sabato 17 marzo 2012

Da Roma al Gran Sasso via Ventotene, Ponza, La Maddalena - LA TRADUZIONE DEL PRIGIONIERO BENITO MUSSOLINI

Fu proprio quello l’inconsueto itinerario seguito da coloro che ebbero l’ingrato compito di custodire Benito Mussolini dopo che il re, a Villa Savoia, l’aveva destituito nel pomeriggio del 25 luglio 1943, lo stesso giorno in cui, alle tre del mattino, si era conclusa l’ultima seduta del Gran Consiglio del Fascismo con l’ordine del giorno Grandi che ne decretò la fine.
Un vagare affannoso e non programmato alla ricerca di un luogo sicuro in cui depositare l’ingombrante fardello, sotto l’incubo di possibili colpi di mano sia da parte degli inglesi che di Hitler il quale già dal 26 luglio aveva messo in moto, per la liberazione del duce, una “task force” affidata al colonnello Otto Skorzeny.
Si comincia con il trasferimento, la sera del 27 luglio, da Roma a Gaeta ove alle prime luci dell’alba del giorno successivo Mussolini viene imbarcato sulla corvetta “Persefone” che fa rotta per l’isola di Ventotene. Quivi giunti, dopo una rapida ispezione, si constata che non è possibile sistemarvi il prigioniero, e, sui due piedi, si decide di dirigere su Ponza ove la nave giunge nel pomeriggio dello stesso giorno.
Ivi l’ex duce viene sistemato alla meglio in una catapecchia, ed il 7 agosto scatta l’allarme.
Scrive:”…Stanotte, verso l’una sono stato svegliato con le seguenti parole:”Pericolo in vista! Dobbiamo partire”. Mi sono vestito in tutta fretta, ho raccolto i miei oggetti e le mie carte e mi sono recato su di un incrociatore che mi attendeva…”.
Un primo tentativo di Skorzeny?
La nave sulla quale il prigioniero viene imbarcato in tutta fretta è, più precisamente, il caccia F.R.22 (l’ex “Pantera” francese, preda di guerra) che lo trasferisce nell’isola della Maddalena ove resterà fino al mattino del 28 agosto quando, sentendo sulla nuca, i custodi del duce, il fiato dei segugi scatenati alla sua caccia, Mussolini viene ancora una volta precipitosamente imbarcato su di un idrovolante della Croce Rossa che ammarra all’idroscalo di Vigna di Valle sul lago di Bracciano.
Effettivamente, l’implacabile Skorzeny era già sulla Maddalena e solo l’improvviso decollo del velivolo gli aveva sottratto la preda.
Da Vigna di Valle il prigioniero viene trasferito, ancora una volta a bordo di un’autoambulanza, ad Assergi donde in data incerta, probabilmente il 31 agosto, viene condotto per funivia all’albergo rifugio di Campo Imperatore ove Skorzeny il 12 settembre riesce a portare a termine, rocambolescamente, la missione affidatagli dal suo Fuhrer.
Fin qui l’itinerario percorso in 50 giorni dal duce, un calvario che suscita in lui meditazioni che la gloria terrena aveva per troppo tempo sopite, raccolte in due quaderni che egli chiamerà “Pensieri pontini e sardi”.
Di essi lo stesso Mussolini aveva perso le tracce: nel suo libro “Il tempo del bastone e della carota”, infatti, ricordando il suo travagliato trasferimento da Roma al Gran Sasso, afferma (parlando, come noto, in terza persona), che “…Fu concesso a Mussolini di scrivere. Pare abbia fatto delle notazioni quotidiane di carattere filosofico, letterario, politico, ma questa specie di diario non lo si è più trovato…”.
Appare dunque necessario un chiarimento.
Dalla “Nota informativa” che apre il suddetto libro di Mussolini si apprende che i due quaderni manoscritti finirono nelle mani del “liberatore” Skorzeny il quale si affrettò ad inviarli al capo delle SS. Himmler. Questi, dopo averli tradotti e fotografati, li consegnò in originale allo stesso Hitler il quale li restituì a Skorzeny, e questi al Duce: ma poi, se ne sono perse le tracce.
E allora, da dove spuntano?
Pochi giorni prima della capitolazione della Germania giunse all’ufficio militare tedesco di Kreismunster, presso Linz, l’ordine di distruggere tutti i documenti ivi esistenti. In quella occasione cadde sotto gli occhi dell’ufficiale tedesco addetto una copia della traduzione del primo quaderno dei “Pensieri Pontini e Sardi” quello che va, come già detto, dal 2 al 19 agosto 1943.
Resosi conto dell’importanza del documento (e, forse, della possibilità di farci qualche marco……) l’ufficiale lo salvò dalle fiamme e successivamente lo consegnò al giornale austriaco “Salzburger Nachrichten” che, controllatane l’autenticità, lo pubblicò a puntate, ripreso poi dalla stampa italiana .
Ora i “Pensieri pontini e sardi” figurano nell’”Opera Omnia” di Mussolini” edita, a cura di Duilio ed Edoardo Susmel, dalla casa editrice “La Fenice” di Firenze nel 1963.
Il secondo quaderno è invece allo stato attuale, e salvo altre sorprese, scomparso.
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Ma torniamo al testo.
Ne emergono lo scoramento, la rassegnazione, i “mea culpa”, il desiderio di conforto religioso, ed i sintomi della caduta.
“Fin dall’ottobre 1942 – vi si legge - ho avuto un presentimento continuamente crescente della crisi che mi avrebbe travolto. La mia malattia vi ha molto contribuito”.
Il tema della malattia (ulcera duodenale con ripetute crisi) ritorna:”E’ strano che negli ultimi tempi il lavoro nella grande sala di Palazzo Venezia mi era venuto a noia. Avevo già deciso di trasferirmi al Ministero della Marina o in un altro posto della periferia più concentrato di palazzo Venezia di fronte all’altare della Patria. Un sintomo della mia malattia”.
Ed a proposito della costruzione di un rifugio antiaereo sotto Villa Torlonia scrive:”…la mia ripulsione verso il rifugio antiaereo crebbe a causa di un oscuro presentimento… Avevo l’esatta sensazione che questo rifugio sarebbe stato completamente inutile, che non ce ne saremmo mai serviti. Infatti! Si deve ascoltare la voce del subcosciente”.
A Ponza legge il libro “Vita di Cristo” (del canonico lateranense Giuseppe Ricciotti) la cui lettura aveva iniziato, si noti, già prima del 25 luglio e che la moglie Rachele, trovatolo aperto sul suo tavolo, gli aveva fatto pervenire assieme ad altre poche robe.
“”Due libri mi hanno molto interessato in questi ultimi tempi: “La vita di Gesù” di G.Ricciotti e “Giacomo Leopardi” di Saponaro. Anche Leopardi è stato un po’ crocifisso!””.
Chiede di vedere il parroco ma gli è impedito, ed allora gli scrive pregandolo di celebrare una messa in suffragio del figlio Bruno nel secondo anniversario della morte donandogli, in segno di gratitudine, la “Vita di Cristo” che il sacerdote trova annotato e sottolineato in più punti. Una frase, in particolare:”E Gesù uscì solo, non gli era d’appresso neppure un amico”.
Il sacerdote risponde assicurando che celebrerà la Messa nella speranza che anche lui possa parteciparvi, ma il trasferimento alla Maddalena lo impedirà.
Quivi giunto annota:”” Oggi 17 agosto è venuto da me, su mia richiesta, il parroco della Maddalena, don Capula. L’ho intrattenuto brevemente sulle mie faccende e gli ho detto che le sue visite mi avrebbero aiutato a vincere la grave crisi morale provocata dall’isolamento più che da tutto il resto. E il sacerdote:”…Lei non è stato sempre grande nella fortuna: sia grande ora nella disgrazia. E’ da questa che il mondo la giudicherà, da quello che lei sarà a partire da ora e molto meno da quello che lei è stato fino a ieri. Dio, che vede tutto, la osserva e sono sicuro che lei non farà nulla che possa ferire i principi religiosi cattolici, dei quali lei si ricorda, anche se dovessero prodursi nuovi colpi del destino”. Gliel’ho promesso””.
Ripensando poi a Palazzo Venezia, a Villa Torlonia, alla Rocca delle Caminate, commenta:”…Io ho abbandonato tutto ciò da vivo. Eppure è come se fossi morto…”.
In un colloquio con l’Ammiraglio Maugeri sulla corvetta Persefone che lo conduce a Ponza, insiste:”…Io sono politicamente defunto…”.
Ed a chi gli chiede un autografo si firma “Mussolini defunto”.
Il 19 agosto annota: “…la mia settimana di passione cominciò precisamente un mese fa con il mio incontro col Fuhrer a Feltre” e confessa: la previsione che “la Germania ci piantava in asso, e che dopo la conquista della Sicilia gli inglesi sarebbero arrivati…fino a Roma…accrebbe la tensione nervosa già prossima al collasso”.
E poi: “….Questa sarebbe dunque la mia posizione giuridica: ex capo del governo in stato di arresto protettivo contro la furia popolare!”.
Quindi un rimpianto:””Nella mia vita non ho mai avuto nessun amico, ma è meglio così perché in tal modo molta gente è esentata dal “compatirmi”, cioè dal “patire con me””; ed un pentimento:”…Povera Rachele! Quanta poca gioia le ho dato e quanti dolori. Durante trent’anni non una sola settimana di calma. Meritava forse un destino diverso e migliore che essere legata alla mia vita tempestosa”.
A proposito di donne scrive: ””….le donne non hanno mai esercitato la sia pur minima influenza sulla mia politica. Forse è stato uno svantaggio. Talvolta, grazie alla loro fine sensibilità, le donne sono più lungimiranti degli uomini””.
Infine:“ La massa è stata pronta, in tutte le epoche ad abbattere gli idoli di ieri anche a costo di pentirsene domani.. Ma nel mio caso non sarà così. Il sangue, l’infallibile voce del sangue mi dice che la mia stella è tramontata per sempre”.
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Tre giorni dopo la liberazione avvenuta a Campo Imperatore il 12 settembre 1943, Mussolini fonda, il 15 dello stesso mese, il Partito Fascista Repubblicano ordinando di “appoggiare efficacemente e cameratescamente l’Esercito germanico che si batte sul territorio italiano contro il comune nemico” e l’1 dicembre dello stesso anno proclama la nascita della RSI, la “Repubblica Sociale Italiana”.
Giovanni Zannini

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