lunedì 29 settembre 2014

La guerra sull'Altopiano di Asiago - VISTA CON GLI OCCHI DEL NEMICO

L’opera scritta a due mani da P.Pozzato e R.Dal Molin “DALL’INTERROTTO ALL’ORTIGARA – La Maginot austriaca sull’Altopiano dei 7 Comuni”(stampato presso  Cierre Grafica  - Caselle di Sommacampagna  (VR) – Ed. Marzo 2012) contiene il diffuso, dettagliato rapporto dei fatti d’arme avvenuti nel 1916 sull’Altopiano di Asiago redatte dal Magg.Gen.Rudolf Mulller che comandò la 12° brigata di fanteria K.u.K. (mista, composta da soldati austriaci, Kaiserlich, imperiali, e ungheresi, Koneglich, regi) sull’Altopiano di Asiago.
In esso viene rievocata la brusca frenata della sin ad allora vittoriosa Strafexpedition che aveva portato gli austriaci  fin sul bordo estremo dell’altopiano di Asiago pronti a dilagare nella sottostante pianura padana, resa necessaria nella tarda primavera del 1916 dalla necessità di trasferire  sul fronte orientale russo (ove infuriava la sanguinosa “Battaglia di Luck” che poneva in pericolo gli stessi  confini della madrepatria austriaca) le migliori divisioni  “K.u.K” che avevano fin  ad allora partecipato alla travolgente avanzata che dovette, per tal motivo, essere arrestata.
La nuova situazione impose al Comando austriaco di conservare il terreno strappato agli italiani durante la travolgente avanzata e quindi  di spostare il proprio fronte dal limite estremo dell’altopiano prospiciente la pianura, poco difendibile,  e di arroccarsi, arretrando per circa 4/6 chilometri, su di una linea di resistenza più corta che andava dal Monte Interrotto al Monte Ortigara. Fu quindi necessario costruire una linea di resistenza a oltranza munita di fortificazioni campali che gli autori del libro non esitano a paragonare alla francese Linea Maginot della 2° guerra mondiale. In realtà, essa non fu  mai infranta nonostante i ripetuti, accaniti, sanguinosi, furibondi contrattacchi degli italiani che, in ossequio  ad ordini che oggi si possono ben definire criminali, furono massacrati a migliaia dinanzi alle invalicabili trincee austriache.
Una linea che si dimostrò robusta ed inattaccabile, ricca di ricoveri, caverne e trincee ben allestite  ma che essendo prima ed anche unica perché priva di altre linee arretrate, doveva essere difesa ad ogni costo e con qualsiasi mezzo, ivi comprese le forche che erano state erette all’inizio della Val Galmarara, monito per chi avesse cessato la resistenza e scelta la via della fuga dinanzi al nemico.
E’ certamente merito degli autori di aver pubblicato il rapporto  Muller scritto poco dopo la fine del conflitto allorchè i ricordi erano ancora ben vivi nella sua mente, che consente di conoscere da un nemico sostanzialmente obbiettivo e che non esita talora a riconoscere cavallerescamente il valore del soldato italiano, atti ed avvenimenti poco e forse per nulla noti in Italia.
Ci limitiamo qui a riportarne alcuni. 
Apprendiamo così che durante la terribile, imponente  nevicata dell’inverno 1916/1917 che scaricò sui monti dell’Altopiano di Asiago fino ad 8 metri di neve, gli austriaci, anziché spalarla dalle trincee, operazione lunga ed improba, preferirono ricavare nelle trincee stesse una serie di tunnel nei quali ad intervalli di 20 passi venivano aperti pozzi verso l’alto per far passare luce ed aria ed installare posti di osservazione.
Sfruttando tale modalità gli austriaci, durante lo stesso inverno, “per ravvivare la guerra di posizione e dare al nemico tutti i grattacapi possibili” mossero  alcuni originali attacchi contro le difese italiane creando  piccoli gruppi di incursori–assaltatori composti di  7/8 uomini armati, ad imitazione dei nostri “arditi”, di sole bombe a mano, pugnali e rivoltelle.
Furono scavate per essi, durante la notte, nella neve alta 8 metri, delle gallerie ad altezza d’uomo che arrivavano a ridosso delle trincee italiane ed a quel punto gli assalitori emergevano dai pozzi di uscita dai tunnel aggredendo di sorpresa i nostri soldati in trincea seminando morte e distruzione.
In uno di questi tentativi si verificò un fatto singolare che pur nella sua drammaticità assume aspetti umoristici.
Per infliggere più gravi danni al nemico con un maggior numero di assaltatori,  fu in un caso studiato un piano di attacco che prevedeva, per poter raggiungere le trincee italiane distanti 500 passi,  lo scavo di tre gallerie  correnti a distanza di  50 passi l’una dall’altra.
I due uomini addetti allo scavo della galleria di centro udirono ad un certo punto con sorpresa e preoccupazione il rumore di altre pale che scavavano nella neve e ritennero trattarsi di italiani che, informati delle loro intenzioni, stavano scavando una contro-galleria. Ecco il racconto del Col. von Ventour comandante del 17° Reggimento di fanteria che aveva autorizzato l’impresa :”…i due decisero di starsene tranquilli, con il pugnale in mano ed attendere fino a che non fosse comparso l’italiano per saltargli subito al collo finchè si udì chiaramente il rumore vicinissimo delle pale e dopo pochissimo tempo fece la sua comparsa una pala sulla quale, con rapida decisione, uno degli uomini si gettò afferrandola saldamente per trattenere l’italiano e poi gettarsi su di lui, allorchè dall’altra parte risuonò un inequivocabile ”Preklet hudic!” (maledetto demonio) e quando cadde il muro di neve che ancora li separava due soldati austriaci dello stesso 17° reggimento di fanteria si trovarono uno di fronte all’altro”.
 Cos’era successo?
 I due uomini addetti allo scavo di una delle gallerie a fianco di quella centrale, avevano “sbagliato strada”  e, invece di tirare diritto, avevano deviato verso quella centrale fino ad impattarla, con le conseguenze sopra descritte. Superato l’incidente, l’azione proseguì e, purtroppo per gli italiani, ebbe, secondo il comandante austriaco,  esito positivo mentre gli incursori austriaci ebbero a lamentare la perdita di un caporale.
“In questi mesi” scrive Muller, soddisfatto, “le nostre pattuglie d’incursori  ottennero splendidi successi sull’intero fronte italiano”.
Ma altri particolari sconvolgenti emergono dal suo rapporto.
Dopo uno dei loro disperati, inutili attacchi, i fanti italiani si ritirarono lasciando nel tormentato terreno denominato “terra di nessuno” esistente fra le trincee austriache e quelle italiane, un  gran numero di morti che spargevano un odore nauseabondo e penetrante per cui  ”…nella notte sul 10 luglio (1916) il nemico li cosparse di benzina e diede loro fuoco. Simili a delle fiaccole fiammeggianti queste colonne di fuoco illuminarono per tutta la notte la terra di nessuno”.
Poi, un inedito “affumicamento” provocato dagli italiani per tentare di snidare gli austriaci dalle loro trincee. “Nel settore nord dopo un fallito attacco il nemico,  in corrispondenza della zona della 9° compagnia, diede fuoco con i lanciafiamme  al bosco che la notte precedente aveva innaffiato con liquido infiammabile. Tra crepitii, scoppiettii e tuoni  il bosco bruciò per l’intera giornata…ma l’obbiettivo italiano non venne raggiunto perché la valorosa 9° compagnia resistette con coraggio…”.
Tra l’altro, da un episodio riportato nel rapporto, apprendiamo come, nella 1° guerra mondiale, i cani collaborarono con i soldati italiani nella difesa della patria.
 “…Nelle ore serali il caporalmaggiore Neumann cercò di snidare un saliente nemico. Si portò con i suoi uomini  fino a 30 passi dagli italiani. Tradita troppo presto da un “cane da trincea” e scoperta, la pattuglia dovette ripiegare dopo la morte del suo caporalmaggiore che tanto spesso si era distinto…”.
Evidentemente, gli italiani erano riusciti a militarizzare perfino i cani.
Ma fra tanta ferocia, anche qualche segno d’umanità.
Dopo un’ intensa giornata di feroci combattimenti,  “…la notte una serie di ambulanze italiane si portò attraverso Rodighieri e  Bosco fin davanti alla nostra linea per recuperare gli innumerevoli feriti e sgomberare i cumuli di cadaveri: neppure un colpo austriaco” sottolinea la relazione, “disturbò questo nobile dovere cameratesco”.
Infine, la pietà.
Così il Magg.Gen. Muller conclude la sua rievocazione: “Fu grazie all’intima collaborazione  del Cappellano Steiner, dei Ten. Loschnig e Wurtinger,  e di molti volontari, che venne realizzato un grazioso cimitero sull’Interrotto. In una radura solatia ed amena, curati ed assistiti dall’amore dei camerati, dormivano il loro sonno  i fedeli, indimenticati eroi del reggimento. Il Ten.Loschnig…venne proposto dal reggimento  per la croce d’onore  per gli ufficiali di II classe della croce rossa  col rango di cavaliere”.
Se la proposta fu accettata,  mai medaglia fu più meritata.
                                                                                                                                      Giovanni Zannini     

          

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