mercoledì 30 marzo 2016

L'intervento dell'italia nella I Guerra Mondiale - NO ALLA SANTA SEDE NELLA FUTURA CONFERENZA DI PACE

Abbiamo già rilevato con una certa sorpresa, il contenuto dell'art.XII  del  Memorandum segreto
presentato  nel marzo 1915  dall'Italia all’Inghilterra contenente  le condizioni alle quali l'Italia stessa subordinava la sua entrata in guerra a fianco delle potenze dell’Intesa (Inghilterra, Francia, Russia), che così recitava: ”… L’Inghilterra e l’Italia si obbligano alla reciproca garanzia dell’indipendenza dell’Yemen…”.
Pari sorpresa suscita il successivo art.XV  dello stesso Memorandum del seguente tenore: ” Inghilterra, Francia e Russia s’impegnano ad appoggiare l’Italia nell’opporsi ad ogni eventuale proposta di ammissione di un  rappresentante della Santa Sede  nei negoziati per la pace  al termine della presente guerra”.
Riteniamo anzitutto strano che in un documento destinato a programmare una guerra alla quale fino ad allora era rimasta estranea, l’Italia pensasse già ai negoziati di pace che si sarebbero verificati alla fine del conflitto.
Perché, allora, tanta prudenza e preveggenza? Cosa c’era sotto?
L’on.Meda del Partito Popolare  nel “I  cattolici italiani nella guerra” del 1928 scriveva apertamente di “mal dissimulate prevenzioni antivaticane di Sonnino (ministro degli Esteri dell’epoca al quale si attribuisce la stesura del “Memorandum”  italiano – nda),  mentre nelle infuocate giornate del maggio 1915,  “i politicanti vaticanisti” scrive Antonio Salandra nel suo  “L’intervento “ del 1930,  “sbraitavano  contro Sonnino ebreo e protestante…”.  
Niente vero,  ribatte Salandra: Sonnino, figlio di un commerciante di origine ebraica e di madre inglese che allevò i figli nel culto anglicano, non era affatto anticlericale, a meno che non si volesse  considerare tale chi, come del resto anche lui stesso, si proclamava liberale.
Infatti,  il vero motivo dell’ostracismo di Sonnino e  di Salandra alla partecipazione della Santa Sede ai futuri trattati di pace era soprattutto ispirato da preoccupazioni di carattere costituzionale e cioè dal timore che in quella sede si attribuisse  alla Santa Sede  quella qualifica di Stato cui essa aspirava ma che non aveva.
La “Legge delle Guarentige” del 1871, scrive Salandra,  aveva stabilito che al Pontefice fosse attribuita la qualità di Sovrano, ma aveva contemporaneamente stabilito “che fosse rigorosamente esclusa l’esistenza di uno Stato Pontificio…”.
Quindi il rappresentante del Sovrano Pontefice, che non aveva uno Stato (cosa  ben singolare! – nda),  non avrebbe potuto sedere a fianco dei rappresentanti di  altri Sovrani che, invece, lo Stato ce l’avevano eccome: e l’Italia temeva che questo stato di cose potesse,  in occasione della conferenza di pace,  essere modificato.
Però, oltre a questa preoccupazione di diritto costituzionale, Salandra non nascondeva il  timore che in una  futura  Conferenza della Pace cui partecipasse anche la Santa Sede qualche  potenza , simpatizzante per il papato, volesse porre il problema, già da qualcuno accennato (come ad esempio i cattolici tedeschi e, in una occasione, l’ambasciatore di Spagna a Londra),  della soluzione dei rapporti fra Stato Italiano e  Santa Sede, o che, addirittura, fosse lo stesso eventuale rappresentante della Santa Sede, a suscitarlo.
Furono dunque questi, conclude Salandra, “i motivi, esenti da ogni passione anti-cattolica o anti-religiosa, che ci indussero ad inserire nell’art.XV dell’accordo di Londra una clausola esprimente la chiara e ferma  nostra volontà, già preventivamente fatta nota  agli Imperi Centrali del pari che alle potenze dell’Intesa”.
E Gabriele De Rosa scrivendo di Benedetto XV sulla “Enciclopedia dei Papi – Treccani”
conferma l’assoluta resistenza di Salandra sul punto anche quando l’abile Card. Gasparri propose di così modificare  l’art. XV:  “Nessun non belligerante sarà ammesso all’eventuale conferenza di pace se non con il consenso dei sottoscrittori (dell’Accordo di Londra – nda)”.
Solo il governo inglese si dichiarò favorevole alla modifica proposta da Gasparri osservando che essa non ne alterava la sostanza e che anzi essa “avrebbe potuto presentare qualche vantaggio non solo per l’alleanza in generale ma anche per l’Italia”.
Invece il governo francese e quello americano, scrive De Rosa, non presero in alcuna considerazione la proposta della Santa Sede.
Anzi, il ministro Sonnino confermò che il governo italiano non poteva in alcun modo consentire che si ponesse in discussione “qualsiasi revisione o sostituzione delle disposizioni sancite dalla Convenzione di Londra del 1915” che “dovevano restare intatte…così per l’art.XV come per tutto il resto”.
Chiara la minaccia che ove, invece, ciò fosse accaduto, i termini della Convenzione stessa sarebbero stati rimessi in discussione.
In conclusione ci si chiede il perché della  strenua resistenza del governo italiano dell’epoca a difesa dell’art.XV dell’Accordo di Londra.
Con il senno di poi ci si chiede se non sarebbe stato invece utile all’Italia, e addirittura auspicabile,  che un consesso internazionale già intento a risolvere importanti problemi,  affrontasse e risolvesse anche quello annoso dei rapporti fra Stato e Chiesa insorti all’indomani dell’unità d’Italia.
                                                                                  

 Padova 6-3-2016                                                                                                  Giovanni Zannini    

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