Sia ben chiaro: non ce l'ho con gli
italiani accorsi entusiasti, sventolando la bandiera della libertà
con lo stesso entusiasmo con cui Garibaldi teneva alta la sciabola
sul Gianicolo, per assistere alla proiezione di “Ultimo tango a
Parigi” restaurato, dopo che diversi anni fa era stato ritirato
dalle scene a seguito di una sentenza della Cassazione che l'aveva
definito uno “spettacolo di pansessualismo fine a sé stesso”.
Perchè, quando ti mettono sotto il
naso un piatto invitante, condito con spezie piccanti, anche se è
un po' indigesto, la voglia di assaggiarne un boccone ti viene.
Me la prendo invece con quei
cinematografari, con quei giornalisti, con quei cosiddetti
intellettuali che insistono, pur dopo quanto le cronache hanno
rivelato, a considerare capolavoro quel film che è stato viceversa
solo un'abile operazione di affarismo commerciale. Quegli stessi che
si sono esibiti in lodi sperticate dei film della Bardot quando lei
stessa ha riconosciuto che uno solo dei numerosi films erotici da lei
interpretati ed elogiati da una critica servile e compiacente, vale
un riconoscimento artistico.
Essi dimenticano che Indro Montanelli,
non certo sospetto di eccessivo moralismo, affermava che “non
merita la libertà chi ne fa un uso indegno...” e che non è
libertà quella “spinta fino alla licenza, all'indecenza ed
all'oltraggio al pudore” concludendo che “in fondo a questa
strada non c'è la libertà, ma la sua morte e la fine”.
Come pure che il presunto capolavoro,
candidato all'Oscar, ebbe, da quelli che di cinema un po' se ne
intendono, una solenne bocciatura.
E ancora: essi non ricordano, o fingono
di ignorare, che Marlon Brando scrive nella sua biografia: “ho
sempre pensato che fosse un film eccessivo, ancor oggi non so dire
dove stia il succo” smentendo clamorosamente gli illustri
cinematografari che in esso scoprono il capolavoro, mentre è
solo il simbolo del più spregevole e vieto sfruttamento del richiamo
sessuale ad uso di meri interessi commerciali.
Per tacere del torbido retroscena, al
limite del codice penale, che si agita dietro la lavorazione del
film, descritto dalla sua principale interprete, l'allora
diciannovenne Maria Schnaider (che a fronte di incassi milionari ebbe
un compenso di soli 5.000 dollari e che poi trascinò una vita
disperata): “Mi hanno quasi violentata. Quella scena (che descrive
una sodomizzazione – ndr) non era prevista dalla sceneggiatura. Io
mi sono rifiutata, mi sono arrabbiata. Ma poi non ho potuto dire di
no...all'epoca ero troppo giovane...così fui costretta a sottopormi
a quella che ritengo essere stata una vera violenza. Le lacrime che
si vedono nel film sono vere. Sono lacrime di umiliazione”.
E il regista Bertolucci? ”Si, sono
stato colpevole con la Schneider ma non potranno portarmi in
tribunale per questo”. E solo dopo la sua morte ammise che avrebbe
voluto “chiederle scusa”.
Troppo tardi, sig. Bertolucci!.
Padova 4 giugno 2018.
Giovanni Zannini
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