Suvvia,
non si dice un sorriso, ma almeno un piccolo incresparsi delle
labbra, un accenno meno cupo dello sguardo, una movenza gentile, non
meccanica, del corpo.
Invece
no, il ”tanguero” e la “tanguera” (si dice così?) si agitano
ingrugnati in una maratona di passi, passetti e passettini, nello
scodinzolare delle caviglie di lei e nell’incedere complicato di
lui, tesi, assorti in quello da essi ritenuto, ma non è, un rito
drammatico, e solenne.
Ma
cosa pensano, i “tangueros”? Oppure non pensano a nulla? Certo,
non si divertono, anzi, si direbbe, dalle loro facce, che siano
profondamente scocciati e che non vedano l’ora di guadagnarsi un
po’ di pace e di tranquillità con il cessare del frastuono del
”bandaneon”.
E
allora, perché? Forse, proprio per non pensare a nulla, tutti presi
dalla perfezione del passo e dalle complicate mossette del capo e
degli arti e dal perenne ondeggiare del bacino, di lei, e
dall’esibizione muscolare di lui che prima scaccia la compagna e
poi la riafferra avviticchiandosi a lei, dimentichi della vita grama
del presente e di quella altrettanto grama dell'indomani.
E’
la speranza che manca ai “tangueros”, che trasforma la danza in
un mortorio dominato dal ritmo di toni bassi, ossessivi, che li
schiacciano su quella terra dalla quale vorrebbero, ma non possono,
evadere.
Padova 7-6-2018
Giovanni
Zannini
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