Con l’accostare il nome del nostro attuale Presidente del Consiglio a
Martin Lutero si desidera solo evidenziare l’analogia comportamentale fra il grande riformatore religioso tedesco
del 1500, e quello politico
italiano dei giorni nostri.
La riforma protestante, infatti, non nacque all’improvviso nella mente di Lutero, ma fu il frutto della maturazione di idee che da tempo erano
germinate nell’ambito della chiesa cattolica, e dal desiderio di dar loro
attuazione.
Come, ad esempio, l’accordo (passato alla storia con il nome di
“compattata di Trento”), raggiunto nel 1363 fra il Principe Vescovo di Trento ed il Duca del Tirolo con il
quale si sancì il principio della divisione dei poteri
ponendo fine all’autorità del Principe-Vescovo
in campo civile, realizzando in tal modo un principio che avrebbe dovuto essere (e non fu) epocale ed innovatore per tutta la Chiesa.
O il Concilio Ecumenico di
Basilea che nel 1436 ratificò l’accordo
(la “compattata di Praga”) sulle formulazioni
contenute nei cosiddetti “quattro
articoli di Praga” del 1420 (fra l’altro, la povertà del clero e la rinuncia ai
beni materiali), decisione ahimè revocata nel 1466 da Papa Paolo II che soffocò sul nascere le speranze dei cattolici illuminati desiderosi di por fine ad ingiustizie e scandali.
E come non ricordare il
sacrificio di Gerolamo Savonarola che dopo aver tuonato contro la corruzione, l’immoralità, l’ambizione ed il lusso
del clero, pagò nel 1498 con la vita, ad opera di coloro che vedevano
dalla sua azione messi a rischio i propri interessi e gli indebiti benefici
acquisiti, la sua ansia di ripulire e rinnovare la Chiesa?
Ecco allora Lutero, stanco di
tentativi falliti, di promesse non mantenute, di sacrifici sofferti da chi voleva porre rimedio alla drammatica
situazione in cui la Chiesa versava, rompere gli indugi ed affiggere sulle
porte dalla chiesa del Castello di Wittemberg le sue famose famose 95 Tesi che
costituirono l’inizio della Riforma Protestante.
E’ allora azzardato paragonare
il comportamento politico dell’odierno Presidente del Consiglio italiano con quello
del riformatore religioso tedesco di sei secoli fa?
Pari la critica per il tempo
perduto, per le promesse non mantenute,
per il disinteresse di chi avrebbe avuto
il dovere di intervenire e non lo fece, per i
rinvii, per le giustificazioni addotte allo scopo di mantenere uno statu
quo non più sostenibile, pari la
decisione di dire: basta! .
Pari la volontà di realizzare quelle idee già da tempo avanzate da
menti sagge, esperte ed oneste, rimaste allo stato di proposte
perché contrastate dagli egoismi, dai bassi interessi, da
ideologie contorte; pari il
desiderio di addivenire finalmente ad
una svolta, di mettere in gioco il
proprio futuro, pari il coraggio delle decisioni non più rinviabili, pari il sacrificio di una
vita donata al bene comune sottratta alla
tranquillità di una vita privata pacifica e serena priva di
responsabilità, di ansie e di preoccupazioni.
Ecco perché l’uomo che tanti secoli fa non esitò a richiedere la
riforma della Chiesa, può a buon diritto
essere oggi paragonato a quel Matteo
Renzi che si batte oggi,
coraggiosamente, e con determinazione,
per la riforma dello stato
Italiano.
Giovanni
Zannini
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