultati assai brillanti anche dal punto di vista militare.
Uno di questi fu Nandor Eber  (1825-1885) di origine ungherese naturalizzato inglese, patriota che si era battuto per la libertà dell’Ungheria dall’Austria e che, falliti i tentativi insurrezionali, si era rifugiato con altri compatrioti in Italia combattendo per la sua libertà e dando vita, assieme al col. Istvan Turr, alla valorosa “Legione ungherese” che si battè agli ordini di Garibaldi in molte sue imprese.
Nel 1860 lo troviamo accreditato come corrispondente inglese del “Times” a Palermo e grazie ad informazioni acquisite in tale veste, è in grado di fornire a Garibaldi giunto in vista di Palermo l’esatta dislocazione delle truppe borboniche poste a difesa della città. Ciò facilita la sua conquista ed in premio della preziosa collaborazione Garibaldi lo nomina sui due piedi colonnello brigadiere e gli affida, in sostituzione del col. Turr ammalato, il comando della 15° divisione - della quale fa parte la “Legione ungherese” – che attraversato il centro dell’isola  passando per Caltanisetta e Castrogiovanni, raggiungerà  il 25 luglio 1860 Catania già abbandonata, dopo averla saccheggiata, dai Borboni.
La “Legione” parteciperà poi in maniera così determinante alla battaglia campale del Volturno da far dire a Garibaldi:” La “Legione Ungherese” che ho l’onore di comandare ha dato prova di dedizione e di eroismo sulla scia della gloria del suo popolo”.
Altro protagonista di tale singolare filone giornalistico-militare risorgimentale fu Antonio Gallenga (1810-1895) nato a Parma,   figlio di un ufficiale piemontese dell’esercito napoleonico.
Personaggio esuberante condusse in giro per il mondo una vita colta e peripatetica, movimentata e piena d’avventure.
Negli Stati Uniti  insegnò italiano a New York ed a Boston, in Inghilterra ebbe la cattedra d’italiano al Quenn’s College di Londra e della Nuova Scozia, insegnò a Eton, tenne corsi su Dante a Manchester, in Italia insegnò a Firenze, tenne conferenze e scrisse un libro.
Come giornalista lavorò per il “Times” che alla fine lo utilizzò come inviato all’estero.
Intraprendente in campo sentimentale seppe mettere a profitto il cuore con gli interessi e un paio di buoni matrimoni gli assicurarono ottime rendite inducendolo a prendere la cittadinanza britannica vivendo fra gli agi.
Politicamente inquieto, in gioventù antimonarchico, aveva progettato di assassinare il re Carlo Alberto al grido di “Lunga vita all’Italia, e muori!”: ma il regicidio era fallito…perché l’attentatore non era riuscito a procurarsi l’arma  per metterlo in atto.      
 Però il comportamento di Vittorio Emanuele II a favore dell’Unità d’Italia gli fece cambiare opinione, ne divenne entusiasta sostenitore tanto da partecipare alla spedizione garibaldina in Sicilia.
Era giunto a Messina a bordo del piroscafo “Washington” mandato dal “Times” per sostituire Eber che, forse troppo impegnato dal comando della sua 15° Divisione, aveva un po’ trascurato la penna.
E siccome anche Antonio Gallenga di guerra, di armi e di soldati se ne intendeva per aver menato le mani nel 1848 a Milano ed a Mantova, e per aver raccontato (sempre per jl “Times”) la campagna d’Italia del 1859, Garibaldi nominò anche lui colonnello e gli affidò, assieme ad un altro colonnello inglese, John Whitehead Peard , il comando di una colonna di volontari inglesi (la “Legione inglese”) con l’incarico di precederlo, dopo il passaggio dello stretto di Messina, nella marcia di risalita della penisola.
Occorre premettere che, stando a quanto riferisce lo stesso Gallenga, “per Garibaldi era la norma impartire ordini di marcia e poi partire lui stesso in testa con quelli del suo seguito , dando per scontato che il suo esercito sarebbe arrivato subito dopo, ma ponendosi di rado il problema di accertare se lo facesse o no”. Pare strano, ma così scrive l’autorevole firma del “Times”. L’avanzata di Garibaldi da Reggio a Napoli avvenne dunque con la seguente modalità: avanti a tutti la ”Legione inglese”  che precedeva anche di 150 chilometri il Generale accompagnato da un modesto seguito, staccato, a sua volta, dal grosso dei suoi uomini  che lo seguiva a distanza.
Il col. Peard, un pezzo d’uomo grande e grosso, con una gran barba, spesso con il “poncho” e con in capo un cappello piumato (indossato anche dai suoi uomini che taluni chiamarono perciò i “bersaglieri inglesi”), assomigliava molto a Garibaldi ed è  ricordato come “l’inglese di Garibaldi”.
Accadeva così che, scambiandolo per Garibaldi, i borbonici, terrorizzati dalla sua fama, se la davano a gambe: ed in tal modo il col.Peard ottenne ad Auletta la resa di ben 10.000 di loro comandati dal gen.Calderelli.     
Ed a Gallenga va il merito di aver convinto, grazie alle sue conoscenze in campo avversario, il governo napoletano a lasciare Salerno senza combattere  e ad arroccarsi a Capua al riparo del Garigliano  e del Volturno.
Se dunque Garibaldi potè giungere a Napoli con sorprendente rapidità, lo si deve anche alla “Legione inglese” che, condotta dal gigantesco col.Peard e dal suo collega Gallenga contribuì poi anche alla vittoria garibaldina nella battaglia del Volturno che segnò la fine del Regno delle due Sicilie.
Resta da dire sulle virtù giornalistiche dei due. Pare che Nandor Eber come corrispondente di guerra alla quale partecipava in prima persona non fosse ovviamente molto imparziale anche perché si sospetta che se si fosse dimostrato  neutrale molti lettori  del “Times”, grandi ammiratori di Garibaldi, se ne sarebbero dispiaciuti: quindi…
Per quanto riguarda Antonio Gallenga la sua specializzazione, prima di divenire inviato all’estero, doveva essere stata quella di commentatore politico  a giudicare dai violenti editoriali sul “Times” contro Mazzini al quale rimproverava l’avversione alla monarchia sabauda.
Parliamo, infine, di compensi.
Non risulta quanto fosse pagato Eber, ma per quanto riguarda Gallenga si sa che per raccontare la seconda guerra d’indipendenza italiana del 1859 il “Times” gli versò ben 80 sterline al mese che per l’epoca era una cifra enorme, per cui si ritiene che gli onorari incassati  per i suoi  servizi sull’impresa dei Mille  (oltre al soldo spettantegli per il suo servizio militare) abbiano costituito un importo assai ragguardevole.
Ci si rende quindi conto come i guadagni della sua attività giornalistica sommati alla rendita di 1000 sterline annue derivantegli dalla morte della moglie Juliet Schunck ( ricca ereditiera di famiglia ebraica) gli abbiano consentito di acquistare il castello di Llandogo  nel Galles ove si riposò fino all’età di 85 anni dalle fatiche accumulate  durante la sua lunga, movimentata vita.
                                                                                                     Giovanni Zannini   



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