martedì 6 marzo 2012

Un aspetto inesplorato nel dramma mussoliniano. CLARETTA, L'AMANTE PUNITA

Molti sono tuttora i misteri che aleggiano sulla morte di Benito Mussolini e di Clarice (detta Claretta) Petacci, e sui loro esecutori.
Me se l’oltraggio contro il cadavere dell’ex duce a Milano in Piazzale Loreto , tenuto conto delle sue storiche colpe, è comprensibile anche se in nessun modo, assolutamente, giustificabile, l’accanimento contro il cadavere della donna genera inquietanti interrogativi.
Esaminiamo anzitutto la vicenda della sua uccisione avvenuta il 28 aprile 1945.
Uno dei primi atti – forse il primo - emanati dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) quale rappresentante, nel territorio italiano occupato dai nazifascisti, del governo italiano guidato dal generale Badoglio trasferitosi dopo l’8 settembre 1943 a Brindisi (territorio italiano in quel momenti libero da occupanti stranieri) al seguito del re Vittorio Emanuele III, fu un “Decreto per l’amministrazione della giustizia”.
All’art. 5 esso prevedeva che “i membri del governo fascista ed i gerarchi fascisti colpevoli di aver contribuito alla soppressione delle garanzie costituzionali, di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo”. Tale decreto faceva seguito all’”Ultimatum” emesso dallo stesso CLNAI il 19 aprile nel quale si affermava che “chi non si arrende sarà sterminato”.
Tale Decreto era però in contrasto con la clausola n .29 dell’armistizio lungo siglato a Malta da Eisenhower
e da Badoglio il 29 settembre 1943 affermante che “Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti, e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi, i cui nomi si trovino sugli elenchi che verranno comunicati dalle Nazioni Unite e che ora o in avvenire si trovino in territorio controllata dal Governo Militare Alleato o dal Governo Italiano, saranno immediatamente arrestati e consegnati alle forze delle Nazioni Unite”.
Data tale situazione, s’ingaggiò una gara fra CLNAI e Angloamericani per mettere per primi le mani su Mussolini, per ucciderlo, il primo, per catturarlo e poi giudicarlo, i secondi, che già si erano messi in caccia dell’ex duce e che non volevano lasciarsi sfuggire il 2° criminale di guerra dopo Hitler.
Fu così che il “Comitato insurrezionale di Milano” - composto da Pertini, Valiani, Sereni e Longo – riunitosi alle ore 23 del giorno 27, per non perdere altro tempo, incaricarono Walter Audisio (Colonnello Valerio) e Aldo Lampredi (Guido) di procedere all’uccisione di Mussolini.
La versione prevalente del drammatico episodio (sulla cui verità i dubbi e le contestazioni sono stati, e sono, tuttora, accesi) è quella riferita dagli stessi giustizieri.
In base ad essa il “Colonnello Valerio”, dopo aver proclamato:”Per ordine del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano” avrebbe fatto fuoco su Mussolini - dopo una serie di inceppamenti delle armi usate per l’esecuzione - uccidendolo assieme all’amante che si sarebbe aggrappata a lui nel tentativo di fargli scudo con il suo corpo.
Emerge da quanto sopra che l’uccisione di Mussolini non avvenne a seguito di una specifica sentenza emanata da un organo giudicante, ma con generico riferimento all’art.5 del “Decreto per l’amministrazione della giustizia” del quale si è sopra parlato.
Ne deriva altresì che non essendo la Petacci né “membro del governo fascista”, né “gerarca fascista” - come recitava il “Decreto” – essa non avrebbe dovuto essere uccisa.
Consapevoli della fondatezza di tale eccezione, gli esecutori hanno allora fornito la versione che la donna sia stata colpita involontariamente a causa del suo gesto – innegabilmente generoso - che l’avrebbe posta sulla traiettoria dei proiettili destinati all’ex duce..
Versione che appare poco credibile perché, se veramente non si voleva uccidere la donna, non si comprende perché essa sia stata messa “al muro” assieme all’amante mentre si sarebbe dovuto costringerla a stargli lontano per evitare il verificarsi di quanto, secondo la versione del “Colonnello Valerio”, sarebbe poi avvenuto.
Oltre a ciò, anche se in effetti la donna si fosse posta dinanzi a Mussolini, si sarebbe dovuto allontanarla con la forza e solo dopo ciò aprire il fuoco su di lui.
Ma, lasciata l’oscura vicenda della sua uccisione, veniamo al vilipendio del corpo della Petaccci avvenuto sotto gli occhi di migliaia di persone e provata da documenti fotografici impressionanti che attesteranno per sempre questo episodio di barbarica follia, autentico attentato a quella civiltà italica della quale troppo spesso ci vantiamo.
Perché, dunque, lo scempio del cadavere della Petacci?.
Forse, per punirla di aver per anni donato il piacere ad un uomo responsabile di aver trascinato in guerra l’Italia e di averle causato lutti, rovine, e, alla fine, una bruciante sconfitta? Una specie di “chiamata di correo” dell’amante per le colpe commesse dall’amato?
Eppure, se di tal genere di colpe si volesse parlare, ben più grave sarebbe stata la responsabilità della moglie Rachele che per molto più tempo ha amato Mussolini dandogli cinque figli, condividendo – anche se, per la verità, si dice non sempre - le sue idee e vivendo accanto a lui una vicenda umana precipitata dalla gloria nella tragedia?
Ma non risulta che a donna Rachele, pur nei drammatici momenti della caduta del fascismo e della fine della guerra, siano state usate violenze fisiche.
Catturata dai partigiani all’indomani del 25 aprile 1945 con i figli minori Romano e Annamaria, fu consegnata agli alleati e, dopo essere stata in un campo di concentramento inglese a Terni, inviata al confino all’isola d’Ischia ove restò fino al 1957 per poi tornare indisturbata nella sua casa di Carpena, (comperata con i quattrini guadagnati da Mussolini all’”Avanti”) vicino a Forlì, ove rimase fino alla morte. Invece, il corpo della Petacci uccisa, seminudo, insanguinato, oltraggiato dalla folla nella maniera più vile, turpe ed oscena, ingiuriato, sputacchiato, viene alla fine appeso a testa in giù al traliccio del distributore di benzina di Piazzale Loreto a Milano ed esposta assieme a Mussolini e ad altri 5 gerarchi, alla vista della folla inferocita.
Fra le tante versioni date di quel tragico avvenimento, (e lo riferiamo con imbarazzo) vi è quella che un frate presente avrebbe provveduto a fissare con il cordone del suo saio la gonna sui fianchi del cadavere privo di indumento intimo (e ciò, se vero, aprirebbe la strada ad inquietanti, torbide supposizioni); mentre un’altra, priva di particolari scabrosi, riferisce che un sacerdote della comunità di don Orione, don Giuseppe Pollarolo, presente sul posto, prevedendo l’appendimento del cadavere della Petacci per i piedi, avrebbe provveduto a stringere con una spilla da balia i bordi della gonna indossata dalla povera donna per evitare una sconcia, macabra esposizione.
Quali motivi, dunque, possono aver scatenato tanto odio?
Condanna dell’adultera che ha intaccato il mito della famiglia allora ancora assai vivo?
Solidarietà con la moglie offesa dalla protervia dell’amante?
Invidia per gli agi goduti dalla Petacci grazie al rapporto amoroso con il potente?
Perché, dunque, due donne che ad uno stesso uomo avevano dato il loro amore, ebbero una sorte così diversa?
Perché la salvezza alla sposa e la morte all’amante?
Giovanni Zannini.

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