L’Armistizio violato
MUSSOLINI DOVEVA ESSERE CONSEGNATO AGLI ALLEATI,
NON UCCISO
Il punto 29 dell’Armistizio (cosiddetto “lungo”
perché fa seguito all’Armistizio “corto” di Cassibile del  3.9.1943) 
firmato a Malta il 29-9-1943 fra il gen.Dwight Eisenhower per gli
Alleati ed il gen.Pietro Badoglio per iI governo italiano,  così recita: ”…Benito Mussolini, i suoi
principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso
delitti di guerra o reati analoghi i cui nomi si trovano sugli elenchi  che verranno comunicati dalle Nazioni Unite e
che ora o in avvenire  si trovino in
territorio controllato  dal Comando
Militare  Alleato o dal Governo Italiano  verranno immediatamente arrestati  e consegnati alle forze delle Nazioni Unite.
Tutti gli ordini impartiti dalle  Nazioni
Unite a questo riguardo saranno osservati”.
Il 29 aprile 1943 il cadavere di Benito Mussolini
assieme a quello dell’amante Clara Petacci e di altri  
gerarchi viene esposto a Milano in Piazzale Loreto
appeso per i piedi ad un traliccio della pensilina del distributore di benzina
ivi esistente.
Emerge, da ciò, in tutta evidenza, che l’Armistizio
“lungo” del 29.9.1943 è stato violato.
Cercheremo di capire se, come e da chi tali impegni
siano stati violati seguendo soprattutto il  gen.Raffaele Cadorna nel suo libro “La
Riscossa” edito nel 1948, a poca distanza dunque dagli avvenimenti di cui ci
stiamo occupando che l’autore  si sforza
di esporre nella maniera più obbiettiva possibile. 
Egli ha intensamente e drammaticamente vissuto il
periodo della Resistenza italiana dal 25 luglio 1943  alla Liberazione quale Comandante  generale del Corpo Volontari della Libertà
(C.V.L.) con  l’incarico, quanto mai improbo,
 di coordinare e dirigere l’azione
militare delle unità resistenziali operanti in Alta Italia. Ciò,  in conformità agli
ordini  del Comando Supremo interalleato
del Sud in correlazione con il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta
Italia) composto dai rappresentanti dei partiti Comunista, Socialista,
Liberale, Democristiano e d’Azione, nominato il 26-12-1944 dal governo
Bonomi  suo rappresentante nel territorio
italiano occupato dai nazifascisti.
Veniamo dunque alle pagine del
libro relative all’uccisione di Mussolini.
Già il 19 aprile 1945, mentre lo sfascio dei
nazifascisti appariva imminente, il CLNAI aveva emesso un ultimatum diretto
alle forze armate ed ai funzionari della RSI  
affermante  tra l’altro: “… Sia
ben chiaro  per i componenti delle forze
armate del cosiddetto governo fascista repubblicano che chi sarà colto con le
armi in mano  sarà fucilato...  Solo chi si arrende al Comitato di
Liberazione Nazionale e consegna le armi ai patrioti  avrà salva la vita  se non si sarà macchiato  personalmente di più gravi delitti…” e
concludeva: ”…Che nessuno possa dire che, sull’orlo della tomba…non gli è stata
offerta un’estrema ed ultima via di salvezza”.    
Successivamente 
il CLNAI riunito a Milano il 25 aprile 1945 alle ore 8 proclama
l’insurrezione ed emana tre decreti. Con il secondo denominato “per
l’amministrazione della giustizia” si stabilisce che “…i membri del governo
fascista  ed i gerarchi del fascismo…sono
puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo”.
Balza qui evidente il contrasto fra le clausole
armistiziali sottoscritte dal governo italiano secondo le quali  “Benito Mussolini, i suoi principali
associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di
guerra…saranno immediatamente arrestati 
e consegnati alle Forze della Nazioni Unite”, ed il tenore del succitato
decreto del CLNAI che  condanna a morte
“i membri del governo fascista ed i 
gerarchi del fascismo” i quali,  al contrario, in base alle clausole
armistiziali sottoscritte dal governo italiano del quale esso era il
rappresentante in Alta Italia, dovevano essere arrestati e consegnati  alle Forze delle Nazioni Unite. 
Il gen.Cadorna  si rende conto della  situazione paradossale verificatasi ed è
evidente  l’imbarazzo  in cui viene a trovarsi in quanto, scrive nel
suo libro,  “…il rapporto di dipendenza  dal CLN non possa prescindere dal fatto che la
sua qualità di generale  italiano gli
impedirebbe di tenere il posto qualora si verificasse sconcordanza di
direttive  fra il governo italiano
delegante  e gli Alleati che ne
controllano l’opera  a termini delle
condizioni d’armistizio da una parte,  ed
il CLN delegato dal governo stesso 
dall’altra parte”.
La sera del 27 aprile 1945 si presentano a lui
Lampredi e Valerio (rag.Audisio), rappresentanti del partito comunista in seno
al CNLAI affermando di aver da esso ricevuto il mandato di recarsi sul posto in
cui Mussolini era stato catturato  con il
compito di giustiziarlo. 
Cadorna  sospetta
 che tale ordine non sia impartito dal
CLNAI ma, in realtà,   da un  autoproclamatosi  “Comitato Insurrezionale” costituito dai soli  rappresentanti comunisti,  socialisti e azionisti nel CLNAI che si era ad
esso sovrapposto in pratica svuotandone l’autorità. 
E' accertato che fu proprio così, ma, a cose fatte,  il CNLAI  emanò un comunicato nel quale
– si legge nel libro – “assumeva la piena responsabilità della fatta
giustizia  e deplorava gli eccessi
commessi  da una folla esagitata
attribuendone la colpa alla diseducazione del ventennio fascista”.
 Ma come si
comportò, in tale situazione, il gen. Cadorna?
Egli si limita ad affermare che “mi regolai  come in ogni atto della mia vita di
soldato  domandandomi  unicamente 
quale sarebbe stata l’eventualità 
più dannosa per l’Italia a prescindere da ogni mia personale
preoccupazione” e che “davanti a un ordine la cui esecuzione non poteva
comunque  sfuggire alle mie competenze… quale
atto imposto da una ineluttabilità  di
forze e di eventi di cui è possibile 
farsi un’idea solo riportandosi  a
quei giorni e mettendosi al posto  di chi
si trovò in mezzo a quella  situazione di
estrema incertezza  e di esasperata eccitazione,  io agii nei limiti di una precisa  responsabilità a cui  non intesi e non intendo sottrarmi”.
Ma come, in concreto, agi? Non lo dice, quasi a
voler coprire una verità che potrebbe essere diversamente interpretata e dare
origine a contrasti e polemiche.                                      
Fra le innumeri informazioni  fiorite attorno all’episodio dell’uccisione di
Benito Mussolini vi è quella fornita su 
Internet da  “Wikipedia,
l’enciclopedia libera” con un servizio non firmato dal titolo “ Morte di
Mussolini” - riportante la chiara avvertenza che “Le informazioni qui  riportate hanno solo un fine
illustrativo.  Wikipedia può contenere
materiale discutibile” - al quale facciamo riferimento, pur con ogni riserva,  solo per tentare di chiarire quanto Cadorna
nel suo libro non ha voluto rivelare.
Ciò chiaramente premesso,  emerge 
dalla sopracitata  fonte  che Cadorna “diviso tra i doveri di
comandante del CVL  e di lealtà verso gli
Alleati” avrebbe agito su due fronti: da una parte munendo di lasciapassare gli
incaricati della missione di morte per evitare, nella drammatica situazione in
atto, chi sa quali violente reazioni, 
dall’altra contattando contemporaneamente il ten.col.Sardagna (già suo
dipendente gerarchico nella divisione di cavalleria corazzata“Ariete” da lui
comandata alla difesa di Roma) che rappresentava il CVL a Como, al fine
di predisporre misure per recuperare 
Mussolini e  trasferirlo in luogo
sicuro in attesa – si suppone -  di
consegnarlo al  CLNAI completo dei rappresentanti di tutti i partiti (e non al fantomatico autonominatosi "Comitato insurrezionale)  quale  legittimo rappresentante del governo italiano
in Alta Italia.
Ma non è chi non veda che, ove tale ipotesi fosse
suffragata,  anche il legittimista gen.Cadorna
non sarebbe più stato tale perché avrebbe agito in violazione  delle clausole armistiziali   che,
come sappiamo,  imponevano la consegna
di  Mussolini “alle forze delle Nazioni
Unite”,  e non al governo italiano. 
E che Cadorna intendesse  anch'egli violare le clausole armistiziali (sia pure in maniera diversa dalla sbrigativa procedura del col.Valerio) emerge
dal sopracitato suo libro nel quale, a pag. 260 si legge che “in nessun caso
poi avrei volontariamente  proceduto a
effettuare la consegna  di Mussolini in
mano alleata perché egli fosse  giudicato
e giustiziato dallo straniero. Ricordavo quale indignazione  avesse destato all’interno  e all’estero dopo l’8 settembre la voce che
nelle clausole segrete  dell’Armistizio
fosse prevista tale consegna da parte 
del Governo italiano”.
Il quale, sia detto per inciso, si era preoccupato,
dopo il 25 luglio 1943 di proteggere Mussolini da possibili colpi di
mano da qualsiasi parte provenienti, preoccupazione
peraltro invalidata dall’audace azione di Otto Skorzenj sul Gran Sasso.  
Oltre a ciò, il punto di vista di Cadorna era
condiviso anche da   Pier Luigi 
Bellini delle Stelle, “Pedro” (nobiluomo, conte,  di fede monarchica), comandante della 52°
Brigata Garibaldi - che aveva intercettato e arrestato Mussolini a Dongo - e
dai suoi quadri: Michele Moretti “Pietro”, Commissario politico; Urbano Lazzaro
“Bill”, suo vice, e  Luigi Canali,
“Capitano Neri”, Capo di stato maggiore, i quali non volevano farsi “scippare”
la preda da quei partigiani 
sconosciuti  giunti dalla
pianura,  da Milano, comandati da uno
scalmanato che si faceva chiamare “colonnello Valerio”,  pretendendo di dare ordini a tutti  e, con minacce, di essere obbedito. 
Scrive infatti “Pedro”, nel libro “Dongo, la fine
di Mussolini” (Milano – Mondadori – 1962)” scritto a quattro mani con “Bill”,
che “…nessuno di noi aveva mai pensato di passare per le armi  i prigionieri…Non avremmo consegnato
Mussolini agli Alleati, ma solamente al nostro Comando …Non ci pareva giusto,
né dignitoso, che delle sorti di un italiano dovessero decidere gli stranieri,
per quanto alleati fossero…”.  
Salvate Mussolini!
Fermo restando l’intendimento di “Pedro”, di
“Pietro”, di “Bill” e del “Capitano Neri” di non farsi sottrarre la preziosa
preda da altri, e di mettere al sicuro Mussolini in attesa che la confusa
situazione  si  chiarisse, vanno riferite due versioni relative
alle modalità con cui la messa in sicurezza di Mussolini sarebbe stata tentata.
Una prima, riferita da “Wikipedia” più sopra
citata, e da un’ampia nota a pag.394 del libro di Vittorio Roncacci  “La calma apparente del lago: Como e il
comasco tra guerra e guerra civile 1940/1945” 
(Macchione Editore – Varese  -
anno 2003)   afferma che “Pedro”  la sera del  27 aprile, 
aveva  ricevuto dal
ten.col.Sardagna, responsabile del CVL  di
Como,  l’ordine  di  lasciare
Germasino ove si trovava Mussolini presso la caserma della Guardia di
Finanza,  e di recarsi con lui e la
Petacci a Moltrasio  per effettuare il
traghettamento  - predisposto dal
gen.Cadorna - dei prigionieri verso la villa 
dell’industriale  Remo Cademartori
(che conferma l’esistenza del piano – n.d.r.) a Blevio sull’altra sponda  del ramo comasco del Lario. Ma giunto al porticciolo
 del piccolo paese, “Pedro” non  trovò alcuna imbarcazione per cui, nelle prime
ore del  28 aprile decise di tornare indietro
e di alloggiare i due prigionieri non più a Germasino, ove la voce della
presenza  dell’ex duce si era diffusa, ma
in un luogo più sicuro -  noto solo a lui
ed ai suoi fedelissimi  -  a Bonzanigo, una frazione di Mezzegra, nella
casa di Giovanni De Maria nella quale altre volte lui,  inseguito dai fascisti, aveva  trovato rifugio.     
Pier Bellini delle Stelle, invece, conferma il
viaggio notturno fino a Moltrasio con i due preziosi prigionieri, ma non parla
del presunto tentativo di traghettamento dell’ex duce a  Blevio. Secondo lui, infatti,  il viaggio era stato deciso per spostare i due
da Germasino, ritenuto rifugio non più sicuro, in  un’altra remota località, in una baita posta
a S.Maurizio di Brunate, sopra Como. Ma, giunti a Moltrasio, nel dubbio che a
Como (che andava raggiunta per salire poi 
a S.Maurizio), fossero ancora in atto scontri fra partigiani e fascisti,
il progetto fu abbandonato e si ripiegò su Mezzegra.
Dunque, in entrambi i casi, il viaggio fino a
Moltrasio avvenne, nel primo per effettuare il fantomatico traghettamento, nel
secondo in transito per raggiungere un più sicuro rifugio nella montagna sopra
Como.                                     
Ed in entrambe le versioni si conferma che, durante
il tragitto, punteggiato da diversi posti di blocco partigiani, per evitare l’identificazione
dell’ex duce, si decide di  bendargli il
capo per simulare un partigiano gravemente ferito da trasportare con urgenza
all’ospedale. 
Sia a questo punto consentita una nota di colore,
tra il tragico e il comico, quale emerge dalle pagine 180 e 181 di “Dongo: la
fine di Mussolini” (Milano – Mondadori  -
1962) scritto a quattro mani da Urbano Lazzaro “Bill” e Pier Bellini delle
Stelle “Pedro” il quale ultimo racconta un surreale episodio avvenuto durante
il sopraddetto drammatico viaggio. 
A braccetto con la Petacci
“La Petacci” scrive “sembrava stanchissima e
Mussolini chiede una piccola sosta  per
far riposare  la signora…La Petacci ha
gran difficoltà a camminare sui ciottoli della strada resi viscidi dalla
pioggia: mi avvicino allora a lei e le offro (cavallerescamente, il nobiluomo  Pier Bellini delle Stelle non si smentisce –
ndr.) il braccio per sostenerla.  Mussolini
dall’altra parte fa lo stesso e così procediamo,  per un certo tratto,  tutti e tre 
a braccetto. Dobbiamo formare un terzetto piuttosto strano: a destra
Mussolini, intabarrato in un pastrano militare troppo lungo per lui, con una
coperta sulle spalle e la testa fasciata che spiccava bianchissima
nell’oscurità della notte, in mezzo una signora elegante che sembrava reggersi
a malapena sulle sue scarpette dai tacchi alti, affranta e affaticata;   a sinistra io, lacero e scalcagnato, con
barba e capelli incolti, tutto sferragliante di armi…”.
Da tutto quanto sopra emerge dunque confermato il
punto di vista del gen.Cadorna quale emerge dalle sue stesse parole più sopra
citate secondo le quali egli, Comandante del CVL (Corpo Volontari della
Libertà) avrebbe voluto tenere al sicuro  il prigioniero in attesa che un regolare
Tribunale di Guerra italiano provvedesse a giudicarlo e poi,  se condannato, a giustiziarlo.
Conclusione
Se è vero che - come emerge dal libro di Vittorio
Roncacci, “con il diffondersi della
notizia (la cattura di Mussolini il 27 aprile 1945 – ndr)  giungeva al comando del CLNAI dal Quartier
Generale OSS (l’americano Office of 
Strategic Service) di Siena  un
telegramma con la richiesta di affidamento 
al controllo  delle Forze delle
Nazioni Unite di tutti i membri  del
governo della RSI secondo la clausola 
n.29 dell’Armistizio “lungo”, e che “…all’aeroporto di Bresso  intanto si inviò  un velivolo per prelevare il dittatore”.
E se è pure vero che a tale telegramma si rispose,
falsamente depistando, da parte di qualcuno, probabilmente, del “Comitato Insurrezionale”
di stampo comunista ( sovrappostosi al legittimo CLNAI, praticamente
esautorandolo), con questo  fonogramma:” Spiacenti
non potervi consegnare Mussolini che processato 
Tribunale Popolare  è stato
fucilato stesso posto  ove
precedentemente fucilati da nazifascisti 
quindici patrioti . Stop.”
Se è dunque vero, come è vero,  che tutto ciò è accaduto, se ne deduce che il
non aver obbedito alla richiesta alleata di consegnare l’ex duce procedendo, al
contrario,  alla sua esecuzione,  dà fondamento all’accusa, nei confronti  dei responsabili di tale comportamento,  di mendacio e di ribellione militare  ad ordini contenuti nella  più volte citata clausola armistiziale -
sottoscritta dal governo italiano del quale il CLNAI era emanazione  - secondo i quali  “TUTTI GLI ORDINI IMPARTITI DALLE NAZIONI
UNITE a riguardo  di B.Mussolini e dei
suoi principali associati SARANNO OSSERVATI”.
                                                                                                           Giovanni  Zannini