lunedì 4 novembre 2013

A Hitler non piaceva proprio - IL "NIDO DELL'AQUILA"

Attorno al famoso “Nido d’aquila”  di Hitler si è fatta molta confusione.
Per prima cosa esso non costituiva la sua residenza: si tratta infatti di  una grande baita  in pietra e cemento in cui Hitler non abitò mai stabilmente, sita a quota 1834 sotto la cima del monte Kehlstein, la cui principale attrattiva è costituita da un grandioso terrazzo  dal quale si gode un panorama mozzafiato. Esso costituisce infatti  un magnifico  osservatorio sulle cime delle Alpi Bavaresi  che si ergono tutto attorno, sul sottostante lago di Konigssee e sulla regione attorno a Berchtesgaden.
Per seconda, a Hitler quel luogo  non piaceva proprio perché posto ad un’altezza che gli provocava disturbo tanto è vero che ci andò raramente, forse solo una diecina di volte.
Ma allora non si comprende perché avesse costruito quella abitazione  dal momento che non aveva nessun piacere di andarci e la risposta è che il famoso “nido” non se l’era fatto lui, ma gli era stato gentilmente regalato dai   suoi fedelissimi che, evidentemente – strano, per dei tedeschi sempre scrupolosi prima d’ intraprendere alcunché - ignoravano che il loro capo amava molto la montagna (al contrario dell’acqua, dato che soffriva di mal di mare) purchè non fosse molto alta perché l’aria rarefatta gli dava fastidio.
Ma andiamo in ordine.
Hitler, da giovane, all’inizio della sua carriera politica amava recarsi, per riposare e meditare (è lì che terminò la stesura dal “Mein Kampf” iniziato, assieme al fido Rudolf Hess, nel carcere di Landsberg  ove era stato rinchiuso  dopo il mancato “putsch” del 1923) all’Obersalzberg (La montagna di sale), un breve altopiano a quota 1000 sulle pendici del monte Kehlstein,  in vista di Berchtesgaden.
Ivi, con i primi guadagni derivatigli  dalla vendita del Mein Kampf aveva acquistato una baita che, con il crescere della sua fortuna politica fu trasformata, a partire dal 1934, ad opera del  fedelissimo Martin Bormann, in una lussuosa villa da lui chiamata  il  “Berghof” ove si recava in vacanza e riceveva  ospiti illustri come Mussolini, Ciano, l’ex re d’Inghilterra con la moglie Wallis Simpson, i presidenti del consiglio inglesi Chamberlain e Lloyd George e molti altri ancora. Essa divenne in seguito  la stabile residenza della sua amante Eva Braun con la quale, quand’era lontano,   intratteneva quotidiani colloqui telefonici.    
Da allora la località divenne zona interdetta riservata ad Hitler, meta di pellegrinaggi organizzati di fanatici nazisti,  popolata solo dalle ville di gerarchi del Reich fieri di attorniare quella del capo: Hermann Goering,  Martin Bormann,  Rudolf Hess,  Albert Speer,  Joachim  von Ribbentrop, Heinrich Himmler,  Joseph Goebbels. In un’altra villa venivano ospitati i personaggi illustri in visita, ed in altri edifici il personale di servizio e di sicurezza, cosicchè nella località venne a formarsi un piccolo villaggio.
Solo successivamente il fedelissimo  Martin Bormann (che di Hitler doveva essere un autentico, si direbbe oggi, “fan”, ma del quale ignorava, evidentemente, l’acrofobia) non contento di avergli  restaurato la villa, pensò di fargli un altro importante regalo, a nome del partito nazista,  in vista  del suo 50° compleanno (20-4-1939): una strada che dai 1000  metri del Berghof  lo portava ad un  piazzale di sosta 700 metri più in alto e, con l’aiuto di un ascensore,  a quota 1834,  poco sotto la cima del monte Kehlstein: e lì, in aggiunta alla strada,  gli regalò anche la grande, massiccia  baita cui il Fhurer  diede il nome di “Nido dell’aquila”.
La strada per la cui costruzione il fido Bormann aveva costituita una società che portava il suo nome – la “Martin Bormann Obersalzberg” –  costata all’epoca 30 milioni di marchi, rappresenta un’opera di alta ingegneria. Realizzata  in poco più di un anno,  larga 4 metri,  scavata nella dura roccia del Kehlstein, sale  dal Berghof  per circa 7 chilometri  con un unico tornante e 277 metri di  gallerie fino ad un   parcheggio ove si aspre il tunnel  verso l’ascensore. Questo, tutto luccicante di ottone e specchi è ancora quello originale (mancano solo i divani in pelle) e impiega soli 41 secondi per arrivare al “nido”. 
A  guerra finita, vendicativamente, molti avrebbero voluto distruggerlo, ma prevalse il buon senso ed oggi moltissimi turisti  - che vi arrivano, perchè il traffico privato è interdetto, solo a bordo di pulmann muniti di motore e di freni particolari, costruiti dalla Daimler-Benz -  visitano la costruzione trasformata in ristorante i cui introiti sono destinati ad iniziative di pubblico interesse.
Dunque  Hitler non apprezzò molto i due costosi regali dal momento che, come già sopra detto, si recò al suo “nido”  pochissime volte e preferì abitare 800 metri sotto, nel suo Berghof,  dalla cui grande veranda si godeva  pure un panorama bellissimo anche se meno imponente di quello dall’alto del Kehlstein. 
Ma quali le vicende belliche del Berghof e del “nido” ?
ll primo fu colpito e gravemente danneggiato  il 25 aprile 1945, pochi giorni prima della resa della Germania (7-5-1945)  a seguito del bombardamento  di aerei inglesi che centrarono anche le residenze dei suoi gerarchi e tutto quanto stava attorno.    
Successivamente, per ulteriore dileggio, anche quello che non era stato completamente distrutto dal bombardamento fu, il 30 aprile 1952,  fatto saltare in aria con la dinamite.
Ma anche se si fosse trovato al Berghof - invece che nel suo fatale bunker berlinese ove stava  meditando la morte -  Hitler si sarebbe certamente salvato grazie al rifugio antiaereo che si era fatto costruire, tuttora esistente (salvo gli arredi) e visitabile.
Si tratta di una serie imponente di gallerie e di caverne scavate nel ventre  del monte Kehlstein,  e quindi a prova di bomba, illuminate da una potente centrale elettrica, dotate di magazzini per una lunga sopravvivenza e comprendenti, oltre all’ “appartamento” del capo, anche quelli di alcuni  dei suoi gerarchi, con “locali” adibiti a soggiorni, studi, camere da letto, cucine e bagni.   
E il “nido?”
Oggetto di ripetute incursioni alleate  non fu mai colpito e, verso la fine della guerra divenne motivo  di  accesa competizione fra alleati che aspiravano a farne un trofeo di guerra.
Vi arrivarono per primi gli uomini del 3° battaglione – 506mo reggimento della 2a Divisione corazzata  francese appartenente al GTV (Groupement Tactique Vézinet) che conquistato - dopo uno scontro a fuoco  con due irriducibili tedeschi, nel quale persero la vita alcuni dei suoi uomini – le rovine del  Berghof, salirono al “nido” piantandovi orgogliosamente la bandiera della Francia libera.
Lasciando grandemente delusi, e con un palmo di naso,  gli americani,  pur essi  arrivati a Berchtesgaden con la “3rd Infantry Division”, la 3a Divisione  di fanteria statunitense,   desiderosi di conquistare la preda.

Certo, nessuno, prima di allora, avrebbe potuto pensare che, per prendere un nido, ci si poteva lasciare la pelle.

                                                                                                           Giovanni Zannini

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