L’affermazione è solo apparentemente
esatta.
Il “Regolamento interno del Gran
Consiglio del Fascismo” approvato all’unanimità dallo stesso
consesso nella seduta del 9 aprile 1929 , coperto da segreto di stato
per tutto il periodo fascista, sin qui inedito ed attualmente in mio
possesso, prevedeva in effetti il diritto di voto dei consiglieri
regolato dettagliatamente nel paragrafo “Delle adunanze” agli
articoli da 11 a 17.
Ma, in realtà, tale apparente cascame
di democrazia veniva brutalmente annullato dall’art.2 del
Regolamento stesso che prevedeva un vero e proprio diritto di veto
del Capo del Governo Presidente del Gran Consiglio il quale “ha
facoltà di interrompere in ogni momento la discussione su qualsiasi
questione e di sospendere la esecuzione delle deliberazioni del
Gran Consiglio”.
Viene da chiedersi perchè Mussolini
non si sia avvalso di tale potere nella drammatica seduta del 24
luglio 1943 in cui la maggioranza approvò l’ordine del giorno
Grandi a lui sfavorevole.
Forse perché, stressato dall’esercizio
di un potere assoluto protrattosi per vent’anni e reso
consapevole del suo fallimento dall’invasione della Sicilia da
parte degli alleati, non ebbe più la forza di affrontare i nuovi
drammatici problemi che sarebbero derivati dal suo “veto” e
preferì percorrere la strada in allora costituzionale aperta dal
voto del Gran Consiglio per rimettersi in extremis in carreggiata
sulla via di quella democrazia a suo tempo combattuta e vilipesa
nella speranza di una sua uscita meno traumatica dal pantano in cui
era andato a cacciarsi.
Da quanto precede emerge anche
discutibile che si possa qualificare colpo di stato quanto avvenne in
Italia nel luglio 1943 nel rispetto di una procedura che era stata
acutamente prevista, in tempi non sospetti - 1940 – da Paolo
Biscaretti di Ruffia, libero docente di diritto costituzionale
nell’Università di Roma,
Nel suo “Le attribuzioni del Gran
Consiglio del Fascismo” egli scriveva infatti, lucidamente, che il
Gran Consiglio, “solito a collaborare in diretto contatto con il
Capo del governo, entra in contatto con la Corona soltanto in quegli
estremi momenti in cui è in gioco il destino della nazione quando il
Sovrano, supremo arbitro della corrispondenza di un determinato
indirizzo politico alle necessità più vitali della collettività
nazionale, deve addivenire alla nomina di un nuovo Capo del governo”.
E’ quanto precisamente avvenne il 25
luglio: il Re, preso atto del voto del Gran Consiglio – terzo
organo costituzionale, con la Corona ed il Capo del Governo , dello
stato fascista - convoca Mussolini ed in base all’art 65 dello
Statuto Albertino in allora ancora vigente in base al quale “Il
Re nomina e revoca i suoi ministri “, gli revoca la nomina a
Primo Ministro e nomina, al suo posto, Pietro Badoglio.
Senza che si sia sparato un sol colpo
di pistola:
E’ dunque giusto continuare a parlare
di “Colpo di stato del 25 luglio 1943?”.
Giovanni Zannini
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