mercoledì 29 agosto 2012

Dario Leli: un marinaio nella Resistenza.PER L'ITALIA IN MARE E IN TERRA



Dario Leli:  un marinaio nella Resistenza
PER L’ITALIA IN MARE E IN TERRA.

Era dura la guerra in quel lontano 1944, e le sue sorti non erano certo favorevoli all’Italia, colpita dall’aviazione alleata in ogni punto del suo territorio.
Ed era anche arrivata a nord, al confine fra la Sardegna italiana e la  Corsica francese, nell’arcipelago delle isole della Maddalena sede dell’Arsenale,  importante obbiettivo strategico per  chi voleva distruggere il naviglio italiano  ed eliminare i suoi coraggiosi equipaggi.
Sabato 10 aprile 1943  si scatena l’infernale bombardamento aereo americano che devasta la base distruggendo la Caserma Faravelli  ove sono acquartierati gli equipaggi.
Dei due incrociatori pesanti alla fonda, il “Trieste” è affondato ed il  “Gorizia” gravemente danneggiato.
I sommergibili in rada  “Mocenigo”, “Aradam”, “Topazio” e “Sirena” non sono colpiti (salvo, leggermente, il primo), ma i loro equipaggi, scesi a terra ove non esistono rifugi, subiscono importanti perdite: 1 morto e due  feriti  del “Mocenico”, 3 morti e 10 feriti del  “Sirena”, 1 disperso e 1 ferito del “Topazio”, 2 i feriti dell’”Aradam”.
Le macerie coprono i corpi delle vittime  e da esse  si levano  i lamenti dei feriti.
Dario Leli, un robusto giovanotto ventenne imbarcato come radiotelegrafista sul  “Sirena”, miracolosamente illeso, si prodiga per prestare soccorso ai feriti e fra questi intravvede   il suo Comandante, il Tenente di Vascello Luciano Garofani che, gravemente ferito alla  gamba destra, è semincosciente ed in   preda ad una grave emorragia.
Nella confusione generale, lo conforta e tenta di  arrestare il sangue che esce a fiotti dalla ferita, ma ben presto si accorge che  non potrà far nulla per salvarlo, e che occorre trasportarlo all’ospedale militare distante mezzo  chilometro. Ma come? Se lo carica sulle spalle ma si rende conto che non ce l’avrebbe fatta con quel peso addosso a raggiungere la meta ed allora, disperato, vista in mezzo alle macerie  una carriola, vi carica sopra il corpo inerte ed inizia la corsa disperata.  La fatica è immane, ma i lamenti del ferito che ad ogni sobbalzo del rudimentale mezzo di trasporto escono dalla sua bocca  gli dicono che deve farcela ad ogni costo, e l’ospedale è raggiunto. Ma non è finita, anche lì la confusione è massima, e, nonostante le sue proteste per l’evidente pericolo di vita in cui versa il ferito,  gli ordinano di mettersi in coda.  Allora, fuor di sé, ricorre ad un’azione che in altri momenti  mai avrebbe osato fare: si apparta e approfittando del caos, toglie di dosso al suo Comandante la divisa, la indossa, e con l’autorità delle stellette da ufficiale pretende ed ottiene che l’uomo che egli afferma essere un suo marinaio,  dissanguato e sfinito  dal  trasporto che lo ha straziato, venga immediatamente portato in sala operatoria.
La sua vita sarà  salva ed il dramma vissuto assieme (che meritò a Dario Leli due medaglie di bronzo) crea fra di essi un legame indissolubile che si scioglie solo quando il 12 novembre 1978 l’ex Comandante Luciano Garofani dà l’estremo saluto al  suo ex marinaio Dario Leli che, colpito da grave malattia, lascia questa terra. 

L’astuzia di “Margot”

Ma dopo il fatale 8 settembre 1943, Dario Leli non si era arreso alla sconfitta, aveva deciso di  dare un contributo alla lotta di liberazione dell’Italia, ed aveva continuato la sua guerra non più in mare, ma nella pianura padana ove tedeschi e  fascisti  gli diedero una caccia spietata alla quale riuscì sempre a sfuggire, con il coraggio e l’intelligenza  appresi alla scuola del suo amato “Sirena”.
Raggiunto il sud-Italia , nel territorio  già liberato dagli alleati e sotto la sovranità del re Vittorio Emanuele, accoglie l’invito di Ferruccio Parri, che lo conosceva e ne apprezzava il coraggio e l’intelligenza, ad arruolarsi in una delle ”Missioni Militari” che venivano paracadutate in alta Italia per tenere i collegamenti fra gli anglo americani avanzanti da sud ed i partigiani che nell’Italia settentrionale combattevano contro i nazifascisti che la occupavano, fornendo ai comandi alleati preziose informazioni sul movimento delle truppe nemiche, la loro consistenza, il loro armamento, e quant’altro di importanza strategica.
Si trattava  per lo più  di formazioni miste di italiani ed anglo americani – ma non mancarono, come si vedrà, quelle composte da soli italiani,  militari ma anche civili - normalmente composte  da un comandante, un vice-comandante, un interprete, un radiotelegrafista ed un armiere.
Ecco i nomi di alcuni capi missione inglesi: magg.John P.Wilkinson "Freccia" che operò sull'Altopiano di Asiago morendo poi in combattimento a Tonezza;  cap. Paul Newton Brietsche che operò sul Grappa anche se, per la verità,  fu molto criticato per aver ordinato l'impossibile difesa sulla cima della montagna durante il rastrellamento del 20/26 settembre 1944;  cap. Harold W. Tilman (radio "Simia")  lanciato sull'Altopiano di Asiago con destinazione Cansiglio - noto scalatore, terminata la guerra conquistò molte vette e finì disperso sulle montagne dell' Himalaia.
Essi avevano il compito di istruire i partigiani  italiani  sull'uso delle armi alleate che venivano loro  paracadutate, di inquadrare militarmente uomini coraggiosi ma poco inclini all'ordine ed alla disciplina, di studiare azioni di “commando” per sabotare impianti militari, linee di collegamento ferroviario, ponti e strade,  di accogliere nuove “Missioni”,  porre in  salvo piloti di aerei alleati abbattuti ed ex prigionieri  alleati  che, dopo lo sfascio dell’esercito italiano, l’8 settembre 1943 si erano trovati improvvisamente liberi ma privi di ogni assistenza e soggetti alla caccia feroce dei nazifascisti.
Dario viene sottoposto ad accurata, dura preparazione: lunghe ore di volo in addestramento ed  in zona di guerra,  lanci col paracadute. Alla  fine,  nel luglio 1944, quello decisivo  - che gli fa meritare la medaglia d’argento - nel buio della notte, verso l’ignoto, senza alcun ricevimento organizzato a terra, nel Veneto pullulante di nemici: l’obbiettivo non è centrato,  tocca terra a 50 chilometri di distanza  ma riesce a raggiungere a Mestre la Missione cui è destinato.
Si tratta della  “Hollis”, una delle poche composte esclusivamente da italiani,  dipendente dal O.S.S. (l’americano “Office Of Strategic Service”), con a capo l’ing. Pietro Ferraro di Venezia (“Antonio”), un industriale che non esitò a mettere in pericolo la sua vita ed i suoi interessi  per la liberazione dell’Italia. Al suo arrivo Dario Leli (questo il suo vero cognome erroneamente indicato "Lelli" nella documentazione militare che lo riguarda) assume il nome di battaglia di “Margot” ed a conferma dell’importanza attribuita alla sua collaborazione la Missione  -  la cui attività non interessò solo il Veneto, ma si estese anche ad altre zone e   fu fonte di preziose informazioni per i comandi alleati che la definirono “una delle più importanti del nord Italia” -  verrà denominata “Hollis-Margot”.
Eloquente l’attestato 18 maggio 1945 rilasciato dall’O.S.S : ” Si dichiara che Dario Leli è stato un dipendente del Governo degli Stati Uniti dal 24 gennaio 1944 ad oggi. I suoi servizi  a favore del Quartier generale furono molto preziosi per la causa degli Alleati e si intende qui esprimere l’apprezzamento della sua opera a favore degli Stati Uniti”. 
Fra i componenti di questa Missione va ricordato il giovane padovano dr.Luigi Amati residente in città in via  Risorgimento 10 e poi in via Savonarola, la cui preziosa opera viene così descritta nella scheda in cui l'ing. Ferraro "Antonio" ha, dopo la Liberazione, documentato il contributo dato dai suoi collaboratori: "...Ha rinunciato a quasi tutto il suo lavoro di inventore e tecnico nel campo delle materie plastiche, del cinema a colori e del magnesio metallico, settori in cui possiede numerosi brevetti, per garantirmi il funzionamento della radio...I primi contatti a distanza furono fatti dal Dario Lelli  dopo che il dr.Amati gli diede precise istruzioni...Organizzò il funzionamento tecnico  delle diverse radio nel bellunese e nelle varie sedi delle zone di Padova, Treviso, Venezia. Provvide a tutte le riparazioni , al trasporto dei vari materiali , si procurò i pezzi di ricambio,  fece tutte le prove necessarie per il buon funzionamento,  incurante del grave pericolo derivante  da questa sua continua e intensa attività...Senza di lui avrei trasmesso la metà delle notizie...".
Dura la vita dei  componenti la Missione,   continuamente costretti a cambiare i luoghi da cui l'esperto Sottocapo  r.t. della Marina italiana spedisce i suoi messaggi: repubblichini e tedeschi gli  danno  una caccia spietata, ma  Dario è imprendibile e sfugge a ben 7 rastrellamenti nel bellunese e nella zona di Preganziol.
A Padova l’apparecchio dell’intrepido “Margot”, ospitato dall’ing.Marino Bertolini che mette coraggiosamente a disposizione il suo appartamento in città, in via S.Tomaso Beket n.2, viene radiogoniometrato e gli uomini del famigerato maggiore delle S.S. italiane Mario Carità, capo della banda omonima che così triste ricordo ha lasciato nella città del Santo,   vi irrompono. I partigiani si salvano da una uscita secondaria, ed i repubblichini trovano in casa solo una giovane signora (la moglie dell’ing.Bertolini) con il figlioletto, che, terrorizzata, chiede ed ottiene il permesso di uscire, permesso che le viene concesso di buon grado perché, pensano gli altri,  è meglio aver libertà di movimento senza donne, bambini, ed i loro strilli, fra i piedi.
Ed è così che la donna  passa sotto il naso dei fascisti spingendo la carrozzina con sopra il bimbo adagiato sul materassino sotto il quale “Margot”, prima di tagliare la corda, d’accordo con  la coraggiosa signora,  aveva nascosto la sua piccola  radiotrasmittente che fu così salva e continuò  a svolgere la sua preziosa attività.
Ecco perché l’attestato  dell’O.S.S. evidenzia “il coraggio e l’intelligenza” di Dario Leli riconoscendo che “la sua prima preoccupazione era di salvare gli apparati e garantire la continuità del servizio”.
Ora i figli  Gemma,  Claudio e Giacomo  Leli custodiscono gelosamente questo prezioso reperto (foto  a fianco) assieme ad altri documenti e foto del loro padre Dario, Sottocapo r.t. della Marina imbarcato sul sommergibile “Sirena”,  il  mitico “Margot” della Resistenza Italiana.

                                                                                                                               Giovanni  Zannini 
   

1 commento:

  1. Un ringraziamento sentito al Dr. Zannini per la esposizione nella ricostruzione di mio padre Dario durante la resistenza partigiana in Veneto, e il servizio militare in Marina come RT sul sommergibile Sirena.
    un cordiale saluto Claudio Leli

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