domenica 16 dicembre 2012

PALESTINA, LA SCELTA DISCUTIBILE DEGLI EBREI


Gli ebrei sono molto, ma molto più intelligenti  di noi cristiani.
Sparsi per il mondo,  senza una patria ove coltivare la propria terra o costruire la propria casa, malvisti, e talora perseguitati  per una maledizione  solo oggi, e tardivamente, revocata,  non restava loro che contare sul proprio cervello, e con pochi o nulli quattrini, ma con molta  fantasia e  inventiva,  sono riusciti a campare  in genere  piuttosto bene e, in molti casi, ottimamente.
Per cui non si  comprende come mai  gente così intelligente, esperta,  conoscitrice delle migliori tecniche  previsionali, ricca di informazioni di ogni genere ed in grado di effettuare simulazioni  attendibili,   abbiano deciso, dopo la drammatica esperienza della “shoa”, di gettarsi nella trappola medio-orientale.  
Non è infatti difficile prevedere che, se si pretende di entrare a forza in casa d’altri, il proprietario si ribelli, e neppure può costituire titolo sufficiente per costruirsi la patria una promessa divina,  che, per quanto  suggestiva, non costituisce,  a tutt’oggi, titolo valido per il diritto internazionale.
Senza contare, diciamolo,  che se si considera, ed è grave,  la responsabilità degli Jugoslavi di aver spinto a suo tempo all’esodo dall’Istria 350.000 italiani, altrettanto grave è la responsabilità degli ebrei di aver spinto fuori dalle loro terre oltre mezzo milione (c’è chi dice di più), di  palestinesi.  
Ma,  dicono, alcune parti di quella terra ce la siamo comperata.
Appunto,  ma come è possibile che gente esperta, anzi, espertissima,  negli affari, abbia voluto fare un investimento così pericoloso ed a così alto rischio?
Non sarebbe stato meglio cercare con pacifiche trattative,  anche con l’aiuto delle autorità internazionali, soluzioni  concordate con altri stati per aderire al legittimo desiderio di patria del popolo ebreo?
Non dimentichiamo  che Theodor Herzl, alfiere della riunificazione del popolo ebreo, si era dato dattorno, ai primi del 900, per risolvere il problema trattando con diversi governi per ottenere pacificamente un territorio (il cosiddetto “focolare”) in cui insediare lo stato ebraico.
Ricordiamo la trattativa degli anni 1902/1903 con il governo egiziano disposto a consentire un insediamento ebraico  nella penisola del Sinai  al confine con la  Palestina del sud, fallita  perché tale soluzione fu ritenuta irrealizzabile per la mancanza di risorse idriche. E come è da rimpiangere che all’epoca non esistessero quegli impianti per la dissalazione dell’acqua marina che hanno poi consentito alla intelligenza, allo spirito di sacrificio, all’operosità  degli ebrei e grazie ai dollari dei loro correligionari statunitensi,  di trasformare le sabbie della Palestina in terre fertili e redditizie ! Quale soluzione sarebbe stata, infatti, migliore, tenuto conto della contiguità con la Palestina tanto cara alla memoria ebraica?
Inoltre Herzl estese le sue ricerche anche alla Russia, così ricca di territori incolti, all’Argentina, e perfino agli Stati Uniti, e nell’agosto 1903  il 6° Congresso Sionista accettò, sia pure  in via provvisoria, l’offerta del governo inglese  di un vasto insediamento ebraico in Uganda allora sotto sovranità britannica. Ma,  dopo la morte di Herzl, l’8°  Congresso Sionista, nel 1905,  ribaltò la situazione e l’offerta britannica fu respinta.
A proposito della “localizzazione” degli ebrei, è curioso rilevare  che  nel 1938 il Gran Consiglio del Fascismo non  escludeva la possibilità di concedere, anche per deviare la immigrazione ebraica dalla Palestina,  una controllata immigrazione di ebrei europei in qualche zona dell’Etiopia. E ciò sia per evitare il sorgere di uno stato ostile all’Italia fascista alle sue frontiere (dato che il Dodecaneso all’epoca,  era pur sempre Italia), sia per simpatia verso “l’Islam con il quale l’Italia, massime dopo la conquista dell’Etiopia è in rapporti cordiali e promettenti”, e per solidarietà verso gli arabi ai quali “gli ebrei hanno portato via tutto”. (v. Antonio Spinosa – “Mussolini razzista riluttante” – Oscar storia – Mondadori).
Ma,  invece di proseguire sulla strada di una ricerca pacifica che, nel dopoguerra, la comunità internazionale avrebbe certamente favorito quale doveroso risarcimento dopo il   dramma della Shoah, prevalse la tesi dell’insediamento violento in Palestina dimenticando che, come stabilito dalla Carta Atlantica del 1941 ogni modifica territoriale avrebbe dovuto aver luogo d’intesa con i popoli interessati.
La conseguenza è quella che è sotto i nostri occhi:  una “guerra dei 60 anni” nella quale (scrive Carlo Cardia su “Avvenire del 22 novembre scorso) “la popolazione d’Israele  vive nella precarietà perenne della propria esistenza senza poter prefigurare il futuro e la popolazione palestinese ha solo la certezza di un presente di povertà e guerra intermittente, e dell’assenza di uno stato che ne definisca identità e sviluppo”.
Mentre sempre più alto e frequente è l’invito dei palestinesi agli israeliani:”Potete scegliere se restare all’inferno o scappare. Tornate in Germania, Polonia, Russia, America”  (dove risiede tuttora la maggior parte degli ebrei al mondo).
Un tragico invito oggi irrealizzabile, ma che attesta quanto grave sia stato l’errore degli ebrei (e della comunità internazionale influenzata dalla potentissima “lobby”  ebraica che lo favorì) di volersi costruire una patria in casa d’altri.
                                                                                                     Giovanni   Zannini                   

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