Il libro “Tappe della disfatta” (Mursia
Testimonianze – 1° Ed.1993) di Fritz Weber - tenente d’artiglieria austriaco
che Aldo Valori, nella sua prefazione definisce “prode e leale nemico” – è
ricco di notizie, informazioni ed episodi che coprono l’intero periodo del
primo conflitto mondiale. Particolare
interesse suscita la tragica nemesi degli austro-tedeschi vittoriosi che, dopo lo sfondamento di Caporetto del
1917 incalzano gli italiani in rovinosa ritirata, e che poi, fallito nel 1918
il loro tentativo di superare la linea italiana sul Piave, sono a loro volta
costretti a ritirarsi sconfitti, tallonati dagli italiani che, vogliosi di
vendicare l’onta di Caporetto, non danno loro tregua.
L’artigliere Weber si
sofferma particolarmente sull’importanza che sulla disfatta italiana ebbe
l’artiglieria austriaca tragicamente “arricchita” da un fattore fino ad
allora sconosciuto: l’acido cianidrico,
un gas denominato dagli attaccanti “Croce azzurra” che, contenuto nelle
migliaia di proiettili sparati da centinaia di bocche da fuoco all’alba del 24
ottobre 1917 annientò gli italiani che difendevano la frontiera con la Slovenia
nel tratto fra Plezzo e Tolmino.
Anticipando quella tecnica militare, il
“blitzkrieg”, poi adottata con successo dai tedeschi nella 2° guerra mondiale,
il nemico si precipitò nel varco aperto
marciando su di un tappeto di cadaveri asfissiati dalle mortifere esalazioni, incalzando
senza tregua gli italiani in rotta nelle valli, puntando su Saga e Caporetto, aggirando
ed eliminando in tal modo quelli che
resistevano sulla cima dei monti.
Poco noto un sistema adottato dagli austriaci nella guerra
in alta montagna: le valanghe artificiali. Quando, infatti, le sentinelle
segnalavano gruppi di portatori o di
spalatori italiani, una salva di granate – ma talora bastava anche un solo
colpo – sparata contro il pendio nevoso sovrastante, faceva scivolare le neve
sotto le forme, scrive Weber,”d’una nube quasi irreale: in pochi secondi si
gonfia e, come un’ondata gigantesca, precipita sui disgraziati che invano
cercano di fuggire”.
La natura a servizio della malvagità dell’uomo.
E poi un fatto agghiacciante: due soldati austriaci annegati
nel vino. Erano penetrati in una cantina ed avevano bucato a fucilate diverse
botti. Il vino era sgorgato abbondante sul pavimento ed i due uomini caduti a terra ubriachi dopo averne bevuto,
approfittando dell’insperata fortuna, a volontà, erano morti nel rosso
liquido.
Impressionano inoltre
le parole di pietà per gli animali scritte da un uomo, rotto ad ogni visione di
crudeltà sugli uomini, quando descrive un episodio che l’aveva profondamente
colpito: la strage in un deposito di animali da macello che gli italiani in
fuga precipitosa, ad evitare che cadessero in mano nemica, non avevano esitato
a bruciare vivi dopo averli cosparsi di benzina.
Il racconto dell’ufficiale rievoca poi un episodio accaduto
mentre i soldati austriaci si
apprestavano ad attraversare il Piave per infrangere l’ultimo ostacolo che si
frapponeva al loro dilagare nella pianura padana.
Una notte le vedette avevano segnalato che “dall’altra
parte del Piave la gente cantava…Si trattava di un coro vero e proprio, formato
da diverse centinaia di persone…Forse, gli italiani avevano fondato una nuova
società corale che faceva le sue prove durante la notte…”. Nel dubbio che ciò nascondesse
qualcosa di pericoloso, la batteria
austriaca aveva aperto il fuoco e il canto era cessato.
Alla luce del giorno, tutto si chiarisce: “Sull’altra riva sono
state piantate nell’acqua nuove file di paletti che già reggono fitte matasse di filo di ferro
spinato. Ecco scoperto il segreto: il coro aveva lo scopo di attutire il rumore
prodotto dal lavoro notturno dei soldati che piantavano i paletti. E’ facile
immaginarsi lo stato d’animo di quei disgraziati che dovevano cantare sotto il
fuoco della nostra artiglieria”. E qui l’austriaco rende un commovente omaggio ai nemici uccisi dalle bombe dei suoi
cannoni: ”Essi avevano combattuto con l’arma della voce rendendo alla patria,
con le loro canzoni, un grande servigio”.
Ma, forse, morir
cantando è la morte più bella.
Giovanni Zannini Padova
27-12-2015
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