Attorno al famoso “Nido d’aquila” di Hitler si è fatta molta confusione.
Per prima cosa esso non costituiva la sua residenza:
si tratta infatti di una grande baita in pietra e cemento in cui Hitler non abitò
mai stabilmente, sita a quota 1834 sotto la cima del monte Kehlstein, la cui
principale attrattiva è costituita da un grandioso terrazzo dal quale si gode un panorama mozzafiato. Esso
costituisce infatti un magnifico osservatorio sulle cime delle Alpi Bavaresi che si ergono tutto attorno, sul sottostante lago
di Konigssee e sulla regione attorno a Berchtesgaden.
Per seconda, a Hitler quel luogo non piaceva proprio perché posto ad un’altezza
che gli provocava disturbo tanto è vero che ci andò raramente, forse solo una
diecina di volte.
Ma allora non si comprende perché avesse costruito
quella abitazione dal momento che non
aveva nessun piacere di andarci e la risposta è che il famoso “nido” non se
l’era fatto lui, ma gli era stato gentilmente regalato dai suoi fedelissimi che, evidentemente –
strano, per dei tedeschi sempre scrupolosi prima d’ intraprendere alcunché -
ignoravano che il loro capo amava molto la montagna (al contrario dell’acqua,
dato che soffriva di mal di mare) purchè non fosse molto alta perché l’aria
rarefatta gli dava fastidio.
Ma andiamo in ordine.
Hitler, da giovane, all’inizio della sua carriera
politica amava recarsi, per riposare e meditare (è lì che terminò la stesura
dal “Mein Kampf” iniziato, assieme al fido Rudolf Hess, nel carcere di
Landsberg ove era stato rinchiuso dopo il mancato “putsch” del 1923)
all’Obersalzberg (La montagna di sale), un breve altopiano a quota 1000 sulle
pendici del monte Kehlstein, in vista di
Berchtesgaden.
Ivi, con i primi guadagni derivatigli dalla vendita del Mein Kampf aveva acquistato
una baita che, con il crescere della sua fortuna politica fu trasformata, a
partire dal 1934, ad opera del
fedelissimo Martin Bormann, in una lussuosa villa da lui chiamata il “Berghof”
ove si recava in vacanza e riceveva
ospiti illustri come Mussolini, Ciano, l’ex re d’Inghilterra con la
moglie Wallis Simpson, i presidenti del consiglio inglesi Chamberlain e Lloyd
George e molti altri ancora. Essa divenne in seguito la stabile residenza della sua amante Eva
Braun con la quale, quand’era lontano, intratteneva quotidiani colloqui telefonici.
Da allora la località divenne zona interdetta riservata
ad Hitler, meta di pellegrinaggi organizzati di fanatici nazisti, popolata solo dalle ville di gerarchi del
Reich fieri di attorniare quella del capo: Hermann Goering, Martin Bormann, Rudolf Hess,
Albert Speer, Joachim von Ribbentrop, Heinrich Himmler, Joseph Goebbels. In un’altra villa venivano
ospitati i personaggi illustri in visita, ed in altri edifici il personale di
servizio e di sicurezza, cosicchè nella località venne a formarsi un piccolo
villaggio.
Solo successivamente il fedelissimo Martin Bormann (che di Hitler doveva essere un
autentico, si direbbe oggi, “fan”, ma del quale ignorava, evidentemente, l’acrofobia)
non contento di avergli restaurato la
villa, pensò di fargli un altro importante regalo, a nome del partito nazista, in vista del suo 50° compleanno (20-4-1939): una strada
che dai 1000 metri del Berghof lo portava ad un piazzale di sosta 700 metri più in alto e, con
l’aiuto di un ascensore, a quota
1834, poco sotto la cima del monte
Kehlstein: e lì, in aggiunta alla strada,
gli regalò anche la grande, massiccia
baita cui il Fhurer diede il nome
di “Nido dell’aquila”.
La strada per la cui costruzione il fido Bormann
aveva costituita una società che portava il suo nome – la “Martin Bormann
Obersalzberg” – costata all’epoca 30
milioni di marchi, rappresenta un’opera di alta ingegneria. Realizzata in poco più di un anno, larga 4 metri,
scavata nella dura roccia del Kehlstein, sale dal Berghof per circa 7 chilometri con un unico tornante e 277 metri di gallerie fino ad un parcheggio ove si aspre il tunnel verso l’ascensore. Questo, tutto luccicante di
ottone e specchi è ancora quello originale (mancano solo i divani in pelle) e
impiega soli 41 secondi per arrivare al “nido”.
A guerra
finita, vendicativamente, molti avrebbero voluto distruggerlo, ma prevalse il
buon senso ed oggi moltissimi turisti -
che vi arrivano, perchè il traffico privato è interdetto, solo a bordo di
pulmann muniti di motore e di freni particolari, costruiti dalla Daimler-Benz
- visitano la costruzione trasformata in
ristorante i cui introiti sono destinati ad iniziative di pubblico interesse.
Dunque Hitler
non apprezzò molto i due costosi regali dal momento che, come già sopra detto,
si recò al suo “nido” pochissime volte e
preferì abitare 800 metri sotto, nel suo Berghof, dalla cui grande veranda si godeva pure un panorama bellissimo anche se meno
imponente di quello dall’alto del Kehlstein.
Ma quali le vicende belliche del Berghof e del
“nido” ?
ll primo fu colpito e gravemente danneggiato il 25 aprile 1945, pochi giorni prima della
resa della Germania (7-5-1945) a seguito
del bombardamento di aerei inglesi che
centrarono anche le residenze dei suoi gerarchi e tutto quanto stava
attorno.
Successivamente, per ulteriore dileggio, anche
quello che non era stato completamente distrutto dal bombardamento fu, il 30
aprile 1952, fatto saltare in aria con
la dinamite.
Ma anche se si fosse trovato al Berghof - invece che
nel suo fatale bunker berlinese ove stava
meditando la morte - Hitler si
sarebbe certamente salvato grazie al rifugio antiaereo che si era fatto
costruire, tuttora esistente (salvo gli arredi) e visitabile.
Si tratta di una serie imponente di gallerie e di caverne
scavate nel ventre del monte Kehlstein, e quindi a prova di bomba, illuminate da una
potente centrale elettrica, dotate di magazzini per una lunga sopravvivenza e
comprendenti, oltre all’ “appartamento” del capo, anche quelli di alcuni dei suoi gerarchi, con “locali” adibiti a
soggiorni, studi, camere da letto, cucine e bagni.
E il “nido?”
Oggetto di ripetute incursioni alleate non fu mai colpito e, verso la fine della
guerra divenne motivo di accesa competizione fra alleati che
aspiravano a farne un trofeo di guerra.
Vi arrivarono per primi gli uomini del 3°
battaglione – 506mo reggimento della 2a Divisione corazzata francese appartenente al GTV (Groupement
Tactique Vézinet) che conquistato - dopo uno scontro a fuoco con due irriducibili tedeschi, nel quale
persero la vita alcuni dei suoi uomini – le rovine del Berghof, salirono al “nido” piantandovi
orgogliosamente la bandiera della Francia libera.
Lasciando grandemente delusi, e con un palmo di naso,
gli americani, pur essi arrivati a Berchtesgaden con la “3rd Infantry
Division”, la 3a Divisione di fanteria
statunitense, desiderosi di conquistare
la preda.
Certo, nessuno, prima di allora, avrebbe potuto
pensare che, per prendere un nido, ci si poteva lasciare la pelle.
Giovanni Zannini
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