mercoledì 23 settembre 2015

LA STRETTA DI MANO

LA STRETTA DI MANO

Il col.Antonio Rigidi aveva trasferito nella sua famiglia usi e costumi in uso nella caserma da lui comandata che avevano sempre dato ottimi risultati. Quindi nessuna mollezza, vita spartana, dominio delle proprie azioni, il tutto mirante alla formazione di un vero uomo, perchè il coraggio ce l'ha chi è consapevole della funzionalità dei propri muscoli. E' infatti difficile, diceva il colonnello, che un uomo gracilino sappia affrontare le battaglie della vita, sia quelle cruente (oggi, per fortuna, meno frequenti) che quelle imposte dalla vita di ogni giorno.
Così il figlio Giuseppe era cresciuto a pane, studio e palestra, con ottimi risultati: un bel fisico, intelligenza sveglia, voglia di fare, mai ozio o dormite prolungate.
Giunse così il momento di, come si dice, entrare in società, attenendosi alle regole ancora una volta dettate dalla saggezza del padre. Quando ti presentano a qualcuno, gli aveva raccomandato, assumi un atteggiamento rispettoso ma non servile, e guardalo negli occhi cosicchè l'altro possa comprendere dal tuo sguardo chi sei e quanto vali. E, soprattutto, se ti porge la mano, attenzione a non fare come tanti che ricambiano con mani mollicce come molluschi, lasciandole, inanimate e sudaticcie , in balia dell'altro che, leggermente schifato, non vede l'ora di liberarsene.
La mano che tu affidi a chi te la richiede, raccomandava il colonnello al figlio, sia invece fresca e gradevole al tatto, in grado di suscitare immediatamente favorevoli impressioni: e, alla fine, la stretta sia franca e virile.
Così il ragazzo, ammesso come socio alla Società dei concerti, in occasione del suo primo ingresso si attenne alle istruzioni ricevute, ma commise il grave errore di pensare che la “stretta virile” suggerita dal padre, significasse “stretta vigorosa” .
La serata fu disastrosa.
Strappò un urlo di dolore alla vecchia contessa patronessa del concerto che, offerta la mano per il baciamano, se la vide agguantare e stritolare dal ragazzo. Analogo inconveniente accadde per il monsignore ospite d'onore il quale, offerta, lui pure, imprudentemente, la mano per il bacio dell'anello, se la trovò fratturata in modo scomposto dalla eccessiva devozione del giovane. L'illustre ecclesiastico con grande autocontrollo riuscì a reprimere un grido di dolore pur inviando in cuor suo i peggiori moccoli al colpevole.
Proseguendo nelle presentazioni, vittime dell'eccesso di energia del neo-socio, fu il primo violino che, trovandosi fratturato l'indice della mano sinistra, fu sostituito in fretta e furia dopo affannose ricerche; poi la soprano che pur essa colpita dalla foga del ragazzo, coraggiosamente, nonostante tutto, volle proseguire il programma incappando però in un paio di stecche; quindi il Questore che mise in allarme la scorta la quale, vedendolo comprimersi ripetutamente la mano destra, fiutò qualche misterioso attentato.
E la mattanza sarebbe proseguita se, provvidenzialmente, il neo socio non fosse incappato in un piccoletto campione di Karate che, trovatasi la mano imprigionata dalla stretta del Giuseppe prima resistette all'assalto poi passò al contrattacco con una devastante morsa che mandò in frantumi ogni osso della sua mano costringendo con il braccio al collo per un paio di mesi l'imprudente ragazzo il quale, a guarigione avvenuta, si convinse che nelle presentazioni e nei saluti, la pressione sulle mani altrui deve essere semplicemente “virile” e non, assolutamente, “vigorosa”.



Giovanni Zannini

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