lunedì 4 novembre 2013



L’Armistizio violato
MUSSOLINI DOVEVA ESSERE CONSEGNATO AGLI ALLEATI, NON UCCISO

Il punto 29 dell’Armistizio (cosiddetto “lungo” perché fa seguito all’Armistizio “corto” di Cassibile del  3.9.1943)  firmato a Malta il 29-9-1943 fra il gen.Dwight Eisenhower per gli Alleati ed il gen.Pietro Badoglio per iI governo italiano,  così recita: ”…Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi i cui nomi si trovano sugli elenchi  che verranno comunicati dalle Nazioni Unite e che ora o in avvenire  si trovino in territorio controllato  dal Comando Militare  Alleato o dal Governo Italiano  verranno immediatamente arrestati  e consegnati alle forze delle Nazioni Unite. Tutti gli ordini impartiti dalle  Nazioni Unite a questo riguardo saranno osservati”.
Il 29 aprile 1943 il cadavere di Benito Mussolini assieme a quello dell’amante Clara Petacci e di altri 
gerarchi viene esposto a Milano in Piazzale Loreto appeso per i piedi ad un traliccio della pensilina del distributore di benzina ivi esistente.
Emerge, da ciò, in tutta evidenza, che l’Armistizio “lungo” del 29.9.1943 è stato violato.
Cercheremo di capire se, come e da chi tali impegni siano stati violati seguendo soprattutto il  gen.Raffaele Cadorna nel suo libro “La Riscossa” edito nel 1948, a poca distanza dunque dagli avvenimenti di cui ci stiamo occupando che l’autore  si sforza di esporre nella maniera più obbiettiva possibile.
Egli ha intensamente e drammaticamente vissuto il periodo della Resistenza italiana dal 25 luglio 1943  alla Liberazione quale Comandante  generale del Corpo Volontari della Libertà (C.V.L.) con  l’incarico, quanto mai improbo,  di coordinare e dirigere l’azione militare delle unità resistenziali operanti in Alta Italia. Ciò,  in conformità agli ordini  del Comando Supremo interalleato del Sud in correlazione con il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) composto dai rappresentanti dei partiti Comunista, Socialista, Liberale, Democristiano e d’Azione, nominato il 26-12-1944 dal governo Bonomi  suo rappresentante nel territorio italiano occupato dai nazifascisti.
Veniamo dunque alle pagine del libro relative all’uccisione di Mussolini.
Già il 19 aprile 1945, mentre lo sfascio dei nazifascisti appariva imminente, il CLNAI aveva emesso un ultimatum diretto alle forze armate ed ai funzionari della RSI   affermante  tra l’altro: “… Sia ben chiaro  per i componenti delle forze armate del cosiddetto governo fascista repubblicano che chi sarà colto con le armi in mano  sarà fucilato...  Solo chi si arrende al Comitato di Liberazione Nazionale e consegna le armi ai patrioti  avrà salva la vita  se non si sarà macchiato  personalmente di più gravi delitti…” e concludeva: ”…Che nessuno possa dire che, sull’orlo della tomba…non gli è stata offerta un’estrema ed ultima via di salvezza”.   
Successivamente  il CLNAI riunito a Milano il 25 aprile 1945 alle ore 8 proclama l’insurrezione ed emana tre decreti. Con il secondo denominato “per l’amministrazione della giustizia” si stabilisce che “…i membri del governo fascista  ed i gerarchi del fascismo…sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo”.
Balza qui evidente il contrasto fra le clausole armistiziali sottoscritte dal governo italiano secondo le quali  “Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra…saranno immediatamente arrestati  e consegnati alle Forze della Nazioni Unite”, ed il tenore del succitato decreto del CLNAI che  condanna a morte “i membri del governo fascista ed i  gerarchi del fascismo” i quali,  al contrario, in base alle clausole armistiziali sottoscritte dal governo italiano del quale esso era il rappresentante in Alta Italia, dovevano essere arrestati e consegnati  alle Forze delle Nazioni Unite.
Il gen.Cadorna  si rende conto della  situazione paradossale verificatasi ed è evidente  l’imbarazzo  in cui viene a trovarsi in quanto, scrive nel suo libro,  “…il rapporto di dipendenza  dal CLN non possa prescindere dal fatto che la sua qualità di generale  italiano gli impedirebbe di tenere il posto qualora si verificasse sconcordanza di direttive  fra il governo italiano delegante  e gli Alleati che ne controllano l’opera  a termini delle condizioni d’armistizio da una parte,  ed il CLN delegato dal governo stesso  dall’altra parte”.
La sera del 27 aprile 1945 si presentano a lui Lampredi e Valerio (rag.Audisio), rappresentanti del partito comunista in seno al CNLAI affermando di aver da esso ricevuto il mandato di recarsi sul posto in cui Mussolini era stato catturato  con il compito di giustiziarlo.
Cadorna  sospetta  che tale ordine non sia impartito dal CLNAI ma, in realtà,   da un  autoproclamatosi  “Comitato Insurrezionale” costituito dai soli  rappresentanti comunisti,  socialisti e azionisti nel CLNAI che si era ad esso sovrapposto in pratica svuotandone l’autorità.
E' accertato che fu proprio così, ma, a cose fatte,  il CNLAI  emanò un comunicato nel quale – si legge nel libro – “assumeva la piena responsabilità della fatta giustizia  e deplorava gli eccessi commessi  da una folla esagitata attribuendone la colpa alla diseducazione del ventennio fascista”.
 Ma come si comportò, in tale situazione, il gen. Cadorna?
Egli si limita ad affermare che “mi regolai  come in ogni atto della mia vita di soldato  domandandomi  unicamente  quale sarebbe stata l’eventualità  più dannosa per l’Italia a prescindere da ogni mia personale preoccupazione” e che “davanti a un ordine la cui esecuzione non poteva comunque  sfuggire alle mie competenze… quale atto imposto da una ineluttabilità  di forze e di eventi di cui è possibile  farsi un’idea solo riportandosi  a quei giorni e mettendosi al posto  di chi si trovò in mezzo a quella  situazione di estrema incertezza  e di esasperata eccitazione,  io agii nei limiti di una precisa  responsabilità a cui  non intesi e non intendo sottrarmi”.
Ma come, in concreto, agi? Non lo dice, quasi a voler coprire una verità che potrebbe essere diversamente interpretata e dare origine a contrasti e polemiche.                                     
Fra le innumeri informazioni  fiorite attorno all’episodio dell’uccisione di Benito Mussolini vi è quella fornita su  Internet da  “Wikipedia, l’enciclopedia libera” con un servizio non firmato dal titolo “ Morte di Mussolini” - riportante la chiara avvertenza che “Le informazioni qui  riportate hanno solo un fine illustrativo.  Wikipedia può contenere materiale discutibile” - al quale facciamo riferimento, pur con ogni riserva,  solo per tentare di chiarire quanto Cadorna nel suo libro non ha voluto rivelare.
Ciò chiaramente premesso,  emerge  dalla sopracitata  fonte  che Cadorna “diviso tra i doveri di comandante del CVL  e di lealtà verso gli Alleati” avrebbe agito su due fronti: da una parte munendo di lasciapassare gli incaricati della missione di morte per evitare, nella drammatica situazione in atto, chi sa quali violente reazioni,  dall’altra contattando contemporaneamente il ten.col.Sardagna (già suo dipendente gerarchico nella divisione di cavalleria corazzata“Ariete” da lui comandata alla difesa di Roma) che rappresentava il CVL a Como, al fine di predisporre misure per recuperare  Mussolini e  trasferirlo in luogo sicuro in attesa – si suppone -  di consegnarlo al  CLNAI completo dei rappresentanti di tutti i partiti (e non al fantomatico autonominatosi "Comitato insurrezionale)  quale  legittimo rappresentante del governo italiano in Alta Italia.
Ma non è chi non veda che, ove tale ipotesi fosse suffragata,  anche il legittimista gen.Cadorna non sarebbe più stato tale perché avrebbe agito in violazione  delle clausole armistiziali   che, come sappiamo,  imponevano la consegna di  Mussolini “alle forze delle Nazioni Unite”,  e non al governo italiano.
E che Cadorna intendesse  anch'egli violare le clausole armistiziali (sia pure in maniera diversa dalla sbrigativa procedura del col.Valerio) emerge dal sopracitato suo libro nel quale, a pag. 260 si legge che “in nessun caso poi avrei volontariamente  proceduto a effettuare la consegna  di Mussolini in mano alleata perché egli fosse  giudicato e giustiziato dallo straniero. Ricordavo quale indignazione  avesse destato all’interno  e all’estero dopo l’8 settembre la voce che nelle clausole segrete  dell’Armistizio fosse prevista tale consegna da parte  del Governo italiano”.
Il quale, sia detto per inciso, si era preoccupato, dopo il 25 luglio 1943 di proteggere Mussolini da possibili colpi di mano da qualsiasi parte provenienti, preoccupazione peraltro invalidata dall’audace azione di Otto Skorzenj sul Gran Sasso. 
Oltre a ciò, il punto di vista di Cadorna era condiviso anche da   Pier Luigi  Bellini delle Stelle, “Pedro” (nobiluomo, conte,  di fede monarchica), comandante della 52° Brigata Garibaldi - che aveva intercettato e arrestato Mussolini a Dongo - e dai suoi quadri: Michele Moretti “Pietro”, Commissario politico; Urbano Lazzaro “Bill”, suo vice, e  Luigi Canali, “Capitano Neri”, Capo di stato maggiore, i quali non volevano farsi “scippare” la preda da quei partigiani  sconosciuti  giunti dalla pianura,  da Milano, comandati da uno scalmanato che si faceva chiamare “colonnello Valerio”,  pretendendo di dare ordini a tutti  e, con minacce, di essere obbedito.
Scrive infatti “Pedro”, nel libro “Dongo, la fine di Mussolini” (Milano – Mondadori – 1962)” scritto a quattro mani con “Bill”, che “…nessuno di noi aveva mai pensato di passare per le armi  i prigionieri…Non avremmo consegnato Mussolini agli Alleati, ma solamente al nostro Comando …Non ci pareva giusto, né dignitoso, che delle sorti di un italiano dovessero decidere gli stranieri, per quanto alleati fossero…”. 

Salvate Mussolini!

Fermo restando l’intendimento di “Pedro”, di “Pietro”, di “Bill” e del “Capitano Neri” di non farsi sottrarre la preziosa preda da altri, e di mettere al sicuro Mussolini in attesa che la confusa situazione  si  chiarisse, vanno riferite due versioni relative alle modalità con cui la messa in sicurezza di Mussolini sarebbe stata tentata.
Una prima, riferita da “Wikipedia” più sopra citata, e da un’ampia nota a pag.394 del libro di Vittorio Roncacci  “La calma apparente del lago: Como e il comasco tra guerra e guerra civile 1940/1945”  (Macchione Editore – Varese  - anno 2003)   afferma che “Pedro”  la sera del  27 aprile,  aveva  ricevuto dal ten.col.Sardagna, responsabile del CVL  di Como,  l’ordine  di  lasciare Germasino ove si trovava Mussolini presso la caserma della Guardia di Finanza,  e di recarsi con lui e la Petacci a Moltrasio  per effettuare il traghettamento  - predisposto dal gen.Cadorna - dei prigionieri verso la villa  dell’industriale  Remo Cademartori (che conferma l’esistenza del piano – n.d.r.) a Blevio sull’altra sponda  del ramo comasco del Lario. Ma giunto al porticciolo  del piccolo paese, “Pedro” non  trovò alcuna imbarcazione per cui, nelle prime ore del  28 aprile decise di tornare indietro e di alloggiare i due prigionieri non più a Germasino, ove la voce della presenza  dell’ex duce si era diffusa, ma in un luogo più sicuro -  noto solo a lui ed ai suoi fedelissimi  -  a Bonzanigo, una frazione di Mezzegra, nella casa di Giovanni De Maria nella quale altre volte lui,  inseguito dai fascisti, aveva  trovato rifugio.     
Pier Bellini delle Stelle, invece, conferma il viaggio notturno fino a Moltrasio con i due preziosi prigionieri, ma non parla del presunto tentativo di traghettamento dell’ex duce a  Blevio. Secondo lui, infatti,  il viaggio era stato deciso per spostare i due da Germasino, ritenuto rifugio non più sicuro, in  un’altra remota località, in una baita posta a S.Maurizio di Brunate, sopra Como. Ma, giunti a Moltrasio, nel dubbio che a Como (che andava raggiunta per salire poi  a S.Maurizio), fossero ancora in atto scontri fra partigiani e fascisti, il progetto fu abbandonato e si ripiegò su Mezzegra.
Dunque, in entrambi i casi, il viaggio fino a Moltrasio avvenne, nel primo per effettuare il fantomatico traghettamento, nel secondo in transito per raggiungere un più sicuro rifugio nella montagna sopra Como.                                     
Ed in entrambe le versioni si conferma che, durante il tragitto, punteggiato da diversi posti di blocco partigiani, per evitare l’identificazione dell’ex duce, si decide di  bendargli il capo per simulare un partigiano gravemente ferito da trasportare con urgenza all’ospedale.
Sia a questo punto consentita una nota di colore, tra il tragico e il comico, quale emerge dalle pagine 180 e 181 di “Dongo: la fine di Mussolini” (Milano – Mondadori  - 1962) scritto a quattro mani da Urbano Lazzaro “Bill” e Pier Bellini delle Stelle “Pedro” il quale ultimo racconta un surreale episodio avvenuto durante il sopraddetto drammatico viaggio.

A braccetto con la Petacci

“La Petacci” scrive “sembrava stanchissima e Mussolini chiede una piccola sosta  per far riposare  la signora…La Petacci ha gran difficoltà a camminare sui ciottoli della strada resi viscidi dalla pioggia: mi avvicino allora a lei e le offro (cavallerescamente, il nobiluomo  Pier Bellini delle Stelle non si smentisce – ndr.) il braccio per sostenerla.  Mussolini dall’altra parte fa lo stesso e così procediamo,  per un certo tratto,  tutti e tre  a braccetto. Dobbiamo formare un terzetto piuttosto strano: a destra Mussolini, intabarrato in un pastrano militare troppo lungo per lui, con una coperta sulle spalle e la testa fasciata che spiccava bianchissima nell’oscurità della notte, in mezzo una signora elegante che sembrava reggersi a malapena sulle sue scarpette dai tacchi alti, affranta e affaticata;   a sinistra io, lacero e scalcagnato, con barba e capelli incolti, tutto sferragliante di armi…”.
Da tutto quanto sopra emerge dunque confermato il punto di vista del gen.Cadorna quale emerge dalle sue stesse parole più sopra citate secondo le quali egli, Comandante del CVL (Corpo Volontari della Libertà) avrebbe voluto tenere al sicuro  il prigioniero in attesa che un regolare Tribunale di Guerra italiano provvedesse a giudicarlo e poi,  se condannato, a giustiziarlo.

Conclusione

Se è vero che - come emerge dal libro di Vittorio Roncacci, “con il diffondersi della notizia (la cattura di Mussolini il 27 aprile 1945 – ndr)  giungeva al comando del CLNAI dal Quartier Generale OSS (l’americano Office of  Strategic Service) di Siena  un telegramma con la richiesta di affidamento  al controllo  delle Forze delle Nazioni Unite di tutti i membri  del governo della RSI secondo la clausola  n.29 dell’Armistizio “lungo”, e che “…all’aeroporto di Bresso  intanto si inviò  un velivolo per prelevare il dittatore”.
E se è pure vero che a tale telegramma si rispose, falsamente depistando, da parte di qualcuno, probabilmente, del “Comitato Insurrezionale” di stampo comunista ( sovrappostosi al legittimo CLNAI, praticamente esautorandolo), con questo  fonogramma:” Spiacenti non potervi consegnare Mussolini che processato  Tribunale Popolare  è stato fucilato stesso posto  ove precedentemente fucilati da nazifascisti  quindici patrioti . Stop.”
Se è dunque vero, come è vero,  che tutto ciò è accaduto, se ne deduce che il non aver obbedito alla richiesta alleata di consegnare l’ex duce procedendo, al contrario,  alla sua esecuzione,  dà fondamento all’accusa, nei confronti  dei responsabili di tale comportamento,  di mendacio e di ribellione militare  ad ordini contenuti nella  più volte citata clausola armistiziale - sottoscritta dal governo italiano del quale il CLNAI era emanazione  - secondo i quali  “TUTTI GLI ORDINI IMPARTITI DALLE NAZIONI UNITE a riguardo  di B.Mussolini e dei suoi principali associati SARANNO OSSERVATI”.
                                                                                                           Giovanni  Zannini

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