lunedì 8 novembre 2010

IL NO DI GARIBALDI A LINCOLN


A Garibaldi, si sa, piaceva l’avventura e, quand’era l’ora, le decisioni le sapeva prendere rapido e veloce.
Ma quella volta……...
Nell’America del Nord, all’interno della  “Unione degli Stati Uniti d’America” la discussione sul problema dell’abolizione della schiavitù era iniziata fin dai primi  anni del 1800 e vedeva contrapposti gli stati del Nord favorevoli alla sua abolizione, e quelli del Sud che volevano mantenerla.
Alla fine, dopo la vittoria di Abramo Lincoln nelle elezioni presidenziali la rottura avvenne, e fu devastante:  l’8 febbraio 1861 gli Stati del sud lasciarono l’”Unione” e costituirono la nuova “Confederazione degli Stati Americani”.
La spaccatura vide quindi contrapposti  gli   “Unionisti” ( gli stati rimasti fedeli all’”Unione”) ed  i “Confederati ( quelli che avevano aderito alla nuova “Confederazione”):      ed i cannoni di questi ultimi  che il 12 aprile 1861 spararono nel porto di Charleston contro il forte Summer sede dell’autorità legittima , diedero inizio a quella sanguinosa guerra civile che in 4 anni  coinvolse oltre 2 milioni  di combattenti provocando migliaia di vittime e danni  incalcolabili.
A capo dell’esercito nordista  il  gen.Ulysses  S. Grant, di quello sudista  i generali Robert E Lee e Thomas J. Jackson (il leggendario “Muro di pietra” morto nella sanguinosa battaglia di Chancellorsville nella quale era riuscito a battere l’esercito avversario).
 In Italia,  Garibaldi, in quello stesso periodo (inizi 1861), è tranquillo : il 26 ottobre dell’anno precedente,  a Teano, ha consegnato a Vittorio Emanuele II il sud  Italia da lui liberato; il 7 novembre, a Napoli, ha rimesso il suo potere  dittatoriale  nelle mani del Re ed il 9 successivo si è imbarcato per Caprera per riprendersi dalle fatiche della recente impresa  anche perché l’artrite che lo tormenta da tempo (e che, fortunatamente,  durante la spedizione dei Mille non si era fatta viva forse per il clima caldo della Sicilia e del Mezzogiorno), è tornata a farsi sentire.
Ma non sta in ozio, e si dedica in modo particolare al problema di dare una sistemazione a quei volontari (ancora inquadrati nel cosiddetto “Esercito Meridionale”) che con lui hanno liberato l’Italia del sud e che vorrebbe immessi nell’esercito regolare  incontrando però la resistenza  di quanti temevano che, ove ciò avvenisse, l’immissione di militari improvvisati avrebbe finito (secondo  Alfonso Scirocco nel suo “Garibaldi – Battaglie, Amori, Ideali di un cittadino del mondo”)  per “inquinarne la disciplina e la professionalità”.
E allorchè si parla di scioglimento dell’”Esercito Meridionale”,  Garibaldi si precipita a Roma ed  in Parlamento   pronuncia una violenta filippica contro i promotori di questa  proposta, provocando la  dura reazione del  gen. Cialdini che rischia di degenerare in un duello fortunatamente  evitato dall’intervento di amichevoli pacieri.

L’offerta

In questo clima arriva a Garibaldi, nel  giugno 1861, una lettera del Console statunitense ad Anversa che, come scrive  Scirocco,  “autorizzato dal suo governo”  - e quindi da Lincoln - gli offre “un comando nelle armate nordiste” affermando che “migliaia di cittadini americani si glorierebbero di  mettersi agli ordini del Washington d’Italia”.
La lettera è l’ennesima conferma dell’enorme  popolarità di Garibaldi nel mondo, ed in particolare nel continente americano, ove è vivissimo il ricordo delle battaglie da lui sostenute  per anni in Sudamerica per l’indipendenza del Rio Grande do Sul contro il Brasile e dell’Uruguay contro l’Argentina.
Con ciò, evidentemente,  i Nordisti   sfruttando l’aureola che circondava la fama leggendaria dell’Eroe dei due Mondi,  speravano che, in caso di  accettazione della loro proposta un gran numero di  combattenti sarebbero giunti ad ingrossare le loro fila.
Garibaldi,  però, questa volta, non decide, prende tempo e fa sapere che avrebbe considerato  l’offerta americana solo se il Re non avesse richiesto i suoi servigi: ed è  strano, diciamolo,  che egli vada  a farsi consigliare proprio da  Vittorio Emanuele II che in più occasioni aveva manifestato ben scarsa simpatia (per non dir altro) nei suoi confronti.    
Ed ecco  la lettera di Garibaldi al Re:” Il Presidente degli Stati Uniti mi offre il comando di quell’Esercito; io mi trovo in obbligo d’accettare tale missione per un paese , di cui sono cittadino. Tuttavia, prima di risolvermi, ho creduto  mio dovere d’informare la Maestà Vostra  e sapere se crede che io possa avere l’onore di servirla”.
La risposta del sovrano non stupisce:”Caro Generale, per quello che riguarda d’assumere il comando che gli ha offerto il governo degli Stati Uniti, mi pare che deve seguire gli impulsi della sua coscienza verso l’umanità sofferente.  Caro Generale, qualunque sia la sua determinazione, io sono bene sicuro che non dimenticherà la patria italiana  come io non dimenticherò mai la sua amicizia”.
E’ chiaro che il Re, lasciandogli mano libera, ed anzi facendogli  comprendere che appoggiava l’ accettazione  della proposta americana,  coglie la palla al balzo per liberarsi di un personaggio che, è vero, gli è stato assai utile, ma anche gli aveva dato, con i suoi colpi di testa e la sua imprevedibilità,  molti grattacapi,  ed altri  avrebbe potuto procurargliene  in futuro.
Aprendo una piccola parentesi  grammaticale, sia consentito osservare, sia pure con tutto il rispetto per l’augusto mittente,  che al posto di quel “gli” ci sarebbe dovuto stare un “Le”.
Venendo poi alla lettera di Garibaldi a Vittorio Emanuele,  si osserva che essa conteneva un’imprecisione perché, in realtà i Nordisti  gli avevano  offerto non “il” comando delle loro armate, sibbene “un comando”, ossia di una parte di esse, forse un  esercito di volontari non si sa quanto grande, adatto alla guerra per  bande nella quale  Garibaldi era maestro indiscusso.
E’ quanto avverrà una diecina d’ anni dopo allorchè,   giunto, in nome della libertà dei popoli,  in  Francia per difenderla dall’invasore prussiano,  venne messo a capo di una variopinta ”Armata dei Vosgi” composta da uomini di ogni razza (italiani, spagnoli, polacchi, egiziani, tunisini, greci,  inglesi) e male organizzati  che però, galvanizzata dall’esempio e  dal  fascino indiscusso che emanava dalla persona di Garibaldi, seppe dare severe lezioni   a truppe scelte come quelle prussiane.   
In realtà la proposta americana non lo invoglia perché lo avrebbe distratto da altre imprese che  andava meditando per completare l’unità d’Italia (Roma capitale, la liberazione del Veneto), e pur avendo avuto  le mani libere dal Re, cerca e trova nuovi pretesti.

Un no cortese ma fermo.

Anzitutto, pretende “il” comando di tutte le forze nordiste e non solo di una parte (richiesta chiaramente assurda che avrebbe fatto passare il gen. Grant ai suoi ordini); poi, che Lincoln proclami immediatamente l’abolizione della schiavitù  invece di limitarsi a proibirne l’estensione negli stati in cui non era praticata, affermando che  la questione andava risolta col tempo.
Le due condizioni vengono respinte e la trattativa viene abbandonata.
 Sul rifiuto di Garibaldi influirono certamente le pressioni dei democratici italiani preoccupati che con l’allontanamento del loro esponente più prestigioso si arenassero molte iniziative che si andavano covando.
Resta da chiedersi se,  ove Garibaldi avesse accettato l’offerta di Lincoln,  avrebbe potuto influire sull’esito della guerra civile americana.
 La risposta è ardua ma non è azzardato affermare  che il suo proclamato impegno  per l’abolizione della schiavitù (ricordiamo che uno dei suoi  fedelissimi, una specie di guardia del corpo, era il negro Agujar  da lui liberato con molti altri durante le guerre sudamericane, che si era portato dietro allorchè nel 1848 aveva lasciato l’America per raggiungere l’Italia , e che morì a Roma nel 1849 combattendo per la libertà della Repubblica Romana);   la sua aureola d’ invincibilità; il  fascino che trascinava gli uomini  all’attacco,  la sua tecnica di combattimento anomala ed imprevedibile che scompaginava  eserciti ligi ai manuali di strategia militare e che avrebbe potuto  impiegare  nelle vaste pianure dell’America del Nord così come aveva fatto vittoriosamente nelle sconfinate pampas sudamericane,    ed un coraggio ai limiti della temerarietà,  avrebbero  forse potuto  accelerare la vittoria  della civile America del nord  sui retrivi conservatori  schiavisti del sud.
                                                                                Giovanni Zannini       

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